Roberto Artl
27 Gennaio 2019Banners
27 Gennaio 2019Introduzione
Il monachesimo rappresenta, durante le invasioni barbariche, nei tempi sanguinosi delle lotte fra feudi, nell’epoca delle carestie e delle epidemie un fenomeno non solo religioso, ma anche sociale e culturale.
I monasteri furono per secoli i soli luoghi dove si conservava un barlume di vita civile, si teneva una scuola, si trascrivevano gli antichi testi della cultura romana e greca, si riparavano e si riproducevano attrezzi e suppellettili della passata età, si conservavano i documenti legali, si redigevano gli atti anagrafici, quelli relativi alla compravendita dei terreni, agli affitti, agli obblighi feudali. Nell’Alto Medioevo pochissimi sapevano leggere e scrivere ed erano in buona parte monaci.
I monasteri divennero anche degli importantissimi luoghi di produzione economica: ciò non solo li rendeva autosufficienti, ma permetteva di mantenere i poveri, di gestire gli ospedali, di dare ricovero ai viandanti e di curare i malati.
Il monaco
La parola monaco, dal greco “monos”, indica chi fa vita solitaria. I primi monaci furono appunto eremiti che si ritirarono in luoghi desertici per sfuggire alle tentazioni del mondo e alla corruzione della chiesa.
Altri monaci vivevano invece in comunità, attorno ad un cenobio (dal greco “Koinos” e “bios” = vita in comune). Chi ne faceva parte doveva rispettare regole precise.
Ma perché si diventava monaco?
Il monaco diventava tale per due motivi, o per vocazione autentica o per forza. Alcuni giovani decidevano spontaneamente di dedicarsi al monachesimo per servire Dio nel silenzio operoso, nell’umiltà e nella preghiera. Altri venivano rinchiusi a forza nei conventi dai loro genitori. Si trattava dei figli minori dei feudatari che non partecipavano all’eredità del feudo, la quale spettava solo al figlio maggiore.
A volte erano i figli stessi che, per ereditare il feudo, costringevano il padre a ritirarsi in convento.
Alcuni monaci, e soprattutto gli abati, avevano interessi terreni e controllavano enormi patrimoni accumulati attraverso i lasciti. Se ciò accadeva, nel monastero entrava la corruzione e quindi si trascuravano i valori spirituali.
I benedettini
I monasteri ebbero un enorme diffusione in quasi tutto il territorio europeo, provocando così la rinascita del Cristianesimo e dell’agricoltura.
Una delle regole più seguite fu quella benedettina che prevede l’autonomia e l’organizzazione: ognuno ha un compito ben assegnato (ora et labora) ed è punito chi, per cattiva volontà, non lo esegue.
Spesso i gruppi fissavano per iscritto forma lo statuto, l’insieme regole, obblighi, diritti necessari per il funzionamento del gruppo.
Il pensiero di San Benedetto
Nella concezione di San Benedetto il mondo costituiva un luogo in cui praticare continuamente l’ascesi, cioè la ricerca continua e sistematica di una perfetta vita cristiana e l’abate era il “padre” che costituiva un modello di riferimento e la suprema autorità della comunità. Coloro che si ritiravano si votavano alla stabilità, cioè a vivere tutta la vita nel luogo e con i confratelli che avevano scelto. Per loro non erano previsti impegni pastorali e di evangelizzazione.
I monaci dovevano provvedere da sé al proprio sostentamento e alle altre necessità materiali, al reclutamento e all’istruzione dei nuovi adepti, alla trascrizione e alla conservazione dei volumi necessari allo studio.
Il monachesimo dopo San Benedetto
Agli inizi dell’anno Mille la Chiesa attraversa un momento di corruzione dei costumi e nasce nelle coscienze religiose un forte desiderio di rinnovamento spirituale che parte proprio dai monasteri.
La riforma di Cl’uny
Il monastero di Cl’uny, in Borgogna, fondato dall’abate Bernone nel 910 adatta la regola di S. Benedetto alle nuove esigenze di riforma dei costumi della Chiesa. I Cl’uniacensi si dichiarano sottomessi unicamente al papa e, in questo modo, si sottraggono all’autorità dei poteri locali: re, vescovo, feudatari.
Rapidamente Cl’uny diviene un modello tanto che all’inizio del XII secolo in Europa esistono ben 1000 monasteri.
Altri ordini monastici e movimenti riformatori
Per ritornare all’ideale di povertà del Vangelo nascono nel XI-XII secolo altri ordini che predicano la povertà assoluta.
A Chartreuse Francia è fondato nel 1084 l’ordine dei Certosini che vivono come eremiti in cellette separate dove pregano, mangiano, lavorano. Solo la preghiera viene fatta collettivamente.
Nel 1098 l’abate Roberto dell’abbazia cl’uniacense di Molesme decide di ritirarsi a Citeaux dal latino “Cistercium” da cui prende il nome l’ordine cistercense. In polemica con la ricchezza dei Cl’uniacensi, egli richiama i monaci all’osservanza della regola di S. Benedetto, rivalutando la carità ed il lavoro manuale. Da questa iniziativa nasce l’ordine dei Cistercensi che si dedicano al dissodamento delle terre incolte ed alla bonifica delle terre paludose. Fra i cistercensi è famoso S.Bernardo di Chiaravalle (Chairvaux Francia). I Cistercensi hanno una diffusione enorme: alla metà del XII secolo esistono 350 abbazie, alla fine del secolo se ne contano 530. Con il passar del tempo i monasteri cl’uniacensi diventano molto ricchi in seguito alle varie donazioni e per questa loro eccessiva ricchezza vengono criticati.
L’organizzazione dei monasteri
I monasteri sorsero in rare occasioni sui resti di alcuni templi pagani, ma nella maggioranza dei casi nacquero dal niente.
Una delle abbazie principali fu quella di Montecassino, fondata da San Benedetto nel 529 d.C., costruita su di un’altura inaccessibile.
Infatti generalmente i monasteri venivano costruiti in zone isolate. A capo del monastero vi era l’abate, eletto dai suoi confratelli e destinato a restare in carica a vita (erano però possibili le dimissioni). L’abate rappresentava il monastero all’esterno, partecipando al capitolo generale e visitando le abbazie figlie. L’abate poteva essere aiutato da un priore che sorvegliava la disciplina e la vita collettiva
Vita nel monastero
L’attività principale del monastero per favorire la contemplazione e la preghiera, era il lavoro dei campi, affiancato da tante altre attività. Ogni monaco, infatti svolgeva un incarico compreso nel seguente elenco:
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sacrista, cappellano, cantori , si occupavano della liturgia e dei vari aspetti della vita religiosa;
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cell’erario, responsabile dell’amministrazione economica;
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elemosiniere, distribuiva ai poveri e ai malati gli scarti e le eccedenze dell’abbazia;
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ospitaliere, si occupava e si interessava dei rapporti con dame e cavalieri;
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novizio, viveva sin da giovane età nel monastero e si preparava a diventare monaco;
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amanuense, addetto alla ricopiatura a mano appunto dei testi degli antichi scrittori latini che erano spesso ornati da miniature dipinte con molta fantasia. Gli amanuensi lavoravano in una sala particolare detta “Scriptorium”, in cui avveniva la copiatura, la miniatura, la rilegatura e tutte le attività che riguardavano la confezione di un codice, antenato del libro di oggi.
Architettura del monastero
Architettonicamente la concezione benedettina si tradusse in una forma che visualizzava la recessione” dal mondo in un recinto al quale erano addossati internamente i vari edifici necessari alla comunità. I primi monasteri benedettini spesso restaurarono antiche ville romane delle quali conservavano le strutture architettoniche, come ad esempio il grande cortile circondato da un portico che corrispondeva al peristil’io della casa romana.
Al centro del complesso monastico si trovava appunto il chiostro, cioè uno spazio di solito quadrato, contornato da portici. Sul lato settentrionale era posta la chiesa, la cui mole schermava il resto del monastero dai freddi venti del Nord. Sul lato orientale stavano gli ambienti di vita quotidiana: il dormitorio dei monaci; la sala capitolare, il calefactorium, cioè l’unico ambiente riscaldato, riservato al soggiorno durante l’inverno.
Sul lato meridionale si affacciavano il refettorio e la cucina, su quello occidentale la foresteria e la dispensa.
Il tempo per i monaci
Gli uomini del Medioevo dividevano, come i Romani il giorno in due parti: il dì, dall’alba al tramonto e la notte, dal tramonto all’alba. Poiché sia il dì che la notte erano divisi a loro volta in dodici parti, le ore erano di durata diversa, più lunghe d’estate e più corte d’inverno durante il dì e viceversa durante la notte.
L’ora prima corrispondeva più o meno alle 6 del mattino e d’inverno alle attuali 8. L’ora sesta al mezzogiorno, sia d’estate che d’inverno. L’ora dodicesima era detta Vespro e corrispondeva al tramonto tra le 18 e le 19.
Nel monastero le ore segnate dal rintocco di una campana così chiamate perché le migliori si costruivano in Campania a Nola. Anticamente le campane erano dette “nole”, da cui “torre nolare”, per indicare la cupola a torre situata sopra l’altare in cui si trovavano le campane. Dove c’era una torre nolare ovviamente non c’era il campanile.
Il monachesimo occidentale dava molta importanza al calcolo e al rispetto delle ore e ciò stimolò la ricerca e favorì l’invenzione di strumenti di misura del tempo, vagamente paragonabili ai nostri orologi. Fu infatti proprio nei monasteri che comparvero i primi orologi meccanici a peso e le meridiane portatili.
I pasti dei monaci
I monaci mangiavano soprattutto verdura e pesce, la carne era riservata a pochi, ai malati ed ai pellegrini. Il cibo quotidiano dei monaci era rappresentato dalle fave, piselli e lenticchie. Come verdure si utilizzavano porri, lattuga, cerfoglio e crescione. La frutta era molto varia: pere, mele, pesche, noci, nocciole, ciliegie e castagne, ecc.
I cibi venivano cotti in pesanti pentole di ferro; erano poste su grossi ganci metallici dotati di denti.
Il refettorio era un enorme stanzone con un camino per riscaldare l’ambiente, vi erano lunghi tavoli di legno e delle panche su cui sedevano i monaci.
I pasti venivano consumati nel refettorio in perfetto silenzio. Durante tutto il periodo del pasto i monaci dovevano ascoltare la lettura dei testi sacri, fatta da un monaco.
Un quarto d’ora prima di mezzogiorno c’era il segnale del primo pasto.
I monaci si affrettavano verso il refettorio, prendevano posto aspettando l’ordine dell’abate che presiedeva il pranzo. L’abate pronunciava la benedizione e poi si dava inizio al pasto. I monaci dovevano restare muti, se avevano bisogno di qualche alimento erano obbligati ad usare un complicato linguaggio a gesti.
Cantati i vespri giungeva l’ora del pasto serale di pane con frutta. Tutto procedeva come per il pranzo.
Il digiuno era un rifiuto della ricchezza e di un modello di vita che era un vero e proprio schiaffo agli innumerevoli poveri del tempo, in favore dei quali esisteva sempre di più l’istituzione religiosa.
Poco prima delle due di notte una campanella suonava per svegliare i monaci, per farli alzare, recitare e cantare il “mattutino” in chiesa, quasi fino alle quattro vi restavano a pregare.
Al canto del gallo erano già tutti a lavorare nelle foresterie, edifici appositi per offrire ospitalità ai pellegrini di passaggio.