Foto tesi master
27 Gennaio 2019IL CONTE DI CARMAGNOLA
27 Gennaio 2019Alessandro Manzoni
ATTO QUINTO
SCENA I
Notte. Sala del Consiglio dei Dieci illuminata.
Il DOGE, i DIECI, e il CONTE seduti.
IL DOGE
(al Conte)
A questi patti offre la pace il Duca;
su ciò chiede il Consiglio il parer vostro.
IL CONTE
Signori, un altro io ve ne diedi; e molto
promisi allor: vi piacque. Io attenni in parte
quel che promesso avea: ma l’unge ancora
dalle parole è il fatto; ed or non voglio
farle obbliar però: sul labbro mio
imprevidente militar baldanza
non le mettea. Di novo avviso or chiesto,
altro non posso che ridirvi il primo.
Se intera e calda e risoluta guerra
far disponete, ah! siete a tempo: è questa
la miglior scelta ancora. Ei vi abbandona
Bergamo e Brescia; e non son vostre? L’armi
le han fatte vostre: ei non può tanto offrirvi
quanto sperar di torgli v’è concesso.
Ma, da un guerrier che vi giurò sua fede
voi non volete altro che il ver, se il modo
mutar di questa guerra a voi non piace,
accettate gli accordi.
IL DOGE
Il parlar vostro
accenna assai, ma poco spiega: un chiaro
parer vi si domanda.
IL CONTE
Uditel dunque.
Scegliete un duce, e confidate in lui:
tutto ei possa tentar; nulla si tenti
senza di lui: largo poter gli date;
stretto conto ei ne renda. Io non vi chiedo
ch’io sia l’eletto: dico sol che molto
sperar non lice da chi tal non sia.
MARINO
Non l’eravate voi quando i prigioni
sciolti voleste, e il furo? Eppur la guerra
più risoluta non si fea per questo,
né certa più. Duce e signor nel campo,
forse concesso non l’avreste.
IL CONTE
Avrei
fatto di più: sotto alle mie bandiere
venian quei prodi; e di Filippo il soglio
voto or sarebbe, o sederiavi un altro.
IL DOGE
Vasti disegni avete.
IL CONTE
E l’adempirli
sta in voi: se ancor nol son, n’è cagion sola
che la man che il dovea sciolta non era.
MARINO
A noi si disse altra cagion: che il Duca
vi commosse a pietà , che l’odio atroce
che già portaste al signor vostro antico,
sovra i presenti il rovesciaste intero.
IL CONTE
Questo vi fu riferto? Ella è sventura
di chi regge gli Stati udir con pace
l’impudente menzogna, i turpi sogni
d’un vil di cui non degneria privato
le parole ascoltar.
MARINO
Sventura è vostra
che a tal riferto il vostro oprar s’accordi,
che il rio linguaggio lo confermi, e il vinca.
IL CONTE
Il vostro grado io riverisco in voi,
e questi generosi in mezzo a cui
v’ha posto il caso: e mi conforta almeno
che il non mertato onor di che lor piacque
cingere il loro capitan, lo stesso
udirvi io qui, mostra ch’essi han di lui
altro pensiero.
IL DOGE
Uno è il pensier di tutti.
IL CONTE
E qual?
IL DOGE
L’udiste.
IL CONTE
E’ del Consiglio il voto
quello che udii?
IL DOGE
Sì: il crederete al Doge.
IL CONTE
Questo dubbio di me?…
IL DOGE
Già da gran tempo
non è più dubbio.
IL CONTE
E m’invitaste a questo?
E taceste finor?
IL DOGE
Sì, per punirvi
del tradimento, e non vi dar pretesti
per consumarlo.
IL CONTE
Io traditor! Comincio
a comprendervi alfin: pur troppo altrui
creder non volli. Io traditor! Ma questo
titolo infame infimo a me non giunge:
ei non è mio; chi l’ha mertato il tenga.
Ditemi stolto: il soffrirò, che il merto:
tale è il mio posto qui; ma con null’altro
lo cambierei, ch’egli è il più degno ancora.
Io guardo, io torno col pensier sul tempo
che fui vostro soldato: ella è una via
sparsa di fior. Segnate il giorno in cui
vi parvi un traditor! Ditemi un giorno
che di grazie e di lodi e di promesse
colmo non sia! Che più? Qui siedo; e quando
io venni a questo che alto onor parea,
quando più forte nel mio cor parlava
fiducia, amor, riconoscenza, e zelo…
Fiducia no: pensa a fidarsi forse
quei che invitato tra gli amici arriva?
Io veniva all’inganno! Ebben, ci caddi;
ella è così. Ma via; poiché gettato
è il finto volto del sorriso ormai,
sia lode al ciel; siamo in un campo almeno
che anch’io conosco. A voi parlare or tocca;
e difendermi a me: dite, quai sono
i tradimenti miei?
IL DOGE
Gli udrete or ora
dal Collegio segreto.
IL CONTE
Io lo ricuso.
Ciò che feci per voi, tutto lo feci
alla luce del sol; renderne conto
tra insidiose tenebre non voglio.
Giudice del guerrier, solo è il guerriero.
Voglio scolparmi a chi m’intenda; voglio
che il mondo ascolti le difese, e veda…
IL DOGE
Passato è il tempo di voler.
IL CONTE
Qui dunque
mi si fa forza? Le mie guardie!
(alzando la voce, si move per uscire)
IL DOGE
Sono
l’unge di qui. Soldati!
(entrano genti armate)
Eccovi ormai
le vostre guardie.
IL CONTE
Io son tradito!
IL DOGE
Un saggio
pensier fu dunque il rimandarle: a torto
non si pensò che, in suo tramar sorpreso,
farsi ribelle un traditor potria.
IL CONTE
Anche un ribelle, sì: come v’aggrada
ormai potete favellar.
IL DOGE
Sia tratto
al Collegio segreto.
IL CONTE
Un breve istante
udite in pria. Voi risolveste, il vedo,
la morte mia; ma risolvete insieme
la vostra infamia eterna. Oltre l’antico
confin l’insegna del Leon si spiega
su quelle torri, ove all’Europa è noto
ch’io la piantai. Qui tacerassi, è vero;
ma intorno a voi, dove non giunge il muto
terror del vostro impero, ivi librato,
ivi in note indelebili fia scritto
il benefizio e la mercé. Pensate
ai vostri annali, all’avvenir. Tra poco
il dì verrà che d’un guerriero ancora
uopo vi sia: chi vorrà farsi il vostro?
Voi provocate la milizia. Or sono
in vostra forza, è ver; ma vi sovvenga
ch’io non ci nacqui, che tra gente io nacqui
belligera, concorde: usa gran tempo
a guardar come sua questa qualunque
gloria d’un suo concittadin, non fia
che straniera all’oltraggio ella si tenga.
Qui c’è un inganno: a ciò vi trasse un qualche
vostro nemico e mio: voi non credete
ch’io vi tradissi. E’ tempo ancora.
IL DOGE
E’ tardi.
Quando il delitto meditaste, e baldo
affrontavate chi dovea punirlo,
tempo era allor d’antiveggenza.
IL CONTE
Indegno!
Tu mi rendi a me stesso. Tu credesti
ch’io chiedessi pietà , ch’io ti pregassi:
tu forse osasti di pensar che un prode
pe’ giorni suoi tremava. Ah! tu vedrai
come si mor. Va; quando l’ultim’ora
ti coglierà sul vil tuo letto, incontro
non le starai con quella fronte al certo,
che a questa infame, a cui mi traggi, io reco.
(parte il Conte tra i Soldati)
SCENA II
Casa del Conte.
ANTONIETTA, e MATILDE
MATILDE
Ecco l’aurora; e il padre ancor non giunge.
ANTONIETTA
Ah! tu nol sai per prova: i lieti eventi
tardi, aspettati giungono, e non sempre.
Presta soltanto è la sventura, o figlia:
intraveduta appena, ella c’è sopra.
Ma la notte passò: l’ore penose
del desio più non son: tra pochi istanti
quella del gaudio sonerà. Non puote
ei più tardar; da questo indugio io prendo
un fausto augurio: il consultar sì lungo
tratto non han, che per fermar la pace.
Ei sarà nostro, e per gran tempo.
MATILDE
O madre,
anch’io lo spero. Assai di notti in pianto,
e di giorni in sospetto abbiam passati.
E’ tempo ormai che, ad ogni istante, ad ogni
novella, ad ogni susurrar del volgo
più non si tremi, e all’alma combattuta
quell’orrendo pensier più non ritorni:
forse colui che sospirate, or more.
ANTONIETTA
Oh rio pensier! ma almen per ora è l’unge.
Figlia, ogni gioia col dolor si compra.
Non ti sovvien quel dì che il tuo gran padre
tratto in trionfo, tra i più grandi accolto,
portò l’insegne de’ nemici al tempio?
MATILDE
Oh giorno!
ANTONIETTA
Ognun parea minor di lui;
l’aria sonava del suo nome; e noi
scevre dal volgo, in alto loco intanto
contemplavam quell’uno in cui rivolti
eran tutti gli sguardi: inebbriato
il cor tremava, e ripetea: siam sue.
MATILDE
Felici istanti!
ANTONIETTA
Che avevam noi fatto
per meritarli? A questa gioia il cielo
ci trascelse tra mille. Il ciel ti scelse,
il ciel ti scrisse un sì gran nome in fronte;
tal don ti fece, che a chiunque il rechi,
n’andrà superbo. A quanta invidia è segno
la nostra sorte! E noi dobbiam scontarla
con queste angosce.
MATILDE
Ah! son finite… ascolta;
odo un batter di remi… ei cresce… ei cessa…
Si spalancan le porte… ah! certo ei giunge:
o madre, io vedo un’armatura; è lui.
ANTONIETTA
Chi mai saria s’egli non fosse?… O sposo…
(va verso la scena)
SCENA III
GONZAGA, e dette.
ANTONIETTA
Gonzaga!… ov’è il mio sposo? ov’è?… Ma voi
non rispondete? Oh cielo! il vostro aspetto
annunzia una sventura.
GONZAGA
Ah che pur troppo
annunzia il vero!
MATILDE
A chi sventura?
GONZAGA
O donne!
Perché un incarco sì crudel m’è imposto?
ANTONIETTA
Ah! voi volete esser pietoso, e siete
crudel: tremar più non ci fate. In nome
di Dio, parlate; ov’è il mio sposo?
GONZAGA
Il cielo
vi dia la forza d’ascoltarmi. Il Conte…
MATILDE
Forse è tornato al campo?
GONZAGA
Ah! più non torna…
Egli è in disgrazia de’ Signori… è preso.
ANTONIETTA
Egli preso! perché?
GONZAGA
Gli danno accusa
di tradimento.
ANTONIETTA
Ei traditore?
MATILDE
Oh padre!
ANTONIETTA
Or via, seguite: preparate al tutto
siam noi: che gli faran?
GONZAGA
Dal labbro mio
voi non l’udrete.
ANTONIETTA
Ahi l’hanno ucciso!
GONZAGA
Ei vive;
ma la sentenza è proferita.
ANTONIETTA
Ei vive?
Non pianger, figlia, or che d’oprare è il tempo.
Gonzaga, per pietà , non vi stancate
della nostra sventura; il ciel v’affida
due derelitte: ei v’era amico: andiamo,
siateci scorta ai giudici. Vien meco,
poverella innocente: oh! vieni: in terra
c’è ancor pietà : son sposi e padri anch’essi.
Mentre scrivean l’empia sentenza, in mente
non venne lor ch’egli era sposo e padre.
Quando vedran di che dolor cagione
è una parola di lor bocca uscita,
ne fremeranno anch’essi; ah! non potranno
non rivocarla: del dolor l’aspetto
è terribile all’uom. Forse scusarsi
quel prode non degnò, rammentar loro
quanto per essi oprò; noi rammentarlo
sapremo. Ah! certo ei non pregò; ma noi,
noi pregheremo.
(in atto di partire)
GONZAGA
Oh ciel, perché non posso
lasciarvi almen questa speranza! A preghi
loco non c’è; qui i giudici son sordi,
implacabili, ignoti: il fulmin piomba,
la man che il vibra è nelle nubi ascosa.
Solo un conforto v’è concesso, il tristo
conforto di vederlo, ed io vel reco.
Ma il tempo incalza. Fate cor; tremenda
è la prova; ma il Dio degl’infelici
sarà con voi.
MATILDE
Non c’è speranza?
ANTONIETTA
Oh figlia!
(partono)
SCENA IV
Prigione.
IL CONTE
A quest’ora il sapranno. Oh perché almeno
l’unge da lor non moio! Orrendo, è vero,
lor giungeria l’annunzio; ma varcata
l’ora solenne del dolor saria;
e adesso innanzi ella ci sta: bisogna
gustarla a sorsi, e insieme. O campi aperti!
o sol diffuso! o strepito dell’armi!
o gioia de’ perigli! o trombe! o grida
de’ combattenti! o mio destrier! tra voi
era bello il morir. Ma… ripugnante
vo dunque incontro al mio destin, forzato,
siccome un reo, spargendo in sulla via
voti impotenti e misere querele?
E Marco, anch’ei m’avria tradito! Oh vile
sospetto! oh dubbio! oh potess’io deporlo
pria di morir! Ma no: che val di novo
affacciarsi alla vita, e indietro ancora
volgere il guardo ove non lice il passo?
E tu, Filippo, ne godrai! Che importa?
Io le provai quest’empie gioie anch’io:
quel che vagliano or so. Ma rivederle!
ma i lor gemiti udir! l’ultimo addio
da quelle voci udir! tra quelle braccia
ritrovarmi… e staccarmene per sempre!
Eccole! O Dio, manda dal ciel sovr’esse
un guardo di pietà .
SCENA V
ANTONIETTA, MATILDE, GONZAGA, e il CONTE
ANTONIETTA
Mio sposo!…
MATILDE
Oh padre!
ANTONIETTA
Così ritorni a noi? Questo è il momento
bramato tanto?…
IL CONTE
O misere, sa il cielo
che per voi sole ei m’è tremendo. Avvezzo
io son da lungo a contemplar la morte,
e ad aspettarla. Ah! sol per voi bisogno
ho di coraggio; e voi, voi non vorrete
tormelo, è vero? Allor che Dio sui boni
fa cader la sventura, ei dona ancora
il cor di sostenerla. Ah! pari il vostro
alla sventura or sia. Godiam di questo
abbracciamento: è un don del cielo anch’esso.
Figlia, tu piangi! e tu, consorte!… Ah! quando
ti feci mia, sereni i giorni tuoi
scorreano in pace; io ti chiamai compagna
del mio tristo destin: questo pensiero
m’avvelena il morir. Deh ch’io non veda
quanto per me sei sventurata!
ANTONIETTA
O sposo
de’ miei bei dì, tu che li festi; il core
vedimi; io moio di dolor; ma pure
bramar non posso di non esser tua.
IL CONTE
Sposa, il sapea quel che in te perdo; ed ora
non far che troppo il senta.
MATILDE
Oh gli omicidi!
IL CONTE
No, mia dolce Matilde; il tristo grido
della vendetta e del rancor non sorga
dall’innocente animo tuo, non turbi
quest’istanti: son sacri. Il torto è grande;
ma perdona, e vedrai che in mezzo ai mali
un’alta gioia anco riman. La morte!
Il più crudel nemico altro non puote
che accelerarla. Oh! gli uomini non hanno
inventata la morte: ella saria
rabbiosa, insopportabile: dal cielo
essa ci viene; e l’accompagna il cielo
con tal conforto, che né dar né torre
gli uomini ponno. O sposa, o figlia, udite
le mie parole estreme: amare, il vedo,
vi piombano sul cor; ma un giorno avrete
qualche dolcezza a rammentarle insieme.
Tu, sposa, vivi; il dolor vinci, e vivi;
questa infelice orba non sia del tutto.
Fuggi da questa terra, e tosto ai tuoi
la riconduci: ella è lor sangue; ad essi
fosti sì cara un dì! Consorte poi
del lor nemico, il fosti men; le crude
ire di Stato avversi fean gran tempo
de’ Carmagnola e de’ Visconti il nome.
Ma tu riedi infelice; il tristo oggetto
dell’odio è tolto: è un gran pacier la morte.
E tu, tenero fior, tu che tra l’armi
a rallegrare il mio pensier venivi,
tu chini il capo: oh! la tempesta rugge
sopra di te! tu tremi, ed al singulto
più non regge il tuo sen; sento sul petto
le tue infocate lagrime cadermi;
e tergerle non posso: a me tu sembri
chieder pietà , Matilde: ah! nulla il padre
può far per te; ma pei diserti in cielo
c è un Padre, il sai. Confida in esso, e vivi
a dì tranquilli se non lieti: Ei certo
te li prepara. Ah! perché mai versato
tutto il torrente dell’angoscia avria
sul tuo mattin, se non serbasse al resto
tutta la sua pietà ? Vivi, e consola
questa dolente madre. Oh ch’ella un giorno
a un degno sposo ti conduca in braccio!
Gonzaga, io t’offro questa man che spesso
stringesti il dì della battaglia, e quando
dubbi eravam di rivederci a sera.
Vuoi tu stringerla ancora, e la tua fede
darmi che scorta e difensor sarai
di queste donne, fin che sian rendute
ai lor congiunti?
GONZAGA
Io tel prometto.
IL CONTE
Or sono
contento. E quindi, se tu riedi al campo,
saluta i miei fratelli, e dì lor ch’io
moio innocente: testimon tu fosti
dell’opre mie, de’ miei pensieri, e il sai.
Dì lor che il brando io non macchiai con l’onta
d’un tradimento: io nol macchiai: son io
tradito. E quando squilleran le trombe,
quando l’insegne agiteransi al vento,
dona un pensiero al tuo compagno antico.
E il dì che segue la battaglia, quando
sul campo della strage il sacerdote,
tra il suon lugubre, alzi le palme, offrendo
il sacrifizio per gli estinti al cielo,
ricordivi di me, che anch’io credea
morir sul campo.
ANTONIETTA
Oh Dio, pietà di noi!
IL CONTE
Sposa, Matilde, ormai vicina è l’ora;
convien lasciarci… addio.
MATILDE
No, padre…
IL CONTE
Ancora
una volta venite a questo seno;
e per pietà partite.
ANTONIETTA
Ah no! dovranno
staccarci a forza.
(si sente uno strepito d’armati)
MATILDE
Oh qual fragor!
ANTONIETTA
Gran Dio!
(s’apre la porta di mezzo, e s’affacciano genti armate; il capo di esse s’avanza verso il Conte: le due donne cadono svenute)
IL CONTE
O Dio pietoso, tu le involi a questo
crudel momento; io ti ringrazio. Amico,
tu le soccorri, a questo infausto loco
le togli; e quando rivedran la luce
dì lor… che nulla da temer più resta.
FINE DELLA TRAGEDIA
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