Helga Schneider nel libro racconta la sua infanzia segnata dalla guerra, con personaggi come il nonno affettuoso Opa, il fratello Peter e la matrigna Ursula.
La narrazione si svolge in una Berlino devastata dalla guerra e il linguaggio è semplice e scorrevole, con influenze tedesche e russe. La storia è datata cronologicamente dall’autunno del 1941 alla primavera del 1947, e il narratore è interno e onnisciente. Il libro, seppur triste e duro, offre un grido di pace contro gli orrori della guerra, ma il lettore può trovarlo eccessivamente pessimistico rispetto alla sua visione ottimistica della vita.
AUTRICE: Helga Schneider. Nata in Polonia nel 1937. Ha vissuto in Germania, in Austria e ora vive in Italia a Bologna dal 1963. Ha pubblicato Il rogo di Berlino, Porta di Brandeburgo, Il piccolo Adolf non aveva le ciglia e Lasciami andare, madre.
Helga Schneider ha esordito nel mondo letterario nel 1995 con Il rogo di Berlino che fu un autentico caso editoriale.
Nel 1963 si stabilisce a Bologna dove vive e lavora, essendo diventata cittadina Italiana. Nel 1971 scopre che la sua vera madre è ancora viva e decide di andarla a trovare. Seppe che viveva a Vienna, ma quell’incontro durò solo mezz’ora. La madre la portò in una stanza dove conservava l’uniforme, la divisa nazista che indossava il giorno in cui venne arrestata ad Auschwitz. A distanza di tanti anni era ancora fiera di quel passato. Tentò anche di farla indossare ad Helga e di regalarle una manciata d’oro, forse come risarcimento della sua latitanza materna durata trent’anni. Inorridita, Helga scappa e torna a Bologna con un gran peso nel cuore. Nel 1998 decide su invito di un’amica di andare a rivedere la madre anzianissima per l’ultima volta; ma questo incontro la sgomenta, la fa stare male fisicamente. Helga vuole sapere, vuole capire come può un essere umano abbandonare due figli piccoli per inseguire un sogno di morte. Insomma vuole capire a tutti i costi, se è in grado di tagliare definitivamente il legame con lei o se non riuscirà mai a liberarsene del tutto. Da questo incontro traumatizzante e lacerante nasce il libro Lasciami andare, madre uscito in Italia nel 2001; stampato anche in Olanda, in Francia e nell’ottobre del 2002 anche in Germania. Nell’aprile del 2002 è uscito il suo ultimo libro, per ragazzi, dal titolo Stelle di cannella.
RIASSUNTO: A Vienna, nel 1971, una giovane donna, Helga, ritrova la madre che nell’autunno del 1941, a Berlino, l’aveva abbandonata insieme al fratello neonato Peter per arruolarsi nelle SS; la ritrova sempre più convinta delle sue idee, anzi, nostalgica del periodo in cui faceva la guardiana nel campo di concentramento di Birkenau. Questa volta è la figlia che decide di non volere più la madre, dalla quale si allontana.
Helga Schneider è nata in Polonia e ha trascorso la sua infanzia a Berlino. Racconta a cinquant’anni di distanza, l’infanzia passata nella guerra, in un libro che ci fa rivivere i morsi della fame, la solitudine dei collegi, le angherie di una matrigna, la paura dei bombardamenti, la voce del Führer che echeggia nel bunker della Cancelleria, la lunga reclusione in una cantina nella Lothar-Bucher-Strasse. Privata dell’affetto dei genitori e piena solamente di fame, freddo e paura Helga ha solamente il nonno Opa che la ama e le fa sentire i giorni dell’assedio come un’avventura, la ricerca ossessiva del cibo e dell’acqua come un gioco.
All’arrivo dei russi la situazione peggiora, trascorrono giorni nel terrore di sentire degli stivali sopra le teste, si cerca invano un sotterfugio per salvare le donne dagli stupri e, quando tutto è finito, rimangono solamente una città rasa al suolo dalle atrocità dei conflitti, una vita a brandelli e un futuro ignoto.
Helga racconta la sua infanzia passata, sofferta, come un’esperienza da adulta ma con gli occhi da bambina.
La sua storia, contemporanea a quella della Germania devastata dalla guerra e dal nazismo, si affianca a quella del Terzo Reich, fino ad arrivarne faccia a faccia; infatti Helga ha l’occasione di incontrare Hitler nel suo bunker.
PERSONAGGI: Helga – Protagonista del libro, Helga è una bambina che viaggia molto con la fantasia infatti immaginava suo padre come un potente generale, quando non era che un semplice addetto alla contraerea. Quando si trasferisce nell’appartamento della matrigna Ursula, Helga diventa irrispettosa e disubbidiente, allorché la matrigna decide di mandarla prima in casa di cura e poi in collegio. La bambina cresce priva di una famiglia, e quando tornerà a casa, che non sarà altro che uno scantinato, diventerà tranquilla ma molto triste ed introversa.
Opa: E un uomo alto e distinto con gli occhi chiari, buoni e intelligenti, i capelli grigi con la scriminatura. E’ molto affettuoso, gentile e disponibile con Helga, critica invece il comportamento di Peter incolpando la matrigna di averlo viziato troppo. Il rapporto tra Helga e il nonno si rafforza sempre di più.
Peter: Peter è un bambino terribile, prepotente e indisciplinato, che tiene tutti con il fiato sospeso, una vera peste. Tra Peter e la matrigna si instaura subito un bellissimo rapporto (Peter chiama Ursula Mutti o mammina). Ciò lo porterà a diventare viziato e fastidioso.
Quando Peter rivede la sorella Helga tra loro comincia un rapporto abbastanza conflittuale, lui vuole la matrigna tutta per sé. La lunga assenza di Helga ha diviso i due fratelli, ha cancellato nel bambino ogni istintivo affetto.
E’ attratto da tutto ciò che riguarda il Führer, senza capire le atrocità della guerra. Spesso si esibisce davanti alla matrigna in uno dei suoi soliti spettacoli, che consistono nell’imitare i discorsi di Goebbels, come fossero filastrocche. Al termine dello spettacolo la matrigna applaude sempre, divertita e compiaciuta. Peter si porta sempre dietro il suo orsacchiotto Teddy, poco coerente con la sua indole.
Ursula: Matrigna dei ragazzi, essa cerca di mantenersi giovane anche in guerra, ed inoltre con Helga si mostra molto severa, mentre con il fratello della ragazza è allegra e accondiscendente.
Il libo si compone di molti altri personaggi secondari come: nonna di Helga e Peter, Stefan, il padre di Helga; zia Margarete; sorella di Stefan; Eva, figlia di zia Margarete; zia Hilde, che lavora al ministero della propaganda; e molti altri.
LINGUAGGIO : Il linguaggio è semplice e la lettura è scorrevole. A volte sono presenti delle parole in tedesco e in russo.
SPAZIO: La vicenda si svolge in una Berlino devastata dalla guerra, ormai senza più una speranza, afflitta dalla fame e dalle malattie, dove la gente per procurarsi un po’ d’acqua rischia la vita. Nella cantina Lothar-Bucher-Strasse, dove vivono circa quindici persone, la sporcizia impera, mentre una costante sensazione di impotenza avvolge il rifugio.
TEMPO: La vicenda è datata in ordine cronologico. All’inizio però si fa riferimento all’incontro tra Helga e sua madre avvenuto nella primavera del 1971. Il racconto dell’infanzia della protagonista inizia nell’autunno del 1941 fino alla primavera del 1947. Queste ultime due date corrispondono agli anni dell’ideologia nazista (presa al potere e caduta con l’arrivo dei russi nella capitale del Reich) e alla seconda guerra mondiale
TECNICHE: Il narratore è interno e onnisciente e il punto di vista è quindi a focalizzazione zero. Fabula e intreccio non coincidono poiché spesso vi sono delle analessi o delle prolessi. Prevale soprattutto il discorso diretto. Vi sono spesso dei monologhi interiori in cui Helga riflette sulle ingiustizie della guerra e sulla sua vita, portandola spesso ad auspicare la morte come soluzione(mi ricorda vagamente Foscolo^^).
COMMENTO: Ennesimo libro sulla guerra che ancora una volta critica aspramente il regime nazista, o meglio colore che ci credevano, da un punto di vista che io reputo di parte, anche se è pur vero che è raccontato da una persona che almeno a vissuto quegli anni. Il libro non mi ha entusiasmato perché lo reputo troppo triste e a tratti di una violenza psicologica inaudita, che fa apparire il mondo come qualcosa di triste e oscuro, simile alla cantina dove Helga era rifugiata; mentre il mio giudizio sul mondo e sulla vita è profondamente differente, perché per dirla con Mozart: Fortunato l’uom che prende per buon verso, e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa. Quel che suole altrui fa piangere sia per lui cagion di riso, e del mondo in mezzo ai turbini bella calma troverà.
Forse la mia è una visione sin troppo ottimistica, ma se non si tende a guardare avanti nella vita si rimarrà impantanati nel rancore e nella tristezza. Come dice la nota pubblicità: L’ottimismo è il profumo della vita.
Maurizio Cattaneo – 2aF
Audio Lezioni sulla Letteratura del novecento del prof. Gaudio