Il carcere delle parole e delle assenze – di Vincenzo Andraous
15 Gennaio 2012Sono una cittadina italiana – di Cristina Rocchetto
21 Gennaio 2012Da tempo coltivavo l’idea di scrivere un trattatello pedagogico, magari sotto forma di romanzo breve, oppure un resoconto dettagliato, o quantomeno un articolo, per provare a documentare e descrivere minuziosamente, ma soprattutto a rielaborare sul piano della riflessione teorica, un’esperienza pedagogica senza dubbio originale (per cui ne rivendico l’esclusiva), concepita ed affinata nel corso della mia carriera professionale.
Mi riferisco ad un’invenzione metodologica alquanto personale che ha arricchito e perfezionato in termini di efficacia creativa l’azione didattica quotidiana, ottenendo riscontri educativi indiscutibilmente apprezzabili, talvolta persino eccellenti. Infatti, ovunque sia stato sperimentato, questo sistema pedagogico alternativo ha registrato reazioni favorevoli, entusiasmando gli alunni delle varie classi in cui è stato introdotto.
L’enorme successo di questa tipologia didattica si spiega in virtù del suo carattere ludico che la rende assai piacevole e divertente. E’ una tecnica utile e funzionale soprattutto per la memorizzazione delle tabelline, ma può essere impiegata in modo proficuo anche per l’apprendimento di contenuti attinenti ad altre discipline del curricolo formativo.
Pertanto, i principali destinatari di questa metodologia di insegnamento ludico sono gli alunni della scuola primaria in età compresa tra gli 8 e i 10/11 anni al massimo, cioè a partire dalla classe terza della scuola (ex) elementare. Ma nulla vieta di ricorrere a questa tecnica anche in una classe iniziale della secondaria di primo grado (ex scuola media), laddove l’insegnante di matematica registri la necessità di consolidare l’apprendimento delle tabelline nell’eventualità (ovviamente deprecabile ma frequente) che qualche alunno accusi gravi insufficienze, ritardi o lacune, oppure (l’insegnante) ritenga opportuno insistere su altri argomenti e cognizioni che risultino deboli o carenti.
Il meccanismo del gioco è molto elementare ed è facile da comprendere e rispettare: il regolamento si riduce a poche, semplicissime regole mutuate dal gioco del calcio che sono applicate nel contesto della classe. Non è un caso che si chiami “gioco del calcio” .
Anzitutto si procede alla rappresentazione grafica sulla lavagna (in alternativa su un foglio da disegno) del “rettangolo di gioco” , corrispondente alla forma rettangolare di un campo di calcio: basta disegnare una figura comprendente alcuni elementi essenziali quali le metà campo, le aree grandi e piccole, le porte e i calci d’angolo, inserendo in ogni metà campo una sequenza numerica da 1 a 3. Come si può desumere, già nella fase preparatoria del gioco si presentano alcuni esercizi operativi molto utili per l’assimilazione di nozioni di geometria piana, nella fattispecie sugli angoli e i rettangoli.
Le gare si possono disputare individualmente, oppure dividendo gli alunni in piccoli gruppi. La scelta della formula migliore (tra sfide individuali o a squadre) è dettata ovviamente da ragioni di utilità e convenienza, talvolta da necessità contingenti, che sarà l’insegnante a valutare in modo opportuno e costruttivo nelle varie circostanze. La mia esperienza personale mi ha indotto a preferire lo schema delle dispute individuali piuttosto che a squadre, rinunciando saggiamente ad allestire tornei a gironi eliminatori, onde evitare di innescare eccessive spinte agonistiche rischiando di esasperare gli animi.
L’insegnante svolge mansioni arbitrali e rivolge ai bambini le domande relative alle tabelline della moltiplicazione. Ogni tre risposte esatte consecutive date da uno dei due alunni concorrenti, si realizza un goal. La gara si conclude nel momento in cui uno dei due avversari segna il maggior numero di goal. Sarà l’insegnante a fissare, a propria discrezione, il termine del confronto. Per esperienza suggerisco un limite massimo di 3 goal, così da accelerare i tempi delle sfide e consentire a tutti i bambini di parteciparvi.
Mi permetto di esortare i colleghi (che dovessero decidere di adottare nel bagaglio della propria esperienza questa soluzione didattica-metodologica che, ripeto, ha dato luogo a risultati molto validi ovunque sia stata applicata) ad usare molta attenzione per evitare eventuali contraccolpi o scompensi sul piano psicologico ed emotivo, da parte degli alunni, eccitati magari dall’ansia o dalla tensione agonistica esasperata, derivante dalla competizione. Lo spirito che anima le gare tra i bambini, deve essere gestito e circoscritto il più possibile nell’alveo di un clima sereno ed equilibrato di sana sportività.
Aggiungo alcune considerazioni finali concernenti un aspetto che è di indubbia rilevanza.
Un metodo di insegnamento ispirato a scelte di carattere ludico-creativo non può mirare esclusivamente al perseguimento di specifici traguardi cognitivi fissati dall’insegnante, che sono innegabilmente preziosi, ma deve cercare di impostare e promuovere una finalità indubbiamente superiore che rientra in una sfera pedagogica più generale, vale a dire in una dimensione metacognitiva. Mi riferisco all’acquisizione di requisiti assolutamente indispensabili alla maturazione di una sana e corretta socializzazione e all’interiorizzazione di norme condivise, in quanto presupposti ineludibili per un processo di educazione alla cittadinanza e alla convivenza democratica, che costituisce il fine supremo di una scuola che “naviga” nella complessità del mondo contemporaneo.
Lucio Garofalo