Daniela Notarbartolo
27 Gennaio 2019This is the page
27 Gennaio 2019da “Don Candeloro e C.” (1894)
Novelle di Giovanni Verga
Innamorati lo erano davvero. – Bruno Alessi voleva Nunziata; la ragazza non diceva di no; erano vicini di casa e dello stesso paese. Insomma parevano destinati, e la cosa si sarebbe fatta se non fossero stati quei maledetti interessi che guastano tutto.
Quando due passeri, o mettiamo anche due altre bestie del buon Dio, si cercano per fare il nido, forse che stanno a domandarsi: – Tu cosa mi porti in dote, e tu cosa mi dài? –
La Nunziata, cioè mastro Nunzio Marzà suo padre, doveva avere un bel gruzzolo, dopo quarant’anni che teneva merceria aperta, e quindi Alessi pretendeva cento onze insieme alla ragazza. – La gallina si pela dopo morta – ribatteva mastro Nunzio. – Io non intendo lasciarmi spogliare in vita. – La moglie va colla dote – picchiava Bruno Alessi. – Io non voglio maritarmi a credenza -.
Veramente questo lo faceva dire dai suoi vecchi, com’è naturale, e lui badava a scaldare i ferri colla giovane. Il diavolo è tentatore, e le donne hanno il giudizio corto. A poco a poco la povera Nunziata prese fuoco come un pugno di stoppa, e ci rimise il sonno e l’appetito.
– Bene, – disse mastro Nunzio. – T’insegnerò io il giudizio -.
E giù legnate da levare il pelo, se la sorprendeva alla finestra, o la vedeva fare altre sciocchezze. Cogli Alessi invece usava politica, e stavano insieme a tirare sul prezzo, senza troppa furia. Al giovanotto però quel negozio non andava a sangue, sia che ci avesse la fregola addosso, o perché le cose lunghe diventano serpi. Poi voleva mettere una bella calzoleria, e pensare agli interessi propri, invece di lavorare a bottega dal padre.
– Senti, – disse alla ragazza – Qui ci menano a spasso, per fare i loro comodi. Bisogna finirla -.
Giacché Marzà aveva un bel picchiare la figliuola, e sprangare usci e finestre. Il diavolo è anche sottile, e Bruno Alessi ne sapeva una più del diavolo. Fingeva di andare a vendere scarpe e stivali per le fiere, lì intorno, e poi, mentre mastro Nunzio dormiva tranquillo fra due guanciali, veniva di notte a stuzzicargli la figliuola.
– Maria santissima! Cosa mi fate fare! – piagnucolava Nunziata col grembiule agli occhi.
– Se mi vuoi bene, te lo dirò io -.
Però la ragazza non voleva sentirla quella faccenda di spiccare il volo con lui, e dopo, quando il pasticcio era fatto, mastro Nunzio avrebbe dovuto adattarsi a mandarlo giù. Era una buona figliuola infine, dello stesso sangue dei Marzà, e stando dietro il banco aveva imparato cosa vuol dire negozio, e come vanno a finire certe cose. Ma soffia e soffia, Bruno, che non pensava ad altro, seppe scaldarle la testa, e farle perdere quel po’ di senno che le restava ancora. La finestra era bassa, e rizzandosi sulla punta dei piedi egli le arrivava al collo. Allora, per parlarsi all’orecchio, perché non udisse mastro Nunzio che dormiva lì accanto, pigliavano fuoco tutt’e due, e la ragazza ci si squagliava come la neve. Lui le aveva mostrato anche un trincetto che portava addosso, e minacciava di fare una tragedia con quello. – M’ucciderò sotto i tuoi occhi! Verrà tutto il paese a vedere il sangue! Allora sarai contenta! Allora vedrai se ti voglio bene sì o no! –
E bisognava vedere che faccia! Nunziata a quell’uscita sbigottiva, e tornava a balbettare tutta tremante:
– Oh Madonna santa! cosa mi fate fare!…
– Bene. Quand’è così, vuol dire proprio che non mi ami. E’ meglio finirla!… –
Per abbreviare, gnor padre che picchiava la ragazza tutto il giorno, l’innamorato che veniva a farle di notte le stesse scene di amore e di gelosia, Nunziata raccolse quattro stracci in un fagotto, e andò a raggiungere Bruno che l’aspettava nella viuzza. – Però giuratemi che mi sposerete subito! – gli disse prima di tutto. – Giuratemi innanzi a Dio! –
Bruno le giurò tutto quel che voleva, lì, su due piedi, al cospetto di Dio che vedeva e sentiva, lassù: una mano sul petto e l’altra che chiamava angeli e santi testimoni: – Non lo sai che t’amo più della pupilla degli occhi miei? Non dobbiamo essere marito e moglie? – Poi volle portarle lui il fagotto. – Hai preso gli ori? – le chiese pure.
Essa non aveva preso gli ori, perch’era tutta sottosopra. – Hai fatto una sciocchezza, – conchiuse Bruno. – Tuo padre te li metterà sul conto della dote -.
Mastro Nunzio il mattino trovando l’uscio aperto si mise a gridare al ladro. Papà Alessi, che passava di là a caso, in quel punto, lo tirò dentro pel braccio e gli disse:
– Non fare strepiti. Non facciamo ridere la gente. Vostra figlia è in casa di mia cugina Menica, rispettata e onorata come una regina -.
Il povero Marzà s’era messo a sedere colle gambe rotte. Ma tosto si rimise. Compare Alessi gli offrì una presa, accostò una scranna lui pure, e infine intavolò il discorso.
– Bene. Ora che facciamo?
– Dite voi, – rispose Marzà asciutto asciutto. – Io lo so cosa devo fare.
– E’ una disgrazia, non dico di no. Gli altri rompono e tocca pagare a noi.
– Chi rompe paga, e chi ne ha ne spende -.
Compare Alessi era uomo navigato anche lui, e capì il latino.
– A me non importa infine, – conchiuse mettendosi colle spalle al muro.
– E a me neppure.
– Scusate, scusate. Si tratta di vostra figlia. E’ il sangue vostro.
– E voi, quando vi esce il sangue dal naso, che state a cercare dov’è andato a cadere? –
Toccò a mastro Alessi stavolta di rimanere con tanto di naso e la bocca aperta.
– Allora dite voi. Come si fa?
– Si fa così, che la Nunziata è minorenne, e vostro figlio andrà in carcere.
– Ah! ah!… Va bene allora! Quand’è così vi saluto tanto! –
Papà Alessi si alzò lentamente, e fece anche finta d’andarsene, come quando si capisce bene che il negozio non si combina. Pure, vedendo mastro Nunzio fermo come un macigno, con quella faccia tosta di negadebiti, non poté frenarsi dal rinfacciargli, stando sull’uscio:
– E vi terrete la figliuola… così?
– Non mi avete detto ch’è onorata come una regina? Ho quattro soldi. Le troverò bene un marito a modo mio.
– Ah! per quei quattro soldi! – esclamò l’altro infuriato. – Vendete vostra figlia per cento onze!… Sentite! Scusate! E’ sangue vostro, sì o no? Siete cristiano? Siete padre, o cosa siete?
– Ah, compare bello! E voi ve lo fate cavare il sangue per gli altri? –
Mastro Alessi se ne andò davvero stavolta, e corse subito a far scappare Bruno prima che la giustizia venisse a cercarlo. Nunziata invece, che mangiava a ufo dalla cugina Menica, e neppure il curato aveva potuto persuadere Marzà a sborsare le cento onze, dovette tornare a casa mogia mogia, e sentirsi dire:
– Vedi se volevano te o il mio denaro? Hai capito adesso? –
Intanto passavano i giorni, e Bruno, temendo di cadere nelle unghie della giustizia, andava pel mondo cercando fortuna, e riducendosi povero e pezzente. Mastro Nunzio, che era padre e cristiano alla fin fine, gli avrebbe pur dato la figliuola, ed anche un po’ di roba. Ma cento onze di denaro, no, finch’era vivo! – E Bruno dal canto suo si ostinava invece: – O colle cento onze, o niente -.
Però la Nunziata, piangendo giorno e notte, indusse il padre a discorrerne fra loro e Bruno, in famiglia, e ciascuno avrebbe dette le sue ragioni.
– Ma non sarà qualche tranello poi? – osservò Bruno, come la zia Menica andò a fargli l’imbasciata. – Posso fidarmi di quel birbante?
– Ti accompagno io, – tagliò corto la zia. – Mastro Nunzio è un galantuomo -.
La sera stessa, dopo chiusa la bottega, si riunirono nella merceria loro quattro, lei, Bruno e i Marzà, per dire ciascuno la sua ragione. Bruno stava zitto e grullo, mastro Nunzio guardava in terra. Nunziata versava il vino nei bicchieri, e toccò quindi a comare Menica parlare:
– Bisogna finirla. E’ una porcheria. Tutto il paese non discorre d’altro. Io non me ne vado di qui se prima non si conclude il matrimonio -.
Nunziata allora si mise a piangere. Bruno guardava ora lei e ora suo padre. La ragazza infine, vedendo che non diceva nulla, prese a sfogarsi:
– Ditelo voi stessa, comare Menica!… Dopo avermi lusingata per tanto tempo! Dopo tanti giuramenti! E quello che ho fatto per lui… che sarebbe meglio buttarmi nel pozzo, adesso!
– Io non mi tiro indietro, – borbottò lui. – Per me non manca.
– Dunque per chi manca? – conchiuse la zia Menica, guardando ora il padre ed ora la figlia.
Nessuno aprì più bocca, finché Bruno s’alzò in piedi, e prese un bicchiere dal banco.
– Guardate! – disse. – Che questa grazia di Dio possa mutarsi in veleno se dico bugia! Della dote non me ne importa nulla. Quanto a me la sposerei anche senza camicia.
– Questo no, – interruppe la zia Menica. – Mastro Nunzio conosce il suo dovere.
– Bene. Dunque quello che dà lo dà a sua figlia. Voglio le 100 onze nel suo interesse. Ci ha lavorato anche lei, colla merceria, sì o no? –
Qui Nunziata prese le sue parti, e disse che era vero. Ci aveva spesa tutta la bella gioventù dietro a quel banco, dacché era morta la buon’anima di sua madre. Se fosse stata ancora al mondo, quella, non avrebbe fatto penare la sua creatura per 100 onze di più o di meno. E lì a intenerirsi tutti, e buttarsi piangendo al collo di mastro Nunzio, lei, lo sposo e anche la zia Menica, sinché il babbo dopo aver pestato e ripestato che la gallina si pela dopo morta, che i denari hanno le ali, e quando Bruno Alessi avesse mangiato quelli della dote gli toccava poi a lui mantenere marito e moglie, pure si lasciò andare a promettere le 100 onze, purché ci fosse la sua brava cautela. Nunziata ballava e rideva, comare Menica baciava in terra, ma qui Bruno mostrò il mal’animo, che le 100 onze le voleva in mano, perché – metterle alla Banca, no: se le portano via. – Comprare un pezzo di terra, neppure: non danno frutto. – Invece col contante in mano lui avrebbe messo un bel negozio.
– Il negozio è quello che volete fare con questa sciocca che vi crede e si lascia prendere alle vostre commedie! – interruppe nel bel mezzo il vecchio più arrabbiato di prima.
– No! – rispose Nunziata aprendo gli occhi a un tratto, e asciugandosi le lagrime. – No, che non mi lascio prendere! –
E in tal modo sfumarono matrimonio ed amore. Bruno rinfacciò a Nunziata, prima d’andarsene: – Così dicevate di buttarvi nel pozzo? – Lei, di rimando: – Come vi siete ucciso voi col trincetto, tal quale -. Mastro Nunzio chiuse l’uscio, e la figliuola se ne andò a letto furiosa.
Se non fosse stata la vergogna di essersi lasciata cogliere in trappola da quel bel galantuomo, ed era difficile trovarne un altro, avrebbe voluto maritarsi subito subito, per dispetto, anche con uno di mezzo alla strada. Ma suo padre, coi suoi denari, le trovò invece Nino Badalone, un pezzo di marito che ne valeva due, e non aveva tante arie e tante pretese. Nunziata si fece pregare alquanto, per decenza, e poi disse di sì.
– Giacché piace a voi, sono contenta io pure -.
Nino Badalone era contento anche lui. Veniva alla merceria quasi ogni sera; portava qualche regaluccio, e faceva l’innamorato come e meglio di qualcun altro. Mentre Marzà serviva gli avventori, o schiacciava un pisolino dietro il banco, Nino soffiava all’orecchio della ragazza le stesse cose che le aveva dette Bruno: – Bene mio! – Cuore mio! – E lei ci pigliava gusto egualmente, e la notte poi fra le coltri, diceva fra sé e sé: – E’ lo stesso, tal quale -.
Bruno invece, ch’era rimasto a bocca asciutta, pensava dal canto suo: – Voglio vedere come va a finire! –
Passava e ripassava per la stradetta, col garofano in bocca; si sgolava di notte a cantarle dietro l’uscio canzoni d’amore e di sdegno, e quando incontrava la Nunziata, alla messa, invece di farla arrossire, come pretendeva, e di confonderla colle sue occhiatacce, era lui piuttosto che restava minchione e doveva chinare il capo.
– Ma con quell’altro voglio vedermela davvero – brontolava poi sputando veleno. – Voglio mangiargli il fegato! Voglio berne il sangue -.
Di buoni amici ce n’è sempre a questo mondo; sicché cotesti sproloqui arrivarono all’orecchio di Badalone. Costui era stato soldato, e sapeva il fatto suo. – Bene, – rispose, – vedremo! Chi è buon cane mangia alla scodella -.
La domenica di carnevale dai Bozzo ci era un po’ di festino. Bruno vi andò lui pure, colla fisarmonica, per svagarsi, ed anche perché sapeva che Mastro Nunzio vi avrebbe condotto la figliuola, e voleva vedere come andava a finire. Mentre dunque suonava la fisarmonica e faceva ballare gli amici, arrivò infatti mastro Nunzio, colla Nunziata in gala, e dietro Badalone gonfio come un tacchino.
Se Bruno Alessi in quel momento non fece uno sproposito e poté andare innanzi colla sonata, fu proprio un miracolo, ed anche per non lasciare in asso i ballerini. Per giunta Badalone prese subito la sposa a braccetto, senza dire né uno né due, e si mise a ballargli sotto il mostaccio – polche, valzeri, contradanze – Nunziata che si dimenava con bel garbo e gli faceva il visavì, e lui saltando come un puledro, tutto rosso e scalmanato. Il povero Bruno intanto gli toccava portare il tempo e inghiottire veleno. Infine lasciò il posto a Zacco, ch’era lì pronto colla cornamusa, e volle fare quattro salti anche lui.
– Permettete, amico? – disse a Badalone, toccandosi pulitamente il berretto.
Quello screanzato invece lo squadrò prima ben bene, e poi rispose asciutto:
– Non permetto. Perché? –
Gli disse anche quel «perché», che fa montare la mosca al naso! Fortuna che Bruno Alessi era un galantuomo, e non voleva più averci a fare colla giustizia. Ma gli giurò in cuor suo: – Ti farò becco, com’è vero Dio! -. E volle piantar subito ballo e ballerini. Non ci furono cristi.
Se ne vedono civette al mondo! Sfacciate come quella lì, che ridono a Cajo e a Tizio, e passano da una mano all’altra peggio dei cani di strada che fanno festa a tutti. Ma un tradimento simile Bruno non se lo aspettava, dopo tanto amore e tante pene, e tutto ciò che aveva fatto per l’ingrata! Questo voleva dirle, a quattr’occhi, appena la coglieva un momento sola, dovesse azzuffarsi poi con Badalone.
Infatti Nunziata se lo vide capitare in casa con quel proposito, il giorno dopo, mentre stava affacciata a veder le maschere. Era vestito da pulcinella, per non farsi scorgere, ma essa lo riconobbe tosto, che il cuore non è fatto di sasso, e voleva chiudergli l’uscio sul naso.
– Ah, così mi ricevete? – diss’egli. – Questa mi toccava?
– Bene, parlate, – rispose lei.
– Non m’importa di vostro padre. Non ho paura di nessun altro. Voglio dirvi il fatto mio.
– Bene, dite, e finiamola subito -.
Bruno s’era preparato il suo bel discorso, ma al vedersi trattare in quel modo non trovò più le parole. Bugiarda! Traditora! L’aveva venduto per 100 onze, come Gesù all’orto! E gli rideva sul muso anche! Allora, disperato, si strappò la maschera, e mostrò anche di frugarsi addosso per cercare il trincetto.
– Ah! Volete ammazzarvi un’altra volta? – rispose lei continuando a ridere.
In quel punto sopraggiunse Nino, colle mani in tasca, e quella sua andatura dinoccolata. Appena vide il Bruno, che lo seccava, infine, gli assestò una pedata sotto le reni, e questo fu il primo saluto.
– Bada che ha il trincetto addosso! – gridò la giovane spaventata.
Bruno si rivoltò come una furia. Voleva mangiargli il fegato. Voleva berne il sangue. Ma poi se la diede a gambe, e Nino l’accompagnò ancora a pedate sino in fondo alla stradetta.