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Il mistero della setta dei “Beati Paoli”
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento i cantastorie nel loro girovagare tra i paesi del meridione d’Italia raccontavano ancora al popolo, con l’ausilio di teloni dipinti a mo’ di quadro, le gesta di una terribile congrega, chiamata la “Setta dei Beati Paoli”. Da sottolineare che anche in uno sceneggiato RAI degli anni Settanta, dal titolo “L’amaro caso della Baronessa di Carini”, interpretato da Ugo Pagliai, Janet Agren e Adolfo Celi, si fa cenno proprio ad un’enigmatica setta esistente o che all’epoca dei fatti (primi dell’800) sembra sia esistita in Sicilia. Secondo alcuni documenti, come “La Cronaca di Fossanova” del 1186, “L’atto di giustizia” scritto dal sacerdote Giuseppe Ficarra del 1704, il “Viaggio in Sicilia” scritto da Federico Munter e pubblicato nel 1831, il giornale “Il Vapore” in cui un racconto di Vincenzo Linares fu pubblicato in due parti nel dicembre del 1836, le “Lettere su Messina e Palermo” scritte da un ufficiale borbonico d’origine napoletane e di stanza a Palermo, fino al romanzo di Luigi Natoli, pubblicato a puntate sul Giornale di Sicilia tra il 1909 e il 1910, si evince che la misteriosa setta dei “Beati Paoli” esisteva già all’epoca dei Normanni, ma che le sue gesta iniziarono ad entrare nel folklore popolare soprattutto nel XVII secolo per poi svilupparsi tra il XVIII e il XIX sec. Infatti i “Beati Paoli” sarebbero stati i continuatori dei “Vendicosi” o “Vendicatori”; perseguitati e scoperti nel 1185 ai tempi di Costanza, la figlia del re Ruggero dei Normanni; il loro capo, Adinulfo di Ponte Corvo, fu giustiziato mediante impiccagione, con molti altri accoliti. Dopo di che sorsero i “Beati Paoli”, che avevano l’obiettivo di punire i colpevoli lasciati impuniti dalle ordinarie, oltre ad opporsi ai bravacci dei potenti baroni che imperversavano sulla povera gente; divennero così ben presto dei giustizieri. Erano presenti nel meridione d’Italia e in Sicilia ma sembra che operassero soprattutto a Palermo e nei suoi dintorni. Secondi alcuni si riunivano in un sotterraneo di San Giovanni della Guilla, secondo altri nei sotterranei del Palazzo Reale o del Palazzo Marchesi, secondo altri ancora nelle cripte sotterranee della chiesa dell’Annunziata alle Balate. Inizialmente le loro riunioni avvennero, però, certamente, a San Cosimo, nel vicolo di Santa Maruzza; comunque sia, le riunioni erano tenute di notte, iniziavano a mezzanotte e il complesso reticolo di gallerie, tunnel, cunicoli e sotterranei di cui era ed è tuttora costellato il sottosuolo di Palermo si prestava perfettamente per le loro riunioni plenarie, dove i membri non si conoscevano neanche tra di loro, in quanto ognuno, oltre ad indossare un saio, portava un cappuccio con cui coprirsi il capo ed il viso. Questo serviva a raggiungere la massima sicurezza, poiché, se qualche membro veniva catturato, non avrebbe potuto fare in nessun modo, i nomi degli altri adepti. Le soffiate dei loro informatori erano raccolte presso la cassetta delle elemosine posta davanti alla statua di San Paolo nel Duomo di Palermo: appena erano a conoscenza di qualche torto, facevano subito seguire un atto intimidatorio per far smettere il prepotente. Se questo non accadeva, allora si procedeva al processo, che poteva avvenire alla sua presenza o in contumacia. Nel primo caso, se veniva emessa una condanna, il reo veniva legato ad una sedia di ferro e lì lasciato morire in qualche oscuro cunicolo; nel secondo caso invece veniva inviato un sicario che provvedeva ad uccidere il prepotente con un pugnale. Quindi, in conclusione, possiamo affermare che la setta dei “Beati Paoli” nacque per soddisfare la “giustizia” popolare, cioè una presunta “giusta” vendetta, nella Sicilia prima dell’unità d’Italia del 1860, affinché ci fosse qualcuno che si ergesse per difendere i deboli dalla prepotenza dei forti. Comunque nessuno mai saprà chi fossero o a quale ceto sociale appartenessero gli adepti di tale enigmatica setta, facendo rimanere i “Beati Paoli” avvolti da un eterno velo di mistero.
(cfr. F. RENDA, I Beati Paoli: storia, letteratura e leggenda, Palermo 1988)
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