Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019dalla Storia moderna
di Carlo Zacco
L’Italia, uno sviluppo in ritardo
Arretratezza. Nei primi dell’Ottocento, l’economia degli stati italiani era molto arretrata, e con molti squilibri. L’agricoltura era il settore principale: l’Italia esportava prodotti agricoli e importava prodotti industriali. Questo era un fatto negativo: negli altri paesi la maggior ricchezza derivava dall’industria.
L’agricoltura. L’agricoltura capitalistica era sviluppata solo nella pianura padana, nel resto d’Italia prevalevano piccola proprietà, mezzadria (centro) e latifondo (meridione). La vita nelle campagne poi era povera, malsana, e vi era il totale analfabetismo.
Industria debole. In generale l’industria era molto arretrata:
– seta: nel nord si coltivava il baco da seta, ma i filati e seta greggia erano esportati (non lavorati);
– lana: era lavorata in alcune province del nord, in piccoli laboratori o a domicilio;
– cotone: più avanzata, ma non ai livelli inglesi; concentrata in Lombardia;
– metalmeccanica: piccole officine artigianali;
– siderurgia: produzione scarsissima rispetto agli altri paesi.
Cause del ritardo. Le cause del ritardo erano molteplici:
– mercato interno: troppo povero; la popolazione era troppo povera per costituire un mercato interno per prodotti industriali;
– barriere doganali: la divisione in vari Stati e l’esistenza di dazi facevano alzare i prezzi, ostacolavano la circolazione delle merci;
– vie di comunicazione: la rete ferroviaria era ancora poco diffusa, in meridione quasi assente;
– mancanza di borghesia: non vi era una borghesia capace di rischiare in imprese moderne;
– sistema bancaria: non vi era un sistema bancario in grado di elargire prestiti;
Economia e politica. Nei primi dell’Ottocento, tra il ceto borghese intellettuale italiano si diffuse l’idea che l’arretratezza economica fosse legata alla situazione politica: divisione in piccoli stati, regimi privi di libertà, dipendenza dall’Austria impedivano lo sviluppo economico.
Il Risorgimento
Cosa vuole dire Risorgimento”. Il termine risorgimento fu coniato all’Inizio dell’Ottocento per indicare il sogno di un ritorno dell’Italia allo splendore del passato: romano, medievale, rinascimentale. I patrioti avevano orientamenti politici molto diversi, ma tutti concordavano sul fatto che non ci potesse essere risorgimento senza unificazione nazionale e indipendenza. Libertà e indipendenza erano massimamente richieste dai ceti borghesi imprenditoriali.
Orientamenti politici del risorgimento.
Furono prevalentemente due:
1) Liberale moderato: indipendenza e unificazione dovevano essere raggiunte gradualmente, sotto la guida di élite in accordo coi sovrani, e prevedeva una monarchia costituzionale; erano guidato da Vincenzo Gioberti e dal sacerdote Cesare Balbo: quest’ultimo proponeva una federazione di Stati presieduta dal papa; vedeva nella monarchia dei Savoia l’unica in grado di scacciare gli Austriaci; era nominato partito neoguelfo.
2) Democratico: unità e indipendenza dovevano essere raggiunte subito tramite una rivoluzione di iniziativa popolare, e voleva l’Italia come una repubblica fondata sulla sovranità popolare. Era guidato dal Giuseppe Mazzini: egli vedeva come protagonista del risorgimento non i Savoia o il Papa, ma il popolo: pensava che solo una diffusa propaganda ed educazione potessero portare il popolo a unirsi per ottenere non solo l’indipendenza, ma anche una coscienza nazionale. Mazzini inoltre non voleva una federazione, ma una Repubblica unitaria.
La Giovine Italia. Nel 1831 Mazzini fondò la Giovine Italia, un’associazione che, a differenza delle società segrete che avevano portato ai moti del 20-21 e 30-31, aveva :
– programma pubblico;
– diffusione nazionale;
– puntava al coinvolgimento del popolo.
La prima guerra d’Indipendenza (1848)
Le riforme. Nel 1846 venne eletto papa Pio IX, detto il papa liberale” per aver promosso alcune importanti riforme nelle Stato della Chiesa, tra cui l’amnistia per reati politici. Tale fu il plauso dell’opinione pubblica verso questo papa che anche in altri Stati si ebbero riforme:
– Leopoldo II di Toscana concesse più libertà di Stampa;
– Carlo Alberto di Sardegna attenuò la censura, ridusse i controlli della polizia;
Si trattava di riforme limitatissime, ma tanto bastò ad accendere l’entusiasmo nella popolazione, che pensò di vivere l’alba di una nuova era di rinnovamento, ovviamente restarono tutti delusi.
I Moti del 48 in Italia. Nel 1848 anche l’Italia fu interessata dall’ondata di moti rivoluzionari che sconvolsero l’Europa:
– Sicilia. I primi scoppiarono a Palermo il 12 Gennaio: l’obiettivo era la secessione della Sicilia dal Regno di Napoli. Poco dopo anche Napoli insorse contro il Re, che concesse una costituzione; lo stesso fecero Leopoldo di Toscana, Pio IX, Carlo Alberto (Statuto Albertino).
– Lombardo-Veneto. Alla notizia dell’insurrezione di Vienna, prima Venezia (17 Marzo) poi Milano (le «Cinque Giornate», 18-22 Marzo) insorsero. Le truppe, guidate dal generale Radetzky, lasciarono le due città e si ritirarono nel cosiddetto ‘quadrilatero, formato dalla fortezze di Mantova, Peschiera, Verona, Legnago. Sembrava che l’indipendenza dall’Austria fosse a portata di mano.
Prima fase: moderata. A Milano si formò un governo provvisorio. Come prima cosa questo chiese al Re Carlo Alberto di intervenire militarmente contro l’Austria. Scoppiava ufficialmente la Prima guerra d’Indipendenza. La scelta di rivolgersi al Re era principalmente politica: i moderati volevano che a capo della rivolta vi fosse un Re, e non i rivoluzionari repubblicani. Il 24 Marzo Carlo Alberto interviene, sostenuto da Toscana, Papa, due Sicilie. In un primo momento ottenne delle vittorie a Goito e Peschiera, ma il Re non riuscì ad approfittare del vantaggio e permise alle truppe austriache di riorganizzarsi. Successivamente però il papa ritirò il sostegno, non volendo più combattere contro la cattolica Austria: lo stesso fecero Leopoldo di Toscana e Ferdinando II. Carlo Alberto fu dunque sconfitto a Custoza.
Seconda fase: democratica. Il fallimento della guerra piemontese indebolì i moderati, e rafforzò i democratici che promossero un’ondata di insurrezioni popolari:
– Roma. Il papa fu cacciato e venne proclamata la Repubblica romana, guidata da un triumvirato del quale face parte Mazzini; le truppe erano guidate da Garibaldi, giunto in aiuto della repubblica romana;
– Toscana. I democratici scacciarono Leopoldo II;
– Venezia. Venne instaurata la Repubblica di San Marco, guidata da Daniele Manin;
– Piemonte. Carlo Alberto volle rimettersi alla guida del movimento e riaccese la guerra contro l’Austria, ma fu sconfitto, e abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele.
Fallimento dei moti. Intanto i moti fallivano in tutta Europa. Gli Austriaci ripresero Lombardia e Toscana; i Borbone la Sicilia. Luigi Napoleone Bonaparte, appena eletto Re, scese a Roma e la riconsegnò al papa, per adempiere ad una promessa elettorale fatta agli elettori cattolici. Per ultima cadde Venezia.
Il Piemonte alla testa del movimento
Vittorio Emanuele e Cavour. Dopo il fallimento dei moti, l’unico Stato dove rimase in vigore una costituzione ottenuta nel 1848 fu il Piemonte, che mantenne lo Statuto Albertino. Il regno Sabaudo divenne una monarchia costituzionale che garantiva una serie di diritti e libertà. Il movimento unitario naturalmente non si spense, e a questo punto il Piemonte era in grado di rilanciarlo in grande stile e porvisi come guida. I protagonisti furono il nuovo Re Vittorio Emanuele II, e il primo ministro Camillo Benso.
Le riforme in Piemonte. Camillo Benso si alleò con la sinistra moderata capeggiata da Urbano Rattazzi e con un’ampia maggioranza in parlamento attuò una serie di riforme:
– una politica economica liberista;
– riduzione dei dazi doganali;
– accordi commerciali con le principali potenze europee;
– finanziamenti per costruzione di ferrovie e fabbriche;
– riorganizzazione dell’esercito, che fu dotato di armi moderne.
Il conflitto con la Chiesa. Cavour ottenne il denaro per queste riforme in due modi:
– facendosi finanziare dalle banche;
– abolendo i privilegi della chiesa e incamerandone i beni;
Da questa rapina”, si aprì un lungo conflitto con la Chiesa, che durò decenni. In compenso il Piemonte divenne uno stato avanzato, punto di riferimento per tutti gli altri; e Torino divenne approdo per tutti i patrioti costretti a fuggire dagli stati reazionari.
Dibattito sull’insuccesso. Dopo le disfatte del 48 in ambiente democratico si aprì un dibattito sulle ragioni dell’insuccesso:
– Area repubblicana. Mazzini non attribuiva tale insuccesso errori di impostazione politica, bensì a errori di organizzazione; nel 1852 fondò il Partito d’Azione, che avrebbe raccolto i repubblicani in vista della nuova rivoluzione, che egli riteneva imminente;
– Area socialista. Per Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane invece il movimento rivoluzionario per l’indipendenza doveva contare sull’appoggio del popolo, che sarebbe intervenuto in massa qualora fossero state promesse: terre ai contadini; salari più alti agli operai.
Nuove insurrezioni. Nel 1853 si diede dunque avvio a nuove insurrezioni:
– Iniziò nel 1853 il Partito d’Azione, che promosse rivolte in Lombardia: le insurrezioni andarono avanti per circa tre anni, e fallirono tutte;
– Seguì Carlo Pisacane, che nel 1857 organizzò una rivolta contro i Borbone a Napoli: sbarcarono a Sapri, ma ad attenderli, invece dei rivoluzionari, trovarono bande di contadini armati che, infiammati dai sermoni filoborbonici del clero che fece loro credere si trattasse di briganti, li massacrò tutti.
Il Piemonte guida il movimento. Più o meno tra tutti i patrioti (anche democratici!) si fece largo l’idea che solo la monarchia dei Savoia fosse in grado di guidare una rivolta strutturata ed efficace: nel 1857 Daniele Manin e Giuseppe La Farina (esuli a Torino) fondarono la Società Nazionale Italiana, col compito di organizzare la nuova rivoluzione per l’indipendenza sotto la guida di Cavour e della monarchia piemontese. Gli aderenti si organizzarono in tutta Italia, l’iniziativa ebbe successo.
La ricerca di alleati. Era poi necessario ottenere il supporto di potenze straniere ostili all’Austria. L’occasione per ottenere questo appoggio si presentò con la Guerra di Crimea che univa Inglese, Francesi e Russi. Anche se il Piemonte non era coinvolto, Cavour inviò comunque un contingente militare a combattere al fianco di francesi e inglesi. Questo permise a Cavour di sedere al tavolo dei vincitori alla Conferenza di Parigi del 1856, attirando l’attenzione dei grandi paesi europei sul problema italiano: l’operazione ebbe successo, e Napoleone III si mostrò interessato a indebolire l’Austria sostenendo l’Italia.
Lo Statuto Albertino. Viene chiamato Statuto Albertino la costituzione concessa da Carlo Alberto al Regno di Sardegna il 4 Marzo 1848, e poi estesa a tutto il Regno d’Italia nel 1861. Restò in vigore fino al 1° Gennaio 1948, quando fu sostituita dall’attuale costituzione. Tra lo Statuto Albertino e la Costituzione ci sono delle differenze, tra cui:
1) La maggior differenza è il grande margine che è lasciato all’interpretazione da molte leggi. Ciò rendeva i poteri del Parlamento molto ampi, tanto che a Mussolini fu possibile instaurare una dittatura senza abolirlo; la costituzione ha invece norme molto rigide e precise;
2) Il potere del Re è superiore a quello delle camere, che da lui potevano essere sciolte; la Costituzione non attribuisce a nessuno tali diritti, e pone al di sopra di tutto il Parlamento.
La Seconda guerra d’Indipendenza
Gli accordi di Plombières. Il 20 Luglio 1858 Cavour stringe segretamente con Napoleone III gli accordi di Plombières: la Francia si impegnava a entrare in guerra a fianco del Piemonte se attaccato dall’Austria. In caso di guerra vinta:
– all’Italia veniva riconosciuto il diritto di costituire un Regno comprendente Piemonte, Lombardia e Veneto;
– alla Francia sarebbero andate Nizza e Savoia.
Provocazioni. Cavour iniziò a provocare l’Austria: avviò una campagna di stampa antiaustriaca; ammassò truppe a ridosso del confine. L’Austria ci cadde e il 16 Aprile 1859 dichiarò guerra al Piemonte: comincia la Seconda Guerra d’Indipendenza.
La Guerra. Tutti gli stati italiani mandarono truppe in aiuto del Piemonte. Accorsero migliaia di volontari, tra cui i Cacciatori delle Alpi, guidati da Garibaldi, che ottenne molti successi. Tra questi tre vittorie entusiasmanti: Magenta, San Martino, Solferino.
Il voltafaccia. Ma inaspettatamente Napoleone operò un vergognoso voltafaccia: firmò un armistizio con l’Austria, nel quale quest’ultima cedeva la Lombardia alla Francia, la quale la donava all’Italia. Per l’indignazione Cavour si dimise. Vi erano molti motivi perché Cavour si indignasse per questo tradimento:
– la Battaglia di Solferino era costata troppe vittime;
– la Prussia minacciava la Francia, preoccupata di un suo eccessivo rafforzamento;
– il papa protestava;
Verso l’unità. Ma il processo di unificazione non si arrestò: in Toscana ed Emilia-Romagna il popolo era insorto cacciando i governanti e formando governi provvisori: questi organizzarono dei plebisciti dove la quasi totalità della popolazione votò per l’annessione al Piemonte (Marzo 1860). Così si concludeva l’operazione promossa da Cavour e dal partito moderato di cui era esponente.
La spedizione dei Mille
L’azione dei democratici. La spedizione Siciliana scaturì dall’azione di due democratici mazziniani: Francesco Crispi e Rosolino Pilo, i quali stavano organizzando la lotta per l’indipendenza e chiesero aiuto a Garibaldi. Il 5 Maggio 1860 Garibaldi partì da Genova con un esercito di mille volontari, e sbarcò a Marsala, dove ad attenderli cerano altre truppe di volontari locali organizzati da Crispi e Pilo.
Conquista della Sicilia. In Sicilia i due eserciti insieme, protetti in mare da navi inglesi, diedero inizio alla rivolta. Il 15 Maggio 1860 sconfissero le truppe borboniche a Calatafimi, e nel corso dell’estate si impossessarono di tutta la Sicilia, col consenso della popolazione. Garibaldi abolì la tassa sul macinato, e promise la redistribuzione delle terre.
Rivolte contadine. Molti contadini siciliani approfittarono della spedizione per insorgere contro i padroni, e impossessarsi delle loro terre: assalirono le loro case, li uccisero, ne occuparono le terre. Questo costituiva un forte elemento di disordine e illegalità, e rischiava di mettere a rischio la riuscita di tutta l’operazione, per questo la repressione fu violentissima. L’episodio più drammatico avvenne nella cittadina di Bronte, dove nei confronti degli insorti fu applicata la legge marziale (condanna da parte dei generali senza processo).
Fine del Regno delle due Sicilie. Garibaldi proseguì oltre lo stretto, e in breve tempo conquistò la Calabria e le altre regioni meridionali, abbattendo la debole resistenza borbonica. Il Regno delle due Sicilie era crollato.
Conflitto Moderati-Democratici. A questo punto si poneva un problema: mentre la conquista del nord era stata guidata dai moderati (Cavour), al sud era sostenuta dai democratici (Crispi, Pilo); questi ultimi premevano perché Garibaldi proclamasse la Repubblica del Sud Italia e proseguisse con la conquista di Roma. Chiaramente questo era in conflitto col progetto di Cavour, cui Garibaldi voleva restare fedele; inoltre, Cavour sapeva che se fosse stata attaccata Roma, di certo Napoleone sarebbe intervenuto per difenderla.
Cavour riprende l’iniziativa in meridione. Fu così che Cavour compì il suo capolavoro politico: discese con le sue truppe alla conquista dello Stato della Chiesa, garantendo però a Napoleone che Roma non sarebbe stata toccata; conquistò Marche e Umbria; quindi scese alla volta del meridione, dove chiese a tutte le province appena conquistate di indire dei plebisciti per stabilire o meno l’annessione al Regno di Sardegna.
– Incontro di Teano. Intanto i Democratici premevano su Garibaldi perché procedesse con il progetto di instaurare la Repubblica del Sud, ma questi decise di restare fedele a Vittorio Emanuele II, per conto del quale aveva condotto la sua impresa. Nel celebre incontro di Teano Garibaldi consegna al Re l’Italia meridionale.
– Il plebiscito. In autunno si svolsero i plebisciti: Marche, Umbria e tutto il Mezzogiorno votarono per l’annessione al Regno di Sardegna.
Il Regno d’Italia. Il 7 Marzo 1861 il parlamento italiano nominò Vittorio Emanuele II re d’Italia. La capitale restò Torino; la Costituzione rimase lo Statuto Albertino.
Audio Lezioni di Storia moderna e contemporanea del prof. Gaudio
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