Tracce di temi per la Tipologia D: tema di attualità
27 Gennaio 2019Sara Renda
27 Gennaio 2019L’ospitalità per Kant è il diritto di uno straniero che arriva su un territorio di un altro stato di non essere trattato ostilmente.
L’origine etimologica del termine ospitalità è riconducibile alla composizione di due lessemi latini che sono hospes e potis e stanno cioè ad indicare il rapporto in cui lo straniero (originariamente hostis/nemico) viene a trovarsi nei confronti dell’autorità pubblica di un ordinamento giuridico in cui non gode del diritto di cittadinanza.
Il primo concetto che Kant tiene ad enucleare e chiarire nel Terzo articolo definitivo della Pace perpetua (il diritto cosmopolitico dev’essere limitato alle condizioni di una universale ospitalità) è quello di ospitalità (hospitalitat).
Anzitutto, scrive Kant, l’ospitalità viene ad individuare non un principio di relazionalità filantropica bensì un diritto vero e proprio, icasticamente definibile come ” il diritto di uno straniero che arriva su un territorio di un altro stato di non essere trattato ostilmente”.
Ora per Kant il diritto di ospitalità assume una configurazione decisamente positiva. Esso non va inteso come la facoltà dello straniero ad essere ospitato ed accolto nelle strutture abitative di un determinato Stato e non implica, quindi, ad un obbligo di accoglienza coabitativa da parte dei cittadini del paese ospitante, bensì va ricondotto ad un diritto di visita, al riconoscimento della facoltà cioè di circolare liberamente sul territorio di ogni singolo Stato, ” non si tratta di un diritto di ospitalità, cui si può fare appello… ma di un diritto di visita , spettante a tutti gli uomini…[ che] devono da ultimo rassegnarsi a incontrarsi e a coesistere”. Questo diritto incontra l’invalicabile limite del rispetto, da parte del suo titolare, di un contegno pratico e pacifico, di una prassi che non si ponga in contrasto con i diritti e le libertà del paese in cui si è recato ([lo straniero] può essere allontanato, se ciò può farsi senza suo danno, ma, fino a che dal canto suo si comporta pacificamente, non si deve agire ostilmente contro di lui. I. Kant, Per la pace perpetua, a cura di G. Sasso, p. 120).Il fondamento di codesto diritto di visita giace per Kant nel diritto naturale ( o di ragione). Il filosofo di Konisberg parte dalla constatazione empirica che gli uomini sono necessariamente indotti dalla limitatezza della superficie terrestre a convivere, coabitare e relazionarsi. Kant stabilisce un limite a questo diritto di ospitalità, o per lo meno vuole definire l’ambito entro cui esso possa esercitarsi, dicendo che non può estendersi oltre le condizioni di una universale ospitalità, vuol dire che colui che è ospite di uno stato straniero non può approfittare di questa sua posizione per disgregare lo stato o per minacciarne l’esistenza. Questa clausola è chiaramente diretta contro l’ingerenza dei cittadini degli stati colonizzatori nei paesi indigeni, per il filosofo è dunque implicito che il diritto cosmopolitico contenga il rifiuto di ogni forma di schiavismo e razzismo. Il dovere dell’ospitalità si lega alla necessità di favorire la reciproca conoscenza e cooperazione, quindi di pacifici rapporti tra il popolo. Il diritto di ospitalità che potremmo meglio qualificare come diritto di visita afferisce dunque per Kant alla sfera del diritto naturale, a quell’orizzonte normativo cioè che individua un’insieme di principi di diritto universalmente validi in qualsiasi contesto e da qualsiasi latitudine, a prescindere dalle condizioni particolari dell’ordinamento positivo.
Come dicevamo, Kant parte dalla considerazione del fatto che gli uomini si trovano nella necessità di abitare collettivamente la superficie terrestre e di fruire di essa in modo da poter realizzare gli “scambi commerciali” indispensabili alla loro sopravvivenza ed alla edificazione di modalità abitative sempre migliori. Nessuno, dunque, possiede per Kant un originario diritto ad impadronirsi della terra. L’ inospitalità si contrappone frontalmente dunque al diritto universale, alla realizzazione di quel libero commercio e di quelle libere attività produttive che costituiscono il principio propulsivo della civiltà e dell’economia. Di particolare rilievo appare l’individuazione da parte di Kant dei limiti e delle funzioni che il suddetto diritto di visita si vede affermare. Capovolgendo infatti la configurazione dei rapporti di forza tra soggetto ospitante e soggetto ospitato non facciamo infatti fatica ad intravedere in un’eccessiva estensione del diritto di ospitalità il rischio di una qualche, se pur parziale, legittimazione dell’imperialismo. Il diritto di visita deve avere dunque dei limiti precisi che sono formalmente delineati dalle condizioni necessarie per il libero e pacifico svolgimento di quelle attività economiche che, come abbiamo visto, ne costituiscono il fondamento antropologico-giusfilosofico, il fondamento di un diritto naturale (“Questo diritto di ospitalità, cioè questa facoltà degli stranieri sui territori altrui, non si estende oltre le condizioni che si richiedono per rendere possibile un tentativo di rapporto con gli antichi abitanti” I. Kant, Per la pace perpetua,p.121) emerge qui il valore che Kant attribuisce alla dimensione economica della natura umana. L’ uomo, in quanto essere libero e razionale e quindi in quanto ente morale, è capace di darsi un ordinamento relativo alle modalità di abitazione e di coabitazione della terra; regolamentazione questa che presuppone e prevede la strutturazione di una serie di rapporti di carattere tecnico-organizzativo volti ad un progressivo miglioramento e avanzamento della civiltà. Rileva qui ricordare lo stretto rapporto esistente tra l’elaborazione delle modalità di sfruttamento della proprietà comune originaria, della terra, e la creazione di un ordinamento giuridico, cioè delle regole per una pacifica convivenza intersoggettiva.(La parola economia viene dalla composizione di due termini greci: oikos -dimora- e nomìa -regolamentazione- e sta appunto ad indicare nella sua origine etimologica la regolamentazione delle modalità di abitazione del territorio).
Di fondamentale importanza è infatti qui riconoscere il nesso strutturale che intercorre tra la possibilità di attuare ed in qualche modo codificare stabili relazioni commerciali tra individui e paesi diversi, di cui il diritto di ospitalità è precondizione essenziale e ineludibile, e la costituzione di quell’ordinamento cosmopolitico che per Kant rappresenta il punto di arrivo dell’esperienza giuridica dell’uomo, il momento conclusivo del cammino verso la costruzione di regole per la convivenza intersoggettiva autenticamente conformi alla natura libera e razionale dell’uomo (“in questo modo -scrive Kant- parti del mondo lontane possono entrare reciprocamente in pacifici rapporti, e questi diventare col tempo formalmente giuridici ed infine avvicinare sempre più il genere umano ad una costituzione cosmopolitica”p. 121).
Purtroppo Kant non può non constatare a malincuore, che troppo sovente le mire espansionistiche e imperialistiche delle potenze politiche plutocratiche scavalchino i suddetti principi di diritto naturale e si facciano promotori con il pretestuoso alibi di consolidare la propria capacità economico-commerciale di veri e propri interventi di conquista gravemente lesivi dei diritti di popoli e cittadini, in ultima istanza, di quelle forme di relazione che si contraddistinguono per la loro costitutiva contrarietà a qualsiasi principio di reciprocità giuridica: “l’incitamento dei diversi Stati del paese a guerre sempre più estese, carestia, insurrezioni, tradimenti e tutta la rimanente serie dei mali, come la si voglia elencare, che affliggono il genere umano”. Per convalidare questa denuncia Kant fa alcuni esempi storicamente avvenuti. Ci sono stati dei tentativi suggeriti dall’esperienza da parte della Cina e del Giappone di ovviare ai pericoli che ospiti ingrati potrebbero ipoteticamente arrecare. Il filosofo di Konisberg distingue il concetto di Zugang tradotto con il termine “accesso” da intendere nel senso di visita nel territorio straniero per intraprendere scambi commerciali, dal concetto di Eingang traducibile invece come “entrata”, nel quale è ravvisabile un portato semantico corrispondente alla nozione di <<occupazione>>. Ora se nel caso della visita per motivi economici è possibile ed opportuno affermare l’esistenza di un diritto, nel caso dell'<<ingresso>> cioè dell’instaurazione di una presenza stabile sul territorio altrui di fatto indipendente dalla volontà di accoglienza della popolazione locale è difficilmente configurabile, ad avviso di Kant, la presenza di una spettanza giuridica soggettiva.
Kant giunge ad una tragica considerazione, anzi direi saggia “se si considera la cosa dal punto di vista del giudice morale”, cioè che il reddito di tali Stati invasori non è “reale” ma è semplicemente infruttuoso e per di più indirizzato verso scopi chiaramente immorali cioè verso il potenziamento delle strutture belliche (viene quindi a verificarsi una situazione deplorevole direbbe Kant in quanto un siffatto atteggiamento spingerebbe anche i restanti stati ad armarsi e quindi a creare di fatto una condizione di permanente belligeranza). Kant, dunque, disconosce la guerra come esplicazione del rapporto tra individui di stati diversi, promuovendo al suo posto lo spirito commerciale, possibile incentivo all’unione federale e, quindi, alla pace perpetua. Il commercio è per Kant uno di quei nuovi pilastri su cui si deve fondare un ordine internazionale pacifico: il commercio unisce popoli naturalmente divisi dalle diversità linguistiche, religiose e culturali, quando invece la guerra costituisce ogni motivo di separazione e differenziazione. Il filosofo di Konisberg non risparmia le sue critiche e usa parole forti anche verso “gli Stati che ostentano una grande religiosità: e mentre commettono ingiustizie con la stessa facilità con cui berrebbero un bicchier d’acqua, vogliono passare per esempi rari in fatto di osservanza del diritto”. L’auspicio non fantastico di Kant è quello di realizzare un diritto cosmopolitico, auspicio realizzabile perché la pax kantiana prevede che “la violazione del diritto avvenuta in un punto qualsiasi della terra sia avvertita in tutti i punti”.
Causa immediata di questa asserzione è il riconoscimento dell’inestricabile correlazione esistente tra le differenti società politiche, che già nell’età moderna si affacciava con evidente visibilità e che oggi ha ormai giunto proporzioni perspicuamente macroscopiche a cagione dell’incipiente fenomeno della globalizzazione. Sulla scorta del pensiero kantiano non possiamo dunque non riconoscere l’assoluta necessità che tale fenomeno si orienti in modo chiaro e pregiudiziale in corrispondenza della costituzione di quell’ordinamento cosmopolitico nel quale soltanto può giacere un’autentica fondazione giuridica della pace perpetua.(“L’idea di un diritto cosmopolitico non è una rappresentazione di menti esaltate , ma una necessaria integrazione del codice non scritto, così del diritto pubblico interno come del diritto internazionale, al fine di fondare un diritto pubblico in generale e quindi di attuare la pace perpetua alla quale solo a questa condizione possiamo lusingarci di approssimarci continuamente”)