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28 Dicembre 2019Il sonetto “Già il ferètro, e la Lapida, e la Vita” di Vittorio Alfieri, scritto nel 1798 rappresenta una riflessione intensa sulla morte, sulla libertà e sull’eredità morale che Alfieri spera di lasciare.
L’autore, noto per la sua forte avversione alla tirannia, anticipa il momento della sua morte con serenità e una determinazione a rimanere fedele al proprio ideale di libertà. Il sonetto diventa così un testamento morale e politico, in cui Alfieri dichiara la sua opposizione al potere assoluto e rivendica il valore della propria “anima ardita” come simbolo di resistenza contro la tirannide.
Testo e parafrasi del sonetto
Testo (Rime varie – CCLXXIV) Già il ferétro, e la Lapida, e la Vita La schiavesca Tirannide inaudita, Ma non inulta l’Ombra mia, nè muta, Nè lunge molto al mio cessar, d’ogni empio |
Parafrasi:
Il feretro, la lapide e il racconto della mia vita sono già pronti per quando non ci sarò più; e ormai nulla di ciò che potrà portarmi la morte mi sorprenderà, poiché so che prima o poi arriverà Colei (la Morte), la cui presenza rende insopportabile ogni ritardo. Ringrazio la tirannia per avermi permesso, nonostante la sua crudeltà senza precedenti, di salvarmi almeno un’anima coraggiosa. Ma la mia ombra non rimarrà muta e senza vendetta; la mia voce, che continuerà a vivere, sarà un incubo per i tiranni. Non molto dopo la mia morte vedo già la potenza dei tiranni crollare ignominiosamente a terra, e forse la mia vita potrà essere un esempio di uomo libero per altri. |
- Riflessione sulla morte e sul lascito morale:
- Alfieri inizia il sonetto con una visione distaccata della propria morte, descrivendo feretro, lapide e vita (v. 1) come elementi che fanno ormai parte del suo futuro prossimo. Il tono è solenne e rassegnato, ma non privo di una certa fierezza, come a voler prepararsi per un ultimo atto coerente con i suoi valori di libertà e dignità. L’uso del presente (“stommi”) aggiunge una dimensione di vicinanza e familiarità con il pensiero della morte.
- Il rapporto con la tirannide:
- Al centro del sonetto Alfieri introduce il concetto della “schiavesca Tirannide inaudita” (v. 5), una personificazione del potere assoluto che opprime indiscriminatamente i “minimi e sommi” (v. 6), cioè tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro condizione sociale. Alfieri esprime un paradosso: ringrazia la tirannia per avergli concesso almeno la libertà di mantenere una “anima ardita” (v. 8), ovvero un’anima indomita e non piegata dalla paura. Nonostante il dominio della tirannide, l’autore sottolinea la sua integrità morale e la sua resistenza.
- La vendetta postuma e l’ombra parlante:
- Alfieri è certo che la sua “Ombra” (la sua memoria o eredità) non resterà muta o passiva dopo la morte, ma diventerà un grido costante contro i tiranni: “La sempre viva mia voce temuta” (v. 11). La scelta di termini come “non muta” e “scempio” suggerisce una volontà di vendetta postuma. Il poeta afferma che la sua voce continuerà a vivere e a intimidire i tiranni, incarnando un ideale di libertà e giustizia che non può essere soffocato, nemmeno dalla morte.
- Speranza e visione profetica:
- Nei versi finali, Alfieri manifesta una visione ottimista riguardo al futuro: dopo la sua morte, vede “la vil possanza al suol caduta” (v. 13), ossia il crollo delle tirannie. La sua morte, invece di essere un addio, si trasforma in un esempio di vita libera e coraggiosa per le future generazioni, che potrebbero ispirarsi al suo esempio di coerenza e ribellione.
Figure retoriche
- Personificazione: La Morte viene descritta come una figura attiva e dotata di volontà (“Colei, ch’ogni indugiare irríta”, v. 4), conferendole una presenza incombente e inevitabile.
- Antitesi: Il contrasto tra la “Tirannide” che schiaccia i popoli e la “anima ardita” (vv. 7-8) di Alfieri, che rimane libera, sottolinea l’ostinata resistenza del poeta contro l’oppressione.
- Allitterazioni: L’allitterazione della “s” e della “t” nei versi (“schiavesca Tirannide inaudita”, v. 5; “Starmassi…Scempio”) crea un ritmo tagliente che amplifica la forza del messaggio.
- Enjambements: L’uso di enjambement, ad esempio tra i vv. 5-6 (“Schiavesca Tirannide inaudita, / Che tutti schiaccia”), favorisce un flusso continuo e riflette la pervasività del potere tirannico che incombe su tutti, evidenziando la gravità dell’oppressione.
- Anastrofe e inversioni sintattiche: Tipiche dello stile elevato e solenne di Alfieri, conferiscono al testo una dimensione epica, che si addice al tono di un testamento spirituale.
Commento finale
Questo sonetto di Alfieri è un manifesto di resistenza interiore contro la tirannia e un’esortazione all’integrità morale. Alfieri considera la morte non come la fine, ma come un passaggio che consolida la sua posizione di libero pensatore e oppositore del potere assoluto. La consapevolezza della morte è per lui un’opportunità per riaffermare i suoi valori, rendendo il sonetto un vero e proprio testamento spirituale.
L’idea che la sua “Ombra” continuerà a influenzare i posteri è espressione della fiducia di Alfieri nella forza dell’esempio e della memoria: anche se fisicamente scomparirà, la sua lotta e il suo messaggio rimarranno vivi. La visione finale di un mondo libero dai tiranni e oppressori, in cui il poeta sarà ricordato come esempio di uomo libero, rispecchia una speranza quasi profetica. Alfieri non si limita a criticare il suo tempo, ma lo condanna attraverso un’immagine visionaria di futuro riscatto.