David Mugnai
27 Gennaio 2019Guernica di Picasso
27 Gennaio 2019di Marco Pancetti
LA VITA
Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta e di Luisa De Benedictis.
Fu adottato da una zia materna, prendendo il cognome dallo zio.
Terzo di cinque fratelli, visse un’infanzia felice distinguendosi per intelligenza e vivacità.
Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti e non tardò a manifestare una personalità priva di complessi e inibizioni; una testimonianza ne è la lettera che, ancora sedicenne (1879), scrive a Giosuè Carducci mentre frequenta il liceo al prestigioso Istituto Cicognini di Prato.
Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo e il successo del libro venne aumentato dallo stesso D’Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo.
La notizia ebbe l’effetto di richiamare l’attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso.
Dopo aver concluso gli studi liceali si trasferì a Roma. L’accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese, che fece parlare in seguito di una “Roma bizantina”; inoltre la cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano una novità “barbarica”.
D’Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequentazione della Roma “bene” dal suo gusto per l’esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio “di riparazione”, nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli.
Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono gli eleganti e ricercati resoconti giornalistici.
Il primo grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere” nel 1889 ; venne presto a crearsi un vero e proprio “pubblico dannunziano”, condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine.
Fine del periodo romano
Tra il 1891 e il 1893 D’Annunzio visse a Napoli; sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Nietzsche che vennero in buona parte fraintesi, sebbene ebbero l’effetto di liberare la produzione letteraria di D’Annunzio da certi residui moralistici.
Volle provare l’esperienza politica, vivendo anch’essa in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita».
Il periodo fiorentino
Sempre nel 1897 iniziò una relazione con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita.
Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D’Annunzio si trasferì a Settignano, nei dintorni di Firenze, dove affittò la villa “La Capponcina”, trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente.
E’ in questo periodo che si colloca gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale della Duse.
L’esilio in Francia
D’Annunzio fuggì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e l’unico modo per evitare i creditori era oramai diventato la fuga dall’Italia.
A Parigi era un personaggio noto, era stato tradotto da Georges Hérelle e il dibattito tra decadenti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un grosso interesse già con Huysmans; ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane.
Pur lontano dall’Italia collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra di Libia o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere) che a loro volta gli concedevano altri prestiti.
Nel 1910 Corradini aveva organizzato il progetto dell’Associazione Nazionalista Italiana, al quale D’Annunzio aderì inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza e opponendosi all’ «Italietta meschina e pacifista».
Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atl’antica, dove si dedicò all’attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Débussy,…), compose libretti d’opera e soggetti per film (Cabiria).
L’arruolamento nel 1915
Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli e condusse da subito una intensa propaganda interventista.
Il discorso celebrativo che D’Annunzio pronunciò a Quarto
(4 maggio 1915) suscitò entusiastiche manifestazioni interventiste.
Con l’entrata in Guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915(il cosiddetto “maggio radioso”), D’Annunzio si arruolò volontario e partecipò ad alcune azioni dimostrative navali ed aeree.
Per un periodo risiedette in quel di Cervignano del Friuli perché così poteva essere vicino al Comando della III Armata, comandante della quale era Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’ Aosta, suo amico ed estimatore.
Nel gennaio del 1916, costretto a un atterraggio d’emergenza, subì una lesione all’altezza della tempia e dell’arcata sopraccigliare, non curò la ferita per un mese e ciò portò alla perdita di un occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata, tuttavia, ben presto tornò in guerra e, contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra.
Durante la degenza in ospedale, utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, Il Notturno.
Al volgere della guerra, D’Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento insistendo sul tema della “vittoria mutilata” e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia.
La stessa onda di malcontento, trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1924 avrebbe portato all’ascesa del fascismo in Italia.
Il colpo di stato a Fiume
Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di “legionari”, partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), all’occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all’Italia.
Con questo gesto D’Annunzio raggiunse l’apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico. L’11 e 12 settembre 1919 la crisi di Fiume: la città, occupata dalle truppe alleate, aveva chiesto d’essere annessa all’Italia: D’Annunzio con una colonna di volontari occupò Fiume e vi instaurò il comando del “Quarnaro liberato”.
Il 12 novembre 1920 viene stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all’Italia, ma D’Annunzio non accettò l’accordo e il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza.
Gli ultimi anni: l’esilio a Gardone Riviera
Disilluso dall’esperienza da attivista, si ritirò in un’esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera, divenuta poi il Vittoriale degli italiani.
Qui lavorò e visse fino alla morte curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale.
L’ascendente regime fascista lo celebrò come uno dei massimi e più fecondi
tuttavia i rapporti tra D’Annunzio e Mussolini furono sempre tiepidi e arrivarono persino a momenti di aperto scontro.
LE OPERE
Tra le più opere che più sono in contrasto fra di loro, troviamo La Pioggia nel Pineto e il Notturno.
La pioggia nel Pineto: Il poeta immagina di trovarsi, in una giornata d’estate, con la sua donna amata, alla quale dà il nome classico di Ermione, nella pineta della Versilia battuta dalla pioggia.
La lirica rappresenta le sensazioni prodotte dalla pioggia che cade, sempre più intensamente: “Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane.”
La natura sembra risvegliarsi e rispondere al contatto della pioggia quasi con un discorso musicale, come una serie di strumenti dal suono diverso: “ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancora, stromenti diversi sotto innumerevoli dita”.
In mezzo a questi suoni e sotto l’intensificazione della pioggia, l’uomo e la donna, purificati dall’acqua piovana che ne bagna le vesti, sembrano immergersi progressivamente nella natura, divenendo parte di essa.
A questo stile molto di musicalità eccelsa si contrappone il Notturno.
Notturno: l’opera fu redatta durante la degenza in ospedale, immobile e temporaneamente cieco a causa di un terribile incidente aereo.
D’Annunzio la scrisse materialmente utilizzando circa diecimila strisce di carta o cartigli su ciascuna delle quali era scritta una sola riga di testo, il materiale così redatto fu poi messo in ordine dalla figlia del poeta, la quale lo aiutava al capezzale .
La particolarità del Il Notturno all’interno della produzione dannunziana sta soprattutto nella sua carica riflessiva e meditativa, tutto intriso dall’esperienza del dolore (la perdita dell’amico che pilotava l’aereo, ma anche quella della madre). Secondo la critica, il Notturno assume una particolare importanza in quanto sembra essere occasione di un triste bilancio da parte del poeta sulla sua stessa vita.
Usciamo. Mastichiamo la nebbia. La città è piena di fantasmi.”
Già da questo primo verso si nota la contrapposizione con La Pioggia nel Pineto dove: “ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancora”, emergono dalle percezioni della realtà circostante (colte solo attraverso l’udito), dalle visioni, dalle fantasie e dai ricordi che si susseguono disordinatamente e che si associano ad immagini talvolta allucinatorie che si sviluppano intrecciandosi e fondendosi in un delirio tra il vigile e l’onirico.
D’Annunzio era un esponete di quella parte di italiani che inneggiavano alla Vittoria Mutilata”, che, unita alle promesse non mantenute fatte prima della Grande Guerra e alla grave situazione economica, fu lo spunto per la nascita del Fascismo.
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