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Gabriele D’Annunzio
Tesina – Esame di Stato II ciclo 2002
Cornelli Andrea
L’IMPERIALISMO NELLA LETTERATURA
D’ANNUNZIO O FIUME O MORTE!”
“Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d’Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il contatto Vi abbraccio.
Gabriele D’Annunzio
11 settembre 1919
Così Gabriele D’Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l’impresa di Fiume. D’Annunzio, che non ha mai rinunciato a rivendicare i diritti dell’Italia su Fiume, organizza un corpo di spedizione. A Venezia egli raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d’agitazione che ha per motto “O Fiume o morte!”. Questi ufficiali assicurano a D’Annunzio un contingente armato di circa mille uomini, ai quali altri se aggiungono poi durante la marcia sulla città irredenta. Gabriele D’Annunzio si autonomina capo dei corpo di spedizione e il giorno 12 settembre 1 91 9 entra in fiume alla testa delle truppe. La popolazione acclama ì granatieri italiani ed il “poeta soldato”. L’impresa di D’Annunzio riesce anche grazie alla compiacente collaborazione del generale Pittaluga, comandante delle truppe italiane schierate davanti a Fiume, il quale concede via libera al piccolo esercito. Le truppe alleate di stanza nella città non oppongono resistenza e sgomberano il territorio chiedendo l’onore delle armi. Di fronte al colpo di mano il presidente Nitti, nel duplice intento di salvare la nazione da un pronunciamento militare e di non provocare incidenti internazionali, pronuncia un violento discorso: “L’Italia del mezzo milione di morti non deve perdersi per follie o per sport romantici e letterari dei vanesi”.Mussolini, fronteggiando l’attacco contro il suo amico D’Annunzio, scrive sulle colonne dei Popolo d’Italia: “Il suo discorso è spaventosamente vile. La collera acre e bestiale di Nitti è provocata dalla paura che egli ha degli alleati. Quest’uomo presenta continuamente un’Italia vile e tremebonda dinanzi al sinedrio dei lupi, delle volpi, degli sciacalli di Parigi. E crede con questo di ottenere pietà . E crede che facendosi piccini, che diminuendosi, prosternandosi, si ottenga qualche cosa. E’ più facile il contrario”.
D’Annunzio non reagisce agli attacchi dei Presidente dei Consiglio come Mussolini, ma conia per Nitti un soprannome, niente di più, ma un soprannome nel quale c’è tutto il suo disprezzo per il moderato che disapprova “le gesta sportive”. Lo battezza “Cagoja”. Il 20 settembre 1919 Gabriele D’Annunzio ottiene i pieni poteri e comincia a firmare decreti qualificandosi “Comandante della città di Fiume”. Il 16 ottobre le truppe regolari dell’esercito continuano a bloccare la città e D’Annunzio dichiara Fiume “piazzaforte in tempo di guerra”. Questo gli consente di applicare tutte le leggi del codice militare che in tal caso prevede anche la pena di morte con immediata esecuzione per chiunque si opponga alla causa Fiumana. Il plebiscito dei 26 ottobre segna il trionfo di D’Annunzio che ottiene 6999 voti favorevoli all’annessione su 7155 cittadini di Fiume votanti. Sull’onda del successo, D’Annunzio esprime a Mussolini un proprio progetto: marciare su Roma alla testa dei suoi uomini e impadronirsi dei potere. Mussolini lo dissuade e lo convince che la cosa finirebbe in un fallimento. In realtà la marcia su Roma è il suo grande sogno ma egli vuole ancora aspettare perché intende essere il solo condottiero di quella marcia, e non certo l’articolista di D’Annunzio, in questo momento più popolare di lui. Nel frattempo le potenze alleate ammoniscono il governo italiano sulle complicazioni che l’impresa fiumana può portare nelle trattative ma la loro presa di posizione è abbastanza moderata, tale da indurre Nitti a non intervenire con la forza contro D’Annunzio ma a intavolare con lui pacifici negoziati. Arriviamo così alla vigilia delle elezioni. D’Annunzio riprende la sua attività espansionistica ed il 14 novembre sbarca a Zara, debolmente contrastato dal governatore militare. Occupata Zara, D’Annunzio riparte pochi giorni dopo lasciando una guarnigione a presidiare la città, mentre corre voce che egli stia per tentare altre imprese del genere a Sebenico ad a Spalato. Gli italiani vanno alle ume ignorando le ultime imprese di D’Annunzio, perché il governo blocca la notizia attraverso la censura, temendo che il nuovo fatto d’armi possa mutare il corso della consultazione. Le elezioni dei 1919 vedono la sconfitta dei fascisti e nel giugno dei 1920 Giolitti subentra come Presidente dei Consiglio a Nitti. Il 1920 vede la conclusione definitiva dell’avventura fiumana di Gabriele D’Annunzio. I rappresentanti delle potenze alleate si riuniscono a Rapallo. Il 12 novembre viene firmato un trattato che dichiara Fiume stato indipendente e assegna la Dalmazia alla Jugoslavia tranne la città di Zara che passa all’Italia. Il “poeta soldato” viene invitato ad andarsene da Fiume. Questa volta l’esercito e la marina italiana non potranno più mostrarsi compiacenti con D’Annunzio. Il generale Enrico Caviglia viene inviato a Fiume per far sgomberare la città dagli occupanti. E’ Natale. D’Annunzio dichiara che quello sarà un Natale di sangue e promette che verserà anche il suo, ma il generale Caviglia ordina ad una nave da guerra di aprire il fuoco contro il palazzo del governo. Le prime bordate segnarono la fine dell’avventura di D’Annunzio che se ne va. I suoi legionari lo seguono. Portano una divisa che diverrà famosa: camicia nera sotto il grigioverde e fez nero.
MEROPE DI Gabriele D’Annunzio
Destinate a costituire il libro IV delle Laudi, Merope, le dieci canzoni della Gesta d’oltremare (inizialmente pensate come Nuove odi navali) furono composte da D’Annunzio durante l’esilio francese per esaltare l’impresa imperialistica della guerra di Libia e pubblicate, quasi contemporaneamente alla stesura, sul « Corriere della Sera », tra l’8 ottobre 1911 e il 14 gennaio 1912. Sfortunata e complessa la vicenda editoriale di Merope: la prima edizione del volume, sequestrata in tipografia dalle autorità il 24 gennaio 1912, fu sostituita in un paio di giorni dalla seconda edizione, soppresse alcune terzine della Canzone dei Dardanelli, ritenute ‘ingiuriose’ nei confronti dell’imperatore Francesco Giuseppe. La terza edizione, del 1915, ripropone la versione integrale.
Dalla canzone d’oltremare all’Ultima canzone, i dieci componimenti in terzine – significativamente corredati di un denso apparato di note a carattere documentario (storico e biografico) – intrecciano la rievocazione di antiche e gloriose gesta dì uomini e città marinare d’Italia attinte da molteplici fonti aneddotiche e cronachistiche, dalle cronache comunali dei tardo medioevo italiano ai diari di bordo di memorabili spedizioni o battaglie navali, all’esaltazione delle imprese eroiche della guerra italo-turca. Accolto dal significativo silenzio di una critica tutt’altro che favorevole alla retorica pseudocivile e nazionalistica dei vate, ma piuttosto interessata all’inaugurata stagione dannunziana dell’«esplorazione d’ombra », Merope rappresenta uno degli esempi meno felici dell’esperienza poetica dell’autore, dove la scrittura, seppur ricca di ingredienti storici, letterari e lessicali ricercati, sembra restare quasi integralmente confinata a livello propagandistico.
La canzone d’oltremare
Poesia Pubblicata l’8 ottobre 1911 sul «Corriere della Sera» 5 giorni dopo l’inizio dei bombardamenti italiani contro i porti turchi di Tripoli.
La canzone del sangue
Poesia Pubblicata il 22 ottobre 1911 sul «Corriere della Sera». Le gesta di Genova, città marinara, sono rievocate accanto alla recente impresa biblica.
La canzone della Diana
Poesia Pubblicata il 23 novembre 1911 sul «Corriere della Sera».
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