Letteratura italiana dell’ottocento
27 Gennaio 2019Émile Zola
27 Gennaio 2019trascrizione della videolezione su youtube del prof. Luigi Gaudio di introduzione ai Canti pisano-recanatesi di Giuseppe Corso
Nel 1823 Leopardi compone la poesia Alla sua donna”, poesia molto significativa ed interessante, che ha dato spunto a interpretazioni originali dell’opera leopardiana. Dopo quest’epoca Leopardi per alcuni anni non scrive poesie: c’è una sorta di silenzio poetico”. Egli si dedica solo alla filosofia, all’arido vero, con la scrittura delle Operette morali. Anche i pochi versi contenuti nelle operette morali ribadiscono l’acerbità della vita, il nulla della morte .Ci sono dei versi all’interno delle operette morali per esempio pensiamo al “Coro dei morti”, nel “Dialogo di Federico Ruysch”, dove Federico Ruysh e le sue mummie non fanno altro se non sottolineare questo aspetto di arida filosofia materialista. Invece nel 1828 Leopardi si sposta a Pisa. L’arrivo in questa città suscita nuovamente la poesia. Scrive una poesia a questo punto: Il risorgimento”. Non c’è assolutamente niente di politico in questa poesia: non si tratta di un risorgimento come quello dei carbonari, che lottavano per l’indipendenza italiana. Si tratta invece del risorgimento dei sentimenti e delle illusioni che lo rianimano, nonostante la salda certezza dell’infelicità svelata dalla ragione. Adesso Leopardi, quando scrive poesie, non può più fare a meno di questa consapevolezza razionale, di come stanno le cose, di come la vita dell’uomo sia destinata all’infelicità. Tuttavia ritorna a scrivere poesie e risorgono i sentimenti e le illusioni, pur con questa consapevolezza. Si passa dai cosiddetti piccoli ai grandi idilli. Nei piccoli idilli partendo da esperienze personali giungeva a riflessioni generali. Adesso abbiamo idilli grandi, anche per una questione di numero di versi, nel senso che queste poesie in genere hanno un numero di versi superiore rispetto a quello dei piccoli idilli della stagione precedente. Ad esempio l’idillio l’Infinito” è di 15 versi; Alla luna” ha un numero di versi simile. Tutte queste canzoni successive, invece, avranno un numero di versi decisamente superiore, e saranno composte anche di parecchie strofe. Questa è la cosiddetta canzone leopardiana, che era un componimento personale. Già aveva scritto canzoni Petrarca, per esempio, con uno schema molto rigido. Invece Leopardi non ha uno schema rigido. Il numero delle strofe, l’assenza di rime, l’alternarsi assolutamente libero di endecasillabi e settenari, rappresentano una svolta e quindi caratterizzano la canzone leopardiana, la distinguono dalla canzone precedente. Le analogie con i primi idilli sono: l’ispirazione sentimentale, il tono raccolto, l’ampia presenza di immagini paesaggistiche tratte dalla natura recanatese, la sintassi e il lessico. Quindi queste canzoni sono un po’ semplificate rispetto alle prime canzoni, più simili ai primi idilli, stilisticamente parlando. Nel periodo giovanile egli, quando parlava di canzoni, parlava di componimenti molto più elaborati, complessi; invece adesso Leopardi, pur utilizzando il termine canzone, di fatto ripropone le stesse tematiche degli idilli. Ecco perché c’è una terminologia che può variare, infatti queste poesie vengono chiamate o grandi idilli o canzoni, canti pisano-recanatesi. Le differenze rispetto ai primi idilli sono: la componente filosofica più marcata e insistita. Mentre nei primi idilli non cera questa forte componente, qui invece c’è. Nuovo è lo stile, la scrittura si fa più articolata con l’impiego di versi musicali e scorrevoli, termini aulici e leggeri, elegantemente accostati fra loro, cosa che abbiamo visto nel Sabato del villaggio”: termini aulici come face”, donzelletta”, garzoncello”, vengono accostati a termini comuni come “campagna”, “mazzolin di rose e viole”. Quindi Leopardi crea qualcosa di nuovo, estremamente nuovo, nel panorama della poesia. Ovviamente la grossa differenza fra i primi idilli e i grandi idilli è quella del passaggio filosofico, del pessimismo cosmico. Infatti, queste poesie rappresentano qualcosa di universale, non solo di personale, come prevalentemente nei primi idilli. La “ricordanza” è un istante di gioiosa pienezza, legata alla percezione dolorosa dello scorrere del tempo: per un attimo ricordiamo e ci lasciamo trasportare da questo ricordo, e ci sembra di godere (di questo ricordo). Tuttavia immediatamente dopo ci accorgiamo che il tempo scorre, e quindi accanto a questa piacevole sensazione, immediatamente subentra il dolore. Anche il ricordo, insomma, non è un piacere duraturo, anche perché sappiamo, in base alla teoria del piacere, che non è possibile sperimentare una felicità assoluta per l’uomo. Egli è come se adottasse una doppia vista. Io vedo Recanati adesso, ma dentro mi ricordo del passato. Infatti Leopardi sottolinea nelle Ricordanze” (poesia programmatica di questo periodo) la prospettiva esistenziale alla base della ricordanza. Silvia è il simbolo di questa bellezza effimera, simbolo della speranza che è caduta all’apparir del vero e anche Nerina, che è un altro simbolo dei sogni giovanili, rappresenta un bisogno di amore e comunione che rimane senza risposta.
Non viene corrisposto questo sentimento, questo desiderio. La donna rimane qualcosa di irraggiungibile.
Tutto l’universo, non soltanto gli uomini, è sottoposto alla leggi della natura, una natura che è matrigna. La Natura simboleggia la sorte comune, a cui nessuno si può sottrarre. Si tratta sempre e comunque non di qualcosa di presente, ma o di una proiezione del futuro, oppure del ricordo di un passato doloroso, come nel caso della Quiete dopo la tempesta”. Il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” è molto interessante, perché Leopardi esprime gli interrogativi fondamentali dell’uomo sull’origine e il senso della nostra vita, il mistero dell’esistenza universale. Arriva però alla fine di questo canto a farci capire che non c’è un senso, non c’è un significato per la nostra vita. La felicità è solamente un’illusione, il piacere o è figlio di affanno, come nella Quiete dopo la tempesta”, oppure proiezione nel futuro come nel “Sabato del villaggio”, insomma l’uomo non può mai essere felice. La poesia del Passero solitario” rappresenta ancora meglio il concetto della solitudine esistenziale, che non ha assolutamente alcuna possibilità di soluzione.