Il segreto del bosco vecchio di Dino Buzzati
24 Marzo 2023Cover “Girotondo” di Fabrizio De André
26 Marzo 2023La canzone di Manzoni, Il Proclama di Rimini (“O delle imprese alla piú degna accinto”), propugna l’unione di tutta l’Italia sotto lo scettro di Murat.
Vi sono tracce di un Murat idealizzato nel protagonista dell’Adelchi, in particolare nel primo abbozzo della tragedia; ma la morale del grande coro alla fine dell’Atto III. è che un popolo non deve aspettarsi alcun aiuto dall’estero, ma fare affidamento su se stesso per il recupero della nazionalità e dell’indipendenza perdute.
La fallita rivoluzione del 1821 ispirò Manzoni con l’ode, Soffermati sull’arida sponda, anticipando l’unione dei piemontesi e dei lombardi, a cui seguiranno la cacciata dello straniero e dell’oppressore, “dal Cenisio alla balza di Scilla”, e ” Italia risorta” al posto che le spetta “al convito de’ popoli assisa”.
Anche questa poesia è stata interrotta dagli eventi; ma, nel 1848, Manzoni aggiunse la strofa che fu il suo ultimo enunciato in poesia:
Prima strofa
- Fin che il ver fu delitto, e la Menzogna
Corse gridando, minacciosa il ciglio:
«Io son sola che parlo, io sono il vero»,
Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna.
Non fu vergogna, anzi gentil consiglio; 5
Chè non è sola lode esser sincero,
Nè rischio è bello senza nobil fine.1
Or che il superbo morso
Ad onesta parola è tolto alfine,
Ogni compresso affetto al labbro è corso; 10
Or s’udrà ciò che, sotto il giogo antico,
Sommesso appena esser potea discorso
Al cauto orecchio di provato amico.
Seconda strofa
- Toglier lo scudo de le Leggi antique
E le da lor create, e il sacro patto 15
Mutar come si muta un vestimento;
O non mutate non serbarle, e inique
Farle serbar benchè segrete, e in atto
Di chi pensa, tacendo, al tradimento;
E novi statuir padri alla legge, 20
E, perchè amici ai buoni,
Sperderli a guisa di spregiato gregge:
Questi de’ salvatori erano i doni;
Questo dicean fondarne a civil vita;
Qual se Italia, al chiamar d’esti Anfioni,* 25
Fosse dei boschi e de le tane uscita.
Prima Nota
* Anfione è un personaggio della mitologia greca, figlio di Zeus e Antiope. Secondo la tradizione, è ricordato come gentile d’animo e cultore della musica e della poesia.
Terza strofa
- Anzi, fatta da lor donna e reina
La salutaro, o fosse frode o scherno:
D’armi reina, io dico, e di consigli;
Essa che ai piè de la imperante inchina 30
Stavasi, e fea di sue ricchezze eterno
Censo agli estrani, e de gli estrani ai figli;
Che regger si dovea con l’altrui cenno;
Che ogni anno il suo tesoro
Su l’avara ponea lance di Brenno. 35
È ver; tributo nol dicean costoro,
Men turpe nome il vincitor foggiava.
Ma che monta, per Dio! Terra che l’oro
Porta, costretta, allo straniero, è schiava.
Quarta strofa
- E svelti i figli ai genitor dal fianco, 40
E aprir loro le porte, ed esser padre
Delitto, e quasi anco i sospir nocenti;
E tratti in ceppi, e noverati a branco,
Spinti ad offesa d’innocenti squadre
Con cui meglio starieno abbracciamenti. 45
Oh giorni! oh campi che nomar non oso!
Deh! per chi mai scorrea
Quel sangue onde il terren vostro è fumoso?
O madri orbate, o spose, a chi crescea
Nel sen custode ogni viril portato? 50
Era tristezza esser feconde, e rea
Novella il dirvi: un pargoletto è nato!
Quinta strofa
- Nè gente or voglio cagionar dei mali
Che lo stesso bevea calice d’ira,
Nè infonder tosco ne le piaghe aperte; 55
Ma dico sol ch’è da pensar da quali
Strette il perdono del Signor ne tira,
Perchè sien maggior grazie a Lui riferte.
Chè quando eran più l’onte aspre ed estreme,
E, al veder nostro, estinto 60
Ogni raggio parea d’umana speme;
Allor fuor de la nube arduo ed accinto,
Tuonando, il braccio salvator s’è mostro;
Dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto;
Che a ragion si rallegra il popol nostro. 65
Sesta strofa
- Bel mirar da le inospiti latebre
Giovin raminghi al sospirato tetto
Correr securi, ed a le braccia pie;
E quei che in ferri astrinse ed in tenebre
L’odio potente, un motto od un sospetto 70
Al soavi tornar colloquj e al die;
E un favellar di gioja e di speranza,
E su le fronti scòlta
De’ concordi pensier l’alma fidanza;
E il nobil fior de’ generosi a scolta 75
Durar ne l’armi e vigilar, mostrando
Con che acceso voler la patria ascolta
Quando libero e vero è il suo dimando;
Settima strofa
- E quel che a dir le sue ragioni or chiama
Lunge da basso studio e da contesa, 80
Parlar per lei com’ella è desiosa,
E l’antica far chiara itala brama;
Che sarà, spero, a quei possenti intesa
Cui par che piaccia ogni più nobil cosa.
Vedi il drappello che al governo è sopra, 85
Animoso e guardingo,
Al ben di tutti aver rivolta ogni opra;
E i ministri di Dio dal mite aringo
Nel dritto calle ragunar la greggia.
Molte e gran cose in picciol fascio io stringo;2 90
Ma qual parlar sì belle opre pareggia?
Seconda Nota
2 Questo è un verso tolto al Petrarca, Trionfo della Fama, II. 13. «Molte gran cose in picciol fascio stringo».