Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019di Carlo Zacco
Vita. Nasce nel 1668 a Napoli, da una modesta famiglia, suo padre è un libraio. Studia dai gesuiti.
– Dal 1699 è professore di Retorica all’università di Napoli, e manterrà questa occupazione per trent’anni, mantenendo, con lo stipendio ricevuto, una numerosa famiglia.
– Visse appartato, e si dedicò unicamente allo studio e alla scrittura delle sue opere.
L’autobiografia. Ciò che sappiamo della sua vita è contenuto in un’autobiografia che egli stesso ha scritto.
– L’occasione per la scrittura di quest’opera viene dalla richiesta di un nobile dell’epoca, il conte Giovanartico di Porcìa, che intendeva riunire in una sola opera le biografie dei più grandi studiosi e letterati dell’epoca. Il progetto fallì, ma Vico riuscì a terminare la sua, e a pubblicarla, nel 1728.
– l’aspetto interessate di quest’opera è l’impostazione del lavoro: la propria vita è vista unicamente come il racconto di un percorso intellettuale, è la storia della formazione e dello sviluppo intellettuale dello scrittore, dove tutti gli avvenimenti, anche aneddoti apparentemente secondari, sono finalizzati a chiarire meglio l’articolazione di questo percorso.
– tutti gli aspetti non direttamente inerenti a questo percorso intellettuale esemplare vengono tralasciati;
– In questo Vico è in linea con la tradizione autobiografica, che era impostata per lo più sulla vita professionale del soggetto, e meno su quella privata, affettiva, o psicologica;
– la novità di Vico (pur mantenendosi nella tradizione) risiede nello stile appassionato, il pathos narrativo, che è specchio dell’alto valore etico che Vico assegna alla propria missione di studioso.
Testo. due elementi:
1) La caduta. E’ il topos del vivo per miracolo: tipico di tutte le autobiografie, come se all’individuo fosse lasciata una seconda possibilità, finalizzata a mettere in pratica un’impresa eccezionale;
– c’è l’idea di un destino che deve inevitabilmente realizzarsi;
2) il talento naturale, che già da bambino presenta tutti i caratteri del futuro studioso, secondo gli stereotipi tradizionali: malinconia, predisposizione allo studio, l’isolamento;
Apparentemente si tratta di un episodio secondario dell’infanzia, come digressione prima di parlare d’altro, in realtà è elemento fondamentale per tracciare un ritratto convincente del futuro studioso
Stile. Lo stile in generale è solenne e maestoso, ma il discorso è contorto, ricco di dissonanze:
– vi sono varie ripetizioni («il signor Giambattista Vico … egli);
– usa lessico ricercato con molti arcaismi, latinismi;
– la prosa ha una sintassi complessa, molto articolata, ricca di subordinate (Boccaccio);
– tra il lessico colto ed elevato, Vico inserisce anche espressioni d’uso comune (fatto accorto, atterrare);
La scienza nuova
Composizione. E’ il libro di una vita: inizia a scriverlo nel 1723, e continua a modificarlo e ampliarlo fino al 1744, l’anno della morte. Il testo passa attraverso tre distinte redazioni (1725, 1730, 1744);
Struttura. La struttura non è geometrica e lineare, ma segue un percorso sinuoso, complicato, barocco:
– ricco di digressioni, accumulo di dettagli, richiami interni;
– l’opera si apre con una dipintura allegoria iniziale che viene spiegata dell’introduzione (pag. 671).
– si divide poi in cinque libri, nei quali Vico traccia una storia dell’umanità, e cerca di comprendere i principi che stanno alla base di questo sviluppo storico.
La Storia. Il presupposto per la riflessione di Vico è la consapevolezza che l’uomo non potrà mai raggiungere una vera conoscenza del mondo, poiché questo è creazione di Dio, ed è possibile conoscere solo ciò che si è creato. Ciò che l’uomo può conosce è solo ciò che egli stesso crea, cioè la storia: unica vera scienza possibile per l’uomo. La storia è la ‘scienza nuova, che Vico vuole indagare.
Le fasi dell’uomo. Vico individua nello sviluppo della mente umana tre fasi:
1) l’infanzia, dominata dal senso;
2) la fanciullezza, dominata dalla fantasia;
3) la maturità, dominata dalla ragione.
Vico poi applica questo modello evolutivo della vita individuale di ogni uomo, allo sviluppo dell’umanità nella storia, e anche in questo caso identifica tre fasi:
1) l’età degli dei:
– è lo stato in cui gli uomini sono dei «bestioni» insensati e non hanno un linguaggio articolato né facoltà intellettive raffinate;
– in questa fase gli uomini identificano gli dèi con gli elementi naturali: siccome non hanno strumenti di conoscenza razionale del mondo, pensano che dietro ad ogni evento naturale ci sia l’azione di un dio, e immaginano che questi dèi siano simili a loro;
– Ad esempio Giove: creato dopo lo spavento che i primi uomini hanno provato nel sentire un fulmine;
– Questa è dunque l’età in cui sono nati primi miti;
2) l’età degli eroi: è l’età in cui gli eroi impongono con la forza l’ordine, in modo da evitare la barbarie, e fissano i primi istituti sociali, come la famiglia e le prime comunità;
– è l’età in cui sono nati i poemi eroici, specchio di questo tipo di società;
3) l’età degli uomini: è l’epoca in cui l’umanità conquista il sapere razionale e civile;
– in questa età non è possibile produrre poesia originale, ma soltanto rifarsi a modelli precedenti, o fare critica;
– Vico pensa che la facoltà fantastica dei primi uomini sia incompatibile con la facoltà intellettiva, perché la seconda spegne la prima;
I cicli storici. L’età degli uomini, per quanto civile, ha dentro di sé degli elementi che la porteranno alla distruzione, dopo la quale il ciclo dell’umanità ricomincerà di nuovo, all’infinito: si tratta dei corsi e ricorsi storici.
La poesia. Per quello che riguarda la poesia Vico fa un’affermazione importante:
– afferma che alla base della civiltà non c’è una sapienza antica, di cui si era parlato fino ad allora, ma l’irrazionalità e l’istinto (età degli dèi) e poi la fantasia e la facoltà di creare miti (età degli eroi);
– la poesia degli antichi è espressione di questa natura fantastica e immaginativa tipica delle età precedenti;
– per Vico, quindi, le età antiche non sono depositarie di una sapienza recondita, né delle regole universali dell’arte, come si era ritenuto fino ad allora.
La genesi della poesia. Questo ha due implicazioni:
1) nascita della poesia. La genesi della poesia non sta nella ragione, ma nella fantasia; una categoria pre-logica, che si esprime attraverso metafore e immagini concrete;
2) rapporto poesia/filosofia: la poesia è irrimediabilmente diversa dalla filosofia:
– la prima è il frutto di un modo irrazionale di conoscere la realtà, per cui si dà una risposta fantasiosa alle domande sul perché dei fenomeni;
– la filosofia invece è una risposta razionale alle domande dell’uomo, e non può produrre poesia;
Omero. Se prima Omero appariva come l’esempio perfetto di poema regolato, cioè rispondente a regole razionali precise, Vico guarda alla poesia di Omero in modo diverso:
– la considera come l’espressione di passioni violente, pure, e di un forte sentire;
– questa poesia è espressione di una capacità fantastica che l’uomo perde dopo che raggiunge i gradi più alti di civiltà. La sua grandezza coincide col suo carattere popolare.
Dante. Altro esempio è Dante, anch’egli figlio della barbarie in cui l’Europa è ripiombata dopo la caduta dell’Impero Romano: la poesia di Dante è espressione di passioni forti, di una fantasia potente e non contaminata dall’influsso della ragione.
– Queste considerazioni anticipano, di molto, la concezione romantica della poesia.
Della metafisica poetica (Libro II, cap. 1, sezione prima)
I primi uomini. Nella parte II della Scienza nuova vengono analizzate le prime fasi della civiltà dell’uomo. Il punto di partenza di Vico era la versione biblica della storia:
– per la bibbia il mondo è stato creato circa 6.000 anni fa;
– dopo il diluvio universale (1656 dopo la creazione del mondo), i discendenti di Noè si ritrovarono nella selva che era riemersa dalle acque, e vi vagarono per circa 200 anni;
– in questo periodo, dovendo faticare per procurarsi cibo e combattere con le belve feroci, svilupparono un corpo gigantesco;
– dopo circa 200 anni, in cui hanno vissuto in questo stato di totale imbarbarimento, iniziarono a percepire la realtà attraverso i sensi, e attribuirono gli eventi naturali all’intervento degli dèi;
– la creazione di questi miti rispecchia l’assetto sociale delle prime comunità, e rappresenta un primo tentativo di uscire dalla barbarie originale;
La relatività storica. Queste fasi dell’umanità riguardano tutti gli uomini, anche se in momenti storici diversi, ad esempio:
– gli ebrei non divennero giganti, ed uscirono dallo stato di barbarie originale dopo soli 100 anni;
– altri popoli, come quelli delle Americhe, invece si trovano ancora in questo stato selvaggio;
La poesia. La poesia, quindi, è una primitiva forma di conoscenza della realtà (Aristotele, metafisica).