Complemento di fine
28 Dicembre 2019Introduzione alla raccolta La bufera e altro
28 Dicembre 2019Questa poesia di Eugenio Montale, intitolata “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, è un componimento toccante tratto dalla raccolta Satura (1962-1970), una delle opere più intime e riflessive dell’autore, dedicata in gran parte alla moglie, Drusilla Tanzi, soprannominata affettuosamente “Mosca”.
Il tema centrale è quello del lutto e della mancanza, espresso con estrema delicatezza e profondità, utilizzando l’immagine delle “scale” come metafora della vita condivisa e del percorso esistenziale fatto insieme.
Testo della poesia “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” di Eugenio Montale (Satura)
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni, 5
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due 10
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale, Satura (1962-1970), Milano, Mondadori, 1971.
Analisi tematica
- La metafora delle scale: Montale apre la poesia con l’immagine delle scale, un simbolo ricorrente che qui rappresenta il cammino della vita, un percorso fatto di gradini, ostacoli e passaggi quotidiani che l’io lirico ha affrontato insieme alla moglie. La discesa delle scale, ripetuta in modo iperbolico (“almeno un milione di scale”), evoca l’idea del tempo passato, della vicinanza e della complicità, ma anche delle piccole routine che caratterizzano la vita di coppia.
- Il vuoto lasciato dall’assenza: La seconda linea introduce immediatamente il senso di vuoto provocato dalla perdita: “e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”. Ogni gradino, che un tempo rappresentava un momento condiviso, ora si riempie di un’assenza opprimente. Questa sensazione di vuoto è palpabile e trasmette la difficoltà di continuare un percorso che appare svuotato di significato senza l’altra persona.
- La brevità del lungo viaggio: L’apparente paradosso nella terza linea — “Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio” — esprime la consapevolezza che, nonostante la lunga vita insieme, il tempo trascorso appare sempre troppo breve rispetto alla profondità del legame. Il “lungo viaggio” della vita comune si rivela insufficiente, quasi insufficiente a colmare il bisogno d’amore e di presenza. C’è una sottile malinconia legata all’irriducibile brevità dell’esistenza, resa ancora più acuta dalla perdita.
- La realtà oltre l’apparenza: Nella seconda parte della poesia, Montale introduce una riflessione più esistenziale: “il mio [viaggio] dura tuttora, né più mi occorrono / le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede”. Qui l’autore si distacca dalla realtà convenzionale, fatta di appuntamenti, coincidenze e trappole quotidiane. Questi dettagli rappresentano la superficialità della vita pratica, ma ora, dopo la morte della moglie, l’io lirico sembra avere acquisito una nuova consapevolezza: la realtà non è solo quella che si vede, è qualcosa di più profondo e nascosto, qualcosa che trascende il piano fisico.
- La complicità e l’amore: Il cuore della poesia si trova nella dichiarazione d’amore che emerge dal legame tra i due. Montale afferma di aver affrontato questo percorso “non già perché con quattr’occhi forse si vede di più”, negando quindi l’idea che l’altro servisse solo per una maggiore lucidità o visione oggettiva del mondo. La moglie non era solo un supporto razionale o materiale, ma la vera guida: “le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue”. La metafora delle pupille richiama la vista interiore, una visione più profonda della realtà, che Montale riconosceva soprattutto nella moglie, nonostante la sua cecità parziale. È lei, nonostante il suo limite fisico, ad avere una visione più vera e autentica, mentre lui, in fondo, era colui che si affidava a quella saggezza.
Temi principali
- Lutto e mancanza: Il tema del lutto è centrale: l’io lirico è consapevole del vuoto lasciato dalla moglie, e il vuoto è tanto fisico quanto emotivo. I gradini, prima affrontati insieme, sono ora vuoti, privi di senso. Questa mancanza viene però affrontata con un tono composto, malinconico ma non disperato, come se la consapevolezza dell’assenza fosse ormai parte integrante della vita dell’io poetico.
- La memoria e il tempo: La riflessione sul tempo, sia quello condiviso sia quello che resta da vivere, attraversa tutta la poesia. Il “lungo viaggio” è stato breve, e ora l’io lirico deve continuare da solo, ma la memoria dell’altro rimane una guida. Il tempo non è semplicemente cronologico, ma è legato alla profondità delle esperienze vissute insieme, che si rivelano sempre insufficienti di fronte all’ineluttabilità della morte.
- L’amore e la visione interiore: L’immagine delle pupille e della vista è una delle più potenti. Nonostante la moglie avesse problemi di vista, Montale le attribuisce le “sole vere pupille”, in quanto la sua capacità di vedere oltre le apparenze, di comprendere il senso profondo della realtà, era superiore. Questo suggerisce un amore fondato sulla stima e sulla profondità interiore, non semplicemente sulla presenza fisica o sugli atti quotidiani.
- La fragilità dell’esistenza: Come spesso accade in Montale, c’è un sottofondo di riflessione sulla fragilità della vita e sull’impossibilità di aggrapparsi a certezze o a schemi prestabiliti. La realtà che si vede non è tutto, e chi si affida solo alle apparenze rimane deluso. È una poesia di perdita, ma anche di accettazione, dove il mondo quotidiano e la sua complessità si dissolvono di fronte alla verità interiore dell’amore e della morte.
Conclusione
“Ho sceso, dandoti il braccio” è una delle poesie più intime di Montale, una riflessione sull’amore, la perdita e il tempo. È una dichiarazione d’amore postuma alla moglie, in cui l’autore riconosce quanto lei sia stata fondamentale nella sua vita, non tanto per una visione pratica della realtà, ma per la sua capacità di vedere oltre, di intuire una verità più profonda. La poesia si chiude su una nota di accettazione malinconica, dove l’assenza dell’amata è ormai parte dell’esperienza quotidiana, e l’io lirico continua il suo viaggio da solo, ma con la consapevolezza di aver condiviso qualcosa di unico e vero.