Inchiesta Franchetti-Sonnino
2 Aprile 2023Il delitto Notarbartolo
2 Aprile 2023Rapporti tra brigantaggio siciliano e Mafia nell’ottocento, dalla Storia della Mafia, ricerca scolastica all’interno dei progetti Legalità 2012 Campofelice di Roccella e Istituto Superiore “Mandralisca” e Legalità “Frank Di Maio” Mafia delenda est Anno Scolastico 2018/2019
La lotta dello Stato Italiano con i briganti siciliani nell’ottocento
Vincenzo Rocca, Mauro Daino, Rosario Bruno, Giuseppe Scialabba, Angelo Rinaldi: questa la Banda maurina Rocca-Rinaldi, la più celebre e temuta banda di briganti che abbia mai infestato la Sicilia. Raggiunse, intorno al 1875, la forza di quindici gregari. Avevano, singolare anomalia, non uno ma due capi: Rocca era il braccio violento, Rinaldi la mente geniale. Fu Rinaldi il promotore di una raffinata strategia di alleanze: perciò si ritrovarono a partecipare al sequestro del barone Sgadari nel marzo 1874 quattro diverse bande: i Maurini, la banda di Capraro, venuta per lo scopo dalla provincia di Agrigento, la banda di Leone e quella dei Polizzani […] Rinaldi impresse alla sua banda disciplina ed organizzazione senza eguali. I gregari indossavano una sorta di uniforme ed un anello con l’iniziale R.. Erano dotati delle armi più moderne – carabine Vetterli a retrocarica 1870 – e di cannocchiali, manette e quant’altro potesse servire nelle azioni criminali e nella latitanza. La banda aveva un segretario, Nicolò Accorsi, al quale era demandato il compito di scrivere le lettere di scrocco. (P. MORELLO, Briganti, Palermo 1999)
Il ruolo del brigantaggio nella Sicilia ottocentesca
Nelle Madonie il potere assoluto sul territorio non era della mafia, ma dei briganti, che si chiamavano Sacco, Andaloro, Ferrarello (tutti di Gangi), nonché di una nuova banda maurina, temibile quanto l’antica, che si era formata molti anni dopo quella, ai primi di maggio del 1889. Erano dodici briganti, agli ordini di Melchiorre Candino, un ex “picciotto” di Garibaldi. Non fu raro che ex garibaldini estromessi dal processo unitario, per cui avevano lottato a fianco di Garibaldi, ora, stanchi di sopportare i soprusi del nuovo regime si dessero alla macchia, come ad esempio il Candino, che, entro breve tempo, sarà giornalisticamente chiamato per le sue azioni brigantesche “il terrore delle Madonie”. Il 22 luglio 1892, il Candino inviò al “Giornale di Sicilia”, pure allora il quotidiano più venduto nell’Isola, una lettera a firma sua e dei suoi compagni d’avventura, con cui si lamentava del tono e della verità artefatta di un articolo comparso sul quotidiano qualche giorno prima a proposito della morte di tal Cassataro, ucciso per vendetta da un membro della banda di Castelbuono. Il Candino concludeva la lettera affermando che a terrorizzare i paesi non era la sua banda, ma i giornalisti come l’autore dell’articolo. “Il resto sono soltanto calunnie. Noi facciamo male a chi ci fa male”. La banda Candino, già decimata dalla 38.a divisione di fanteria del Regio Esercito, inviata dal governo con la missione di dar loro spietata caccia, fu sterminata (25 luglio 1894) dopo essere stata sorpresa a tradimento in una radura da Fr.sco Leanza, sovrastante del duca Colonna di Cesarò e della duchessa di Reitano, dai suoi tre figli (abili tiratori) e dai suoi campieri. Candino riuscì a fuggire avventurosamente all’agguato e minacciò terribile vendetta ancora dalle pagine del “Giornale di Sicilia”, ma era ormai solo, stanco di sangue e di sfide: la sua latitanza, silenziosa ma sotto gli occhi di tutti, durò per altri 25 anni, fino alla prescrizione dei suoi reati decretata dal governo nel 1919. Si avviava ormai agli ottant’anni. (G. SCARCELLA, Il brigantaggio in Sicilia, Palermo 2001; M. PINO, La regina di Gangi, Soveria Mannelli 2005)
BRIGANTE SE MORE (famosa canzone che sintetizza lo spirito con cui fu percepita dal popolo la figura di alcuni briganti, non solo in Sicilia)
Ammo pusato chitarre e tamburo E mo cantamme sta nova canzone
pecché sta musica s’adda cagnà tutta la gente se l’adda ‘mparà
simme briganti e facimme paura nun cenne fotte ddu re Burbone
e cu a scuppetta vulimme cantà. ma ‘a terra è ‘a nostra e nun s’adda tuccà.
Tutte e paise d’a Basilicata Chi ha visto o lupo e s’e miso paura
se so’ scetati e vonno luttà nun sape buono qual è a verità
pure ‘a Calabria mo s’è arrevotata o vero lupo ca magna ‘e creature
e stu nemico ‘o facimme tremmà. è o piemontese c’avimme caccià.
Femmene belle ca date lu core Ommo se nasce, brigante se more,
si lu brigante vulite salvà ma fino all’ultimo avimme sparà
nun ‘o cercate, scurdateve ‘o nome, e si murimme, menate nu fiore
chi ce fa ‘a guerra nun tene pietà. e na bestemmia pe’ sta’ libertà.
Torna all’indice della Storia della Mafia