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27 Gennaio 2019La follia
27 Gennaio 2019Il postimpressionismo è un termine convenzionale, usato per individuare le molteplici esperienze figurative sorte dopo l’impressionismo. Il denominatore comune di queste esperienze è proprio l’eredità che esse assorbono dallo stile precedente. Il postimpressionismo, tuttavia, non può essere giudicato uno stile in quanto non è assolutamente accomunato da caratteri stilistici unici. Esso è solo un’etichetta per individuare un periodo cronologico che va all’incirca dal 1880 agli inizi del 1900.
La grande novità dell’impressionismo è stata la rivendicazione di una specificità del linguaggio pittorico che ponesse la pittura su di un piano totalmente diverso dalla produzione di altre immagini. Da ricordare che, in questi anni, la nascita della fotografia aveva messo a disposizione uno strumento di riproduzione della realtà totalmente naturalistico. La fotografia registra la visione ottica con una fedeltà e velocità a cui nessun pittore potrà mai giungere. La fotografia, pertanto, ha occupato di prepotenza uno dei campi specifici per cui era nata la pittura: quello di riprodurre la realtà.
Competere con la fotografia sul piano del naturalismo sarebbe stato perdente e perfettamente inutile. Alla pittura bisognava trovare un’altra specificità che non fosse quella della riproduzione naturalistica. E quanto, sul piano tecnico, fanno i pittori dell’impressionismo ed è quanto, sul piano dei contenuti, faranno i pittori della fase successiva. Agli inizi del Novecento, l’arte, ed in particolare la pittura, hanno completamente cambiato funzione: non riproducono, ma comunicano.
Ovviamente anche l’arte precedente, da sempre, comunicava. Tutto ciò che rientra nell’ambito della creatività umana è anche comunicazione. Solo che nell’arte precedente questa comunicazione avveniva sempre per il tramite della riproduzione del visibile. Ora, dal postimpressionismo in poi, l’arte si pone solo ed unicamente l’obiettivo della comunicazione senza più porsi il problema della riproduzione. Ovvero, l’arte serve a mettere in comunicazione due soggetti – l’artista e lo spettatore – utilizzando la forma che è, essa stessa, realtà, senza riprodurre la realtà visibile.
Uno dei maggiori esponenti del postimpressionismo è Van Gogh:
Strada con cipresso sotto il cielo stellato e con barroccio e viandante.
Vincent Van Gogh (1853-1890), pittore olandese, rappresenta il prototipo più famoso di artista maledetto; di artista che vive la sua breve vita tormentato da enormi angosce ed ansie esistenziali, al punto di concludere tragicamente la sua vita suicidandosi. Ed è un periodo, la fine dell’Ottocento, che vede la maggior parte degli artisti vivere una simile condizione di emarginazione ed angoscia: pittori come Toulouse-Lautrec o poeti come Rimbaud finiscono la loro vita dopo i trent’anni, corrosi dall’alcol e da una vita dissipata. E, come loro, molti altri. Il prototipo di artista maledetto era iniziato già con il romanticismo. In questo periodo, però, la trasgressione era solo sociale: l’artista romantico era essenzialmente un ribelle antiborghese. Viceversa, alla fine del secolo, gli artisti vivono una condizione di profonda ed intensa drammaticità nel confronti non della società ma della vita stessa.
L’attività di Van Gogh è stata breve ed intensa. I suoi quadri più famosi furono realizzati nel breve giro di quattro o cinque anni. Egli, tuttavia, in vita non ebbe alcun riconoscimento o apprezzamento per la sua attività di pittore. Solo una volta era apparso un articolo su di lui. Dopo la sua morte, iniziò la sua riscoperta, fino a fame uno degli artisti più famosi di tutti i tempi.
Vari Gogh nell’immaginario collettivo rappresenta l’artista moderno per eccellenza. Il pittore maledetto che identifica completamente la sua arte con la sua vita, vivendo l’una e l’altra con profonda drammaticità: l’artista che muore solo e disperato, per essere glorificato solo dopo la morte; per giungere a quella fama a cui, i grandi, arrivano solo nella riscoperta postuma.
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