Tracce di temi per la Tipologia D: tema di attualità
27 Gennaio 2019Sara Renda
27 Gennaio 2019
Spunti per riscoprire una grande del Novecento della prof.ssa Raffaella Ballerio
“Se un Cardillo dovesse chiedere di me, eh bien fatelo pure passare”. Tornato nel suo palazzo a Liegi, il principe Ingmar Neville si dispone all’attesa: il Mistero ha sollecitato il suo cuore. E non si tratta di un cuore di donna”, ma, lo aveva corretto il Guantaio, il cuore stesso della Natura.” Ingmar era partito per un lieto viaggio” con gli amici nella ridente Napoli. Non sapeva che ne sarebbe tornato senza Albert e con un Cardillo” nel cuore.
Al “Lettore silenzioso nascosto nel cuore dei rumorosi tempi moderni…, Lettore paziente… fornito di una sua antenna privata per raccogliere il silenzio glaciale dell’Universo” (p. 391) il romanzo di Anna Maria Ortese non tarda a rivelarsi interpretazione magistrale dello spirito tragico del Novecento, ancor più doloroso della tragicità classica, nel conflitto tra l’asserzione del nulla, la negazione di una possibile felicità e il cuore dell’ uomo, che sempre anela.
Sin dall’inizio il monito: “E vedrai anche tu, curioso Lettore, seguendo questa storia, come là dietro non c’è nulla. Udrai solo, là in fondo, un povero glu-glu.” All’affermazione del “nulla” si sovrappone l’avvertimento di un “povero glu-glu”: il doloroso singulto dell’uomo che vorrebbe affermare il nulla come realtà certa e invece non può, non riesce il cuore umano a trovarvi quiete.
Quando i tre viaggiatori nordici, il principe Ingmar Neville con l’amico artista Albert Dupré e il commerciante Alphonse Nodier, giungono nell’esotica Napoli settecentesca, ai loro occhi si apre un paesaggio così incantevole che “non poterono quasi reprimere un grido d’ammirazione”. Ma, ad un certo punto, l’Autrice ne interrompe la descrizione: E qui ci fermiamo. Rievocare i paesaggi del passato non si può, diremmo che Dio non vuole; vi è in essi alcunché dell’Eden consentito all’uomo una volta sola egli non può rientrarvi.” Si rende necessario frenare la percezione della bellezza, perché potrebbe rivelarsi un’illusione anzi, si afferma che lo è, per difendersi dall’inganno. Altre sono le leggi che regolano la vita dell’uomo: Dio non vuole”. E, quasi alla fine della storia, l’ineluttabilità della negazione riecheggia nelle parole della vecchia domestica Ferrantina; alla domanda del principe: Credete, dunque, che il Cardillo nuoccia a chi lo ama?” Ferrantina risponde: E così Distrugge chi lo ama Perché è la nostra memoria, signore il desiderio dei giorni belli i giorni impossibili, che tutti abbiamo incontrato almeno una volta nella vita.” (p.381)
Del Cardillo, il “tragico uccello”, il cui canto risuona ovunque, nei vicoli di Napoli come nel cuore dei protagonisti, enigmatico regista dell’intricata storia, si intuisce sin dall’inizio il valore simbolico. La morte, rimasta senza spiegazioni convincenti, di un piccolo cardellino, trastullo di una bimba, introduce all’atmosfera di mistero che aleggia su tutta la storia, una storia che è “un dire e smentire continuo” (p. 353). Accadono fatti enigmatici: durante tutta la narrazione ora si arriva ad una spiegazione razionale ora si ripiomba nel mistero, perché emerge qualche nuovo elemento che manifesta l’insufficienza della spiegazione data. E così ondeggiando tra spiegazioni razionali ed enigmi, ad un certo punto, dopo l’ennesima inaspettata rivelazione, il principe, rivolto a Ferrantina, commenta: Il vostro amore legittimo per don Mariano non era tanto legittimo, se il Cardillo non voleva. E il Cardillo non voleva! Voi l’avete ucciso o creduto di ucciderlo quel venerdì santo…” (p.381). Una coincidenza? Un’allusione significativa? Rappresenta Dio il Cardillo, nella persona di Cristo? Forse. O piuttosto, la spietata illusione che Cristo rappresenta agli occhi di chi non riesce ad accoglierlo nella sua reale dimensione d’amore.
Il Cardillo affascina e incute terrore, provoca gioia e dolore. Sembra incantare le vite di tutti; quelli che lo sentono, almeno, perché qualcuno, come l’allegro e superficiale Nodier, significativamente, non lo ha mai sentito (p.314). Il principe Neville, invece, sin dall’inizio avverte il fascino misterioso del Cardillo, lo attende e la sua attesa non sarà vana. Il romanzo finisce proprio con l’epifania del Cardillo al principe.
Il nobile Neville, intraprendendo l’avventura napoletana con lo spirito del “sottile, allegro e poco benevolo indagatore e giocatore dei segreti e destini altrui”, vivrà, invece, l’esperienza del Destino. Conosce Elmina, ragazza tedesco-napoletana, figlia adottiva del guantaio don Mariano Civile. Donna Elmina si presenta da subito fredda ed enigmatica. Inizialmente i suoi modi poco raffinati di borghese arricchita suscitano repulsione al giovane nordico, che prende a chiamarla in cuor suo “Capra”. Neville non sa ancora quanto sia significativo il soprannome e quanta importanza verranno ad assumere per la sua vita le drammatiche vicende della giovane donna. “Capra” rimanda alla dimensione della Natura selvaggia (dionisiaca potremmo osare dire) e richiama l’immagine del capro espiatorio, di chi assume su di sé il Male del mondo. Durante una processione, secondo la più suggestiva e spettacolare tradizione napoletana, il principe ha un’allucinazione: un imprevisto movimento della piccola folla obbligò i reggitori della portantina a uno scarto improvviso, per il quale laurea bacheca si inclinò un poco lasciando intravedere la bambinesca figurina seduta su cuscini di raso rosa all’interno. Sembrava, a prima vista, un Bambino Gesù di cera, ma poi, guardando meglio, si vide che era una bella bambina addormentata col volto di donna Elmina. Sulla fronte le brillava una luce doro, ma non fissa: tenue come una lacrima, saliva e scendeva sull’innocente capo” (p.260). Certo Elmina può richiamare l’immagine di Cristo, ma solo per il mistero doloroso che cela in cuore. Mistero doloroso del cuore umano (all’origine, forse, di ogni dramma dell’Universo), questo mistero nessuno, solo la religione, chi labbia, saprà mai illuminare”(p.82).
Donna Elmina si vieta “ogni minimo piacere e gusto del vivere”. Il suo comportamento suscita inquietanti interrogativi: doveva forse espiare una colpa segreta? Elmina spiega: La felicità è male. Amare le creature è male. Solo Dio si deve amare. Dio ha fatto le creature e il loro dolore. Le creature vivono nel dolore, e solo il dolore si deve amare ” (p.82). Significativa la scissione creatore/creatura, opposta alla concezione cristiana, in cui Dio si fa uomo, si incarna nella Sua creatura. A tale lacerazione è dovuta l’ineluttabile condizione umana. Una simile spiegazione lascia il giovane Ingmar costernato: “Come! La felicità è male…” Fondamentale, allora, per principe il consiglio di un anziano Duca polacco, vecchio amico di sua madre, che gli suggerisce di recarsi al cimitero, alla cappella di famiglia dei Civile. Là avrebbe ricavato dalle iscrizioni diverse informazioni utili a dipanare un poco il groviglio di pensieri che gli arrovellava la mente.
Solo alla fine si comprenderà il messaggio cifrato dell’Ade! Il futuro era già scritto, la storia già scritta, come i miti antichi, perché è il Fato a reggere le fila delle umane vicende. Ma almeno gli eroi tragici dell’antichità aderendo al destino, pur doloroso, davano compimento al senso della vita e vedevano esaltato il loro valore per questo. Ingmar, leggendo il futuro in quelle iscrizioni del passato, non sapeva ancora di averne davanti il paradigma. Non a caso proprio in quell’occasione il Guantaio spiega al confuso Ingmar: Ma vi è vi è qualche noeud, in questo mondo, qualcosa che non capiremo mai: e ciò pesa sulla vita di mia figlia mi riferisco al cuore stesso della Natura” (p.115). Un mistero insito nella Natura: una legge non scritta, ma prescritta, che vincola i cuori umani al dolore. Inspiegabile, ineluttabile. Come inspiegabile (razionalmente inspiegabile) la decisione finale di Elmina ( p. 385). Ineluttabile l’appuntamento di Ingmar col Cardillo.
Il mistero doloroso celato nel cuore di donna Elmina rivelerà il suo nome anzi i suoi molteplici nomi, Hieronymus Käppchen, Geronte o Gerò, Lillot o Portapacchi, come molteplici sono le forme che cercano di assumere le creature appartenenti ad una dimensione oltre-razionale e per questo respinte dalla modernità e relegate alla sfera della superstizione o della favola, come i folletti. Hieronymus o Lillot è un ragazzo-folletto (non a caso anche “capretto”) che Elmina ha ricevuto in carico da suo padre. Ancora significativo un colloquio del principe con l’amico Duca: Siamo tuttora, o quasi, nel Secolo dei Lumi, non voglio dire che io abbia abiurato alla mia fede, per la fede nella Ragione, ma ne tengo conto, se permetti, e in questa storia vedo un insulto, bello e dichiarato, alla Ragione Umana (non, sia chiaro, a quella di marca francese). Contestami se ne hai l’animo”. Povero figlio mio” disse il Duca. parli della Ragione Umana (o francese che sia) come se dietro di essa non ve ne fosse un’altra, infinitamente più grande e, credimi, non ignobile. Quella riposta nella Natura! Vorrei ricordarti, a questo proposito, quanto udisti – e vedo che hai dimenticato – dal povero guantaio.” (p. 294)
Hieronymus o Geronte o Lillot è una creatura non riconosciuta dalla Ragione, “fra noi può solo morire”, un ragazzo-folletto, espressione di quella Natura che resta un noeud inesplicabile, ma pure così vivo e vincolante. Elmina stessa rivelerà ad Ingmar chi è Gerontino: il suo posto è nel cuore di donna Elmina. Questo è il suo luogo e la sua data di nascita. Lo avete capito spero, non ce lo toglie nessuno”. Il principe dapprima si sorprende a desiderare la morte di Hieronymus, per prenderne il posto nel cuore di Elmina; poi, disgustato da questo pensiero, si rivolge a Dio, perché lo respinga all’ultimo dei posti purché Lillot si salvi. Il principe sposa la devozione di Elmina. “Solo il Cardillo era vero, e il dolore e la fedeltà dell’orfana tedesca per Hieronymus Käppchen.” (p.414). Nessun’ altra verità per l’uomo che il dolore e la devozione consapevole a tale doloroso destino.
Elmina, novella Ifigenia, abbraccia fino in fondo il Destino: rinuncia alle proposte del principe, che le avrebbero risolto ogni problema, come un deus ex-machina, e continua a dedicarsi con estrema devozione al piccolo folletto. Neville torna al suo palazzo, dove attende a sua volta l’appuntamento col Destino. Quel Cardillo, di cui aveva disposto l’accesso qualora avesse chiesto di lui, ebbene, ora si era presentato. Ed egli lo accoglie. Chi sarà? Il romanzo si conclude con queste parole: Benedisse il Cardillo che arrivava, e finalmente gli avrebbe spiegato tutto. La follia e la separazione, il dolore e questa gioia che giungeva adesso con lui: tutta calma, fredda, infinita.”
Raffaella Ballerio