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6 Agosto 2015di Carlo Zacco
L’idiota parla al giovinetto. Particolare finzione che presiede al trattato del Della Casa: il della casa ci presenta questa opera di fatto come scritta da un vecchio idiota, illetterato, ad un giovanetto. Quello che qui compare come titolo è nella sostanza una rubrica, messa dagli stampatori.
Prima della princeps. C’è un problema filologico su cui si è discusso, perché noi abbiamo una precedente redazione manoscritta, che è una copia in pulito di una redazione precedente rispetto al testo della princeps. La princeps è la prima edizione, ed è del 1558, pubblicato postumo, l’autore era morto da un paio di anni. Alcuni studiosi hanno sostenuto una tesi secondo la quale ( in particolar modo Barbarisi ha sostenuto questa tesi e pubblicato anche questa redazione manoscritta del Galateo) la prima redazione sia la redazione autentica, corrispondente alla volontà dell’autore. La seconda redazione, l’edizione, sarebbe stata normalizzata sotto il profilo linguistico ed espressivo ad opera dei curatori, che sono il segretario del Casa, e Carlo Gualteruzzi, noto per essere stato editore di testi che condivideva le istanze di Bembo.
La rappresentazione vivace dell’illetterato. Nella prima redazione tramandata dal manoscritto vaticano, le connotazioni proprie di questo illetterato ne danno di fatto una immagine anche da un punto di vista espressivo. Viene messa in evidenza quella componente, presente nell’opera, di divertimento letterario da parte dell’autore. L’autore letteratissimo che assume la maschera dell’illetterato: cosa più efficace nella prima edizione, più espressionistica.
La fortuna. Qui abbiamo il testo dell’edizione a stampa, che ebbe grandissima fortuna. Ci furono una quarantina di edizioni nel secondo cinquecento, e subito traduzioni in più lingue. Come il trattato del casa si mette sulla scia, traendo lo spunto della trattazione sul comportamento, della grandissima fortuna che aveva avuto il Cortegiano, così a sua volta il trattato del Della Casa ha una grande fortuna e diffusione, ed intorno ad esso fioriscono trattati sul comportamento. La fortuna deriva dal titolo stesso «il galateo» rimane il libro della buona creanza per antonomasia.
Il titolo. Il titolo è il nome latinizzato di Galeazzo Florimonte: importante è il ruolo di questa figura: uno dei quattro giudici del concilio di Trento, siamo ormai nell’età del concilio.
Datazione. L’opera fu scritta dopo il 1551 ed entro il 1555. Questo clima controriformistico si avverte nell’opera che per altro si pone in un momento di passaggio tra quelli che sono i punti di riferimento rinascimentali, e condivisi col Castiglione (armonia, bellezza, proporzione, convenienza, ecc) d’altra parte proprio nella precettistica a volte minuta, si è visto anche un riflesso di quella tendenza controriformistica a voler tutto regolamentare. Tutto mettere sotto norma. L’unico tratto che emerge in relazione al giovinetto per quello che riguarda aspetti di carattere etico e religioso è l’indicazione dell’ammaestramento dato «perché tu possi tenere la diritta via con salute dell’anima tua» e si aggiunge il motivo topico dell’onore e della familia: « e con laude e onore della tua orrevole e nobile famiglia» il nipote è il destinatario Annibale Ruccellai.
C’è un carattere in questa scrittura che in linea di massima punta ad una medietà espressiva, un tono colloquiale, con punte espressive di carattere comico realistico e dei tratti all’opposto alti e pomposi (nel proemio) ma complessivamente conguagliando il tutto possiamo dire che ha una certa medietà espressiva. Con tratti in cui la vivacità prevale.
Apertura pomposa. Presumibilmente la apertura pomposa è dovuta ad un intento di carattere ironico: chi si presenta con la maschera dell’illetterato si mette a parlare pomposamente nel proemio. D’altra parte questo suo essere pomposo si contrappone alla materia che, per quello che è, è dichiarata come materia che può essere considerata frivola. L’apertura dell’opera infatti è dedicata ad una annunciazione della materia e difesa da parte dell’autore. C’è un gioco della maschera del vecchio idiota, col letteratissimo Della Casa che ha avuto formazione eccellente.
La materia «frivola». Allora, qual è l’argomento dell’opera, perché potrebbe sembrare frivolo questo argomento? Perché l’ammaestramento è dato «al modo di fare per poter in comunicando ed in usando con le genti», cioè nella vita associata, «essere costumato e piacevole e di bella maniera». Quello che qui va considerato è che si tratta di un discorso relativo alla comune conversazione.
Ma niente affatto inutile. Il contesto non è di corte: il sistema delle corti italiane era entrato i n crisi da diverso tempo, ma tutto il trattato riguarda non tanto la personalità di chi agisce, ma la capacità che questi ha di adeguarsi ai modi e costumi con i quali egli ha conversazione. Modi e costumi che devono essere propri del costumato gentiluomo. Si tratta di un rapporto con persone che si dispongono in un contesto di buona creanza. Allora, può sembrare frivolo l’argomento, ma di fatto questo ammaestramento finalizzato a far diventare il lettore piacevole e di bella maniera viene definito o virtù o cosa che a virtù molto si avvicina.
Le virtù etiche. E c’è una distinzione tra quello che sono le virtù etiche (Aristotele, Etica nicomachea) ma d’altra parte, se queste virtù sono più grandi, l’uomo non sempre ha l’occasione di darne prova, né d’altra parte si può essere sempre adeguato ad alte virtù mentre essere costumato e piacevole richiede un uso molto più frequente, ed è utile averlo. Si osserva, con qualche polemica, che ci sono stai molti che senza avere delle grandi qualità proprio perché erano dotati di questo modo di essere costumato e piacevole sono saliti a gradi molto superiori rispetto a quelli che erano le loro qualità effettive, lasciando alle loro spalle quelli che erano più nobili d’animo di loro. Se polemica vi è in questo, resta comunque implicita perché il tema non è svolto.
Una punizione ben più grave. Per diventare costumati e piacevoli, c’è il fare cose positive, ma anche evitare il negativo: evitare il contrario: si essere zotichi e rozzi. Se essere costumato e piacevole rende amabili, al contrario essere zotichi e rozzi causa odio e disprezzo. Beninteso: non ci sono leggi che puniscono questo comportamento, ma la punizione è più dura: è la natura stessa che interviene: chi non è amabile e socievole è allontanato dal consorzio e dalla benevolenza degli uomini, e questo si deve evitare. Questo fastidio dato da chi non è amabile e piacevole e paragonato al fastidio dato da mosche e zanzare. E d’altra parte appunto risulta che di fatto si viene ad essere tanto fastidiosi da incorrere in un odio altrettanto quanto i malvagi, o addirittura più. Non c’è cosa più utile nella società che imparare ad essere costumati e piacevoli, ed il giovamento che deriva da quest opera. Questa attitudine si acquisisce con atti e con parole.
Adeguarsi all’aspettativa altrui. Perché impari a fare questo, e qui inizia a spiegare su quale via deve introdursi il giovinetto, «devi sapere che a te convien temperare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio ma secondo il piacer di coloro con i quali tu usi» si ribadisce con grande chiarezza che il punto è adeguarsi. Potremmo anche dire un modo di conformismo in relazione a quello che è di piacere, di uso, e anche di moda, in relazione a color che si frequentano. Bisogna però procedere evitando gli estremi: procedere mezzanamente.
- evitando gli estremi, naturalmente. Evitare di assecondare troppo, per non diventare «boffoni o giugulari o adulatore» e invece di essere costumati gentiluomini si arriva all’eccesso; al contrario bisogna evitare di essere zotici, scostumati e disavvenenti. Porsi in una via mezzana.
L’indagine: quello che diletta, e dispiace. Che cosa bisogna investigare? «se noi investigheremo quali sono quelle cose che dilettano più generalemente il più degli uomini, e quali quelli che noiano, potremo agevolmente trovare quali modi siano da schifarsi col vivere in esso loro, e quali siano da eleggerisi». E quali sono gli ambiti della trattazione: «Diciamo adunque che ciascun atto che è di noia ad alcuno de’ sensi, e ciò che è contrario all’appetito, et oltre a ciò quello che rappresenta alla imaginatione cose male da lei gradite, e similmente ciò che lo ‘ntelletto have a schifo, spiace e non si dèe fare».
- il paradigma negativo. Questa clausola introduce un motivo che come una sorta di ritornello segna tutto il trattato: è la spiacevolezza il valore negativo su cui si fonda tutto il sistema degli esempi del trattato. Il paradigma negativo. In alcuni tratti sono introdotti esempi di quello che si deve fare, ma in particolare viene segnalato attraverso esempi ciò che si deve evitare. E questo risulta evidente anche proprio dalla ripetizione continua dell’avverbio di negazione ed espressioni di negazione: « non solamente non sono da fare» oppure «al nominarlo si disdice».
D’altra parte si punta anche alla vivacità, la precettistica potrebbe risultare pedantesca: così non è perché è molto mossa e resa vivace anche dall’inserzione diretta di aneddoti e racconti. Qui si tratta delle cose che danno fastidio ai sensi, si tratta di quelle cose che danno fastidio a vederle o a sentirle, cose fatte con le mani, con la bocca e con il naso: la vivacità in relazione al far fiutare viene messa in evidenza in modo espressivo col discorso diretto. Si parla qui di cose stomachevoli: «E molto meno il porgere altrui a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni soglion fare con grandissima instantia, pure accostandocela al naso e dicendo: – Deh, sentite di gratia come questo pute! -; anzi doverebbon dire: – Non lo fiutate, perciò che pute». Anche da questo brevissimo tratto si può capire come entriamo nei comportamenti quotidiani e comuni. E possiamo trarne indicazioni gustose di costume nell’insieme di indicazioni che ci vengono dati. Il Casa è molto efficace nelle sottolineature dal punto di vista fonico: «E come questi e simili modi noiano quei sensi a’ quali appartengono, così il dirugginare i denti, il sufolare, lo stridere e lo stropicciar pietre aspre et il fregar ferro spiace agli orecchi, e dèesene l’uomo astenere più che può.»
Lo sbadiglio. Tutta una serie di indicazioni date, spesso brevi, ma anche che possono esse più ampie: un quadro più ampio e dato dallo sbadiglio. Qui si introduce in elemento che riguarda non solo quello che è brutto a vedersi, ma anche quello che chi ci guarda e ci osserva desume in relazione al nostro essere nei confronti di coloro che stanno intorno a noi: lo sbadiglio come gesto indica fastidio, noia nei confronti della brigata nella quale si sta, ed offre un giudizio negativo sulla nostra indole rendendoci poco amabili.
Troppo minuzioso? E’ l’effetto esterno, il modo in cui è accolto che importa. Molte indicazioni possono sembrare troppo minute, ma il vecchio idiota sottolinea che sarebbe un errore considerarle di poca importanza, spiega infatti, con qualche enfasi : «E non guardare perché le sopra dette cose ti paiano di picciolo momento, perciò che anco le leggieri percosse, se elle sono molte, sogliono uccidere.».
Ricciardo. Viene introdotta una vera propria novella: questo è un modo per variare la materia in questo trattato non sistematico. E’ in questa novella che si introduce la figura del Galateo, che è colui che ha spinto il nostro autore a scrivere quest’opera: si narra come il vescovo Giovanni Matteo Giberti accogliesse in modo liberale il Magnifico ospite nella sua casa e tra questi cera un nobile conte, chiamato Ricciardo, ed aveva tutti i nobili tratti per cui avremmo potuto giudicarlo un nobile cavaliere, e però aveva un difetto: mentre mangiava faceva uno strano strepito con la bocca. Allora che cosa fa il nostro vescovo Giberti? E’ un difetto che macchia l’essere costumato cavaliere. E quando questo si allontana dalla sua casa, manda con lui un personaggio che stava presso di lui, e che è per l’appunto Galateo, e domanda perché essendo un uomo prudente e discreto sapesse in modo accorto comunicargli questo difetto in modo che questi non si offendesse ma potesse allo stesso tempo difendersi. E in questo raccontino svolto come una novella, con discorso diretto, vediamo questo personaggio che con bel modo riesce a comunicare ciò che il vescovo gli aveva incaricato di comunicare a questo conte. E viene ad essere presentato come un dono, una liberalità del vescovo che in questo modo aveva saputo correggere l’unico difetto che questo nobile uomo aveva. Anche realisticamente ci viene presentata la reazione di questo conte che in un primo momento accoglie con rossore, imbarazzo ciò che gli viene detto, ma poi apprezza la correzione.
A questo racconto che ci porta una atmosfera che ha tratti di cortesia, si contrappone l’immagine espressionistica di chi si comporta in modo diverso: «Ora, che crediamo noi che avesse il Vescovo e la sua nobile brigata detto a coloro che noi veggiamo talora a guisa di porci col grifo nella broda tutti abbandonati non levar mai alto il viso e mai non rimuover gli occhi, e molto meno le mani, dalle vivande? E con amendue le gote gonfiate, come se essi sonassero la tromba o soffiassero nel fuoco, non mangiare, ma trangugiare: [40] i quali, imbrattandosi le mani poco meno che fino al gomito, conciano in guisa le tovagliuole che le pezze degli agiamenti sono più nette? Con le quai tovagliuole anco molto spesso non si vergognano di rasciugare il sudore che, per lo affrettarsi e per lo soverchio mangiare, gocciola e cade loro dalla fronte e dal viso e d’intorno al collo, et anco di nettarsi con esse il naso, quando voglia loro ne viene? [41] Veramente questi così fatti non meritarebbono di essere ricevuti, non pure nella purissima casa di quel nobile Vescovo, ma doverebbono essere scacciati per tutto là dove costumati uomeni fossero. Dèe adunque l’uomo costumato» ricomincia l’insegnamento. In questo punto così espressivo, con tratti grotteschi, e caricaturali. Il resto del discorso riguarda il convito ed aspetti analoghi.
Con il capitolo cinque finisce ciò che riguarda i sensi, e inizia ciò che riguarda l’appetito: quello che gli uomini naturalmente desiderano: benevolenza, onore e sollazzo. Ognuno nel proprio comportamento non deve dare l’idea che le persone con cui sta gli diano fastidio, non gli interessino, o altro. C’è un tratto di costume di qualcuno che quando parla con un altro lo tocca, e lo punzecchia col gomito.