La filosofia Scolastica
3 Novembre 2013Io, che vivo il carcere, difendo la Cancellieri – di Gino Rigoldi
5 Novembre 2013Carissimo Claudio Magris,
da Havel che lei cita all’inizio del suo articolo sul fenomeno inquietante del Datagate abbiamo molto da imparare oggi, la sua è una lezione che entra nel merito di questo minaccioso spionaggio universale che mette la nostra vita quotidiana sotto un ferreo controllo come accadeva nella Berlino del film “Le Vite degli altri”.
Io le suggerirei di completare la sua citazione con questo breve ma incisivo passo del suo libro Il potere dei senza potere, là dove Havel scrive: ” Parlando di Charta 77, Jan Patocka usava il concetto di “solidarietà degli scossi” . Pensava a coloro che hanno osato resistere al potere impersonale e opporgli l’unica cosa di cui disponevano: la propria umanità”
Oggi di fronte a questo potere impersonale che registra tutto ciò che facciamo e diciamo noi non abbiamo altro da opporre se non la nostra umanità e questo scava un solco di bellezza e verità che rigenera la vita.
Lo sappiamo che siamo spiati e controllati in ogni passo, che ogni ambito di lavoro, una fabbrica come una scuola, è sotto gli occhi di un capo che registra parole e comportamenti e poi va a riferire. Per vivere bisogna cedere a qualche ricatto, questa è la logica che domina la società e il Datagate si afferma proprio per questo cedimento al controllare come all’essere controllati.
Havel ha lanciato un’altra sfida, la sfida ad esserci e non ad omologarsi. La questione vera allora ieri come oggi è come si possa esserci, come si possa vincere la stretta della omologazione.
Lo sanno tutti che vi è questa pressione, e sanno anche ben analizzarne le dinamiche, ma non si vince questo controllo sempre più opprimente con l’analisi delle dinamiche sbagliate della famiglia.
La strada per vincere non è l’analisi, è un’altra, è una forza interiore che fa fiorire l’umanità: questo è il segreto di chi ha osato sfidare il potere, che hanno capito che la loro forza non è una loro particolare genialità, ma quell’Uno cui danno la vita interamente. Disporre della propria umanita’, saperla coltivare, intuirne l’unicità, qui sta la leva che vince ogni potere, qui sta il potere dei senza potere, qui nella capacità che ogni essere porta con sé, nel giudizio che il cuore sa dare e sa opporre al’omologazione che ci opprime, a questo controllo che arriva a soffocarci con una stretta quanto mai forte. Contro questo potere noi abbiamo solo la nostra umanità, la coscienza del valore unico che ognuno di noi è; qui si incunea il solco che può percorrere solo chi è serio con se stesso, solo chi prende sul serio la sua umanità. E’ una strada che attrae l’umano, è la strada che percorre il cuore fino ad arrivare a riconoscere che ciò di cui consiste l’io è ciò di cui consiste ogni altro, è la tensione che spinge l’io a quel Tu in cui si compie. Oggi di fronte al Datagate che ci opprime c’è quanto mai l’urgenza a riconoscere il valore di cui siamo fatti, quel legame originario con la trascendenza che rende capaci di stare di fronte a chi ci controlla, così liberi da non temere quel potere impersonale che pensa di sapere tutto di noi, ma che in realtà non sa che ciò di cui viviamo è più grande di quello che sappiamo fare. Qui sta il segreto che può vincere il Datagate, è il segreto di Havel, che lui aveva un potere più forte di quel potere che pensava di controllarlo, è il potere della sua umanità, quella tensione insopprimibile al vero e al bello, una tensione che ci libera.
Il Datagate è quanto mai inserito dentro i legami che viviamo, arriva persino dentro gli affetti più veri, come un rivolo si incunea in ogni piega del tessuto sociale, ma nulla può contro la forza originaria dell’umano, quella apertura al vero e al bello che scardina ogni controllo, che lo vince.
E’la lezione di Havel, e lei caro Magris la può apprendere per intero, sorprendendo così ciò che abbiamo da opporre a questo spionaggio universale, il nostro cuore. E se non ci fa paura, è perché sappiamo che sta in noi la forza per affrontarlo!
Gianni Mereghetti
Abbiategrasso
Inutilità dello spionaggio universale. Cosa (non) ci ha insegnato il comunismo
Scritto da Claudio Magris, Corriere della Sera
Domenica 03 Novembre 2013
Quand’era in una prigione comunista a Praga, Havel scrisse che ciò che accadeva in quei
Paesi e regimi dell’Est era pure un memento per l’Occidente, perché mostrava a quest’ultimo il
suo latente destino.
Speriamo che l’intrepido campione di libertà si sia sbagliato e che, se il comunismo –
straordinariamente capace di vincere le guerre e disastrosamente votato a perdere le paci – è
andato a gambe all’aria l’Occidente non lo segua in questa caduta libera, come ogni tanto la
durissima crisi economica, effetto e causa a sua volta di crisi politica, potrebbe indurre a
temere. La recente vicenda, offensiva e pasticciona, dello spionaggio universale potrebbe
essere un indizio preoccupante. Se i regimi comunisti sono andati a rotoli, ciò è accaduto non
soltanto ma anche perché, come scriveva Cesare Cases riferendosi alla Ddr, metà dei cittadini
era impegnata a spiare l’altra metà e a riferire minuziosamente e macchinosamente i risultati
quasi sempre nulli di tali spiate, anziché essere impegnata a produrre, a lavorare, a fornire
servizi. Se non si zappa la terra né si mungono le mucche né si fanno correre puntuali i treni,
pane latte e altre merci e cose necessarie non arrivano nei negozi, nelle case e negli stomaci.
Certo i servizi segreti e le loro spiate e intercettazioni svolgono in molti casi una funzione utile e
necessaria; possono aiutare a smascherare associazioni criminali, prevenire delitti, scoprire
truffe e furti eclatanti, segnalare preparativi di ostilità e di guerra, combattere il terrorismo.
L’utilità di tali risultati spesso però annega in un oceano di inutilità e perdita di tempo. Se
preparassi un attentato, difficilmente darei per telefono, per lettera o per email, precise ed
esplicite indicazioni sul luogo e l’ora in cui collocare gli ordigni micidiali e sugli esecutori della
strage; parlerei, secondo un codice, di mia zia a letto col raffreddore o delle giornate che si
fanno più brevi. Il messaggio criminoso può essere nascosto in centinaia di migliaia di messaggi
di auguri e saluti e per individuarlo occorrono legioni di esperti decifratori, chiamati a scoprire se
veramente andrò a New York per il compleanno di mio cugino. Quando viaggiavo per la
Romania di Ceausescu, le persone con cui facevo amicizia mi pregavano di non scrivere loro
una volta tornato in Italia, anche se non avrei certo scritto cose più delicate di «buon Natale» o
di «carissimi saluti e spero a presto». Immaginavo l’inutile e lungo lavoro che l’interpretazione di
quelle mie banalità avrebbe procurato agli agenti segreti.
Non credo che i vari 007, specialmente americani, che hanno ficcato il naso nelle case altrui e
soprattutto dei loro alleati abbiano scoperto granché. Si ha l’impressione, in generale, che
abbiano scoperto soprattutto l’acqua calda, cosa certo disdicevole se l’hanno scoperta spiando
dal buco della serratura Capi di Governo e di Stato mentre facevano la doccia in costume
adamitico. La reazione più appropriata sembra quella bonaria e in realtà tagliente del Vaticano,
il cui attuale Pontefice dimostra di possedere mirabilmente la grande ironia cattolica. Alla notizia
che i servizi segreti americani avrebbero intercettato pure le telefonate di Papa Francesco, la
risposta è stata «Non ci risulta e comunque non abbiamo nulla da nascondere». A questa
faccenda che ha fatto tanto chiasso la Chiesa ha dedicato pochi secondi. Certo, purtroppo
neanche un Papa ardito e originale come Francesco può permettersi un linguaggio più colorito
e che sarebbe ancora più appropriato; ad esempio quello di una vecchia storiella triestina, che
racconta di un tale il quale riteneva che le sue telefonate venissero origliate e registrate e allora,
ogniqualvolta sollevava la cornetta, diceva per prima cosa: «Mona chi scolta».