Giovanni Ghiselli: professore di greco e latino
27 Gennaio 2019Giusy
27 Gennaio 2019Satyricon video del prof. Gaudio. Satyricon: il ribaltamento dei boni sanctique mores. prima parte della conferenza di Giovanni Ghiselli
Prima parte della conferenza che tenuta martedì 21 aprile 2015 18,30 nella biblioteca Scandellara di Bologna
Il Satyricon, il ribaltamento dei boni sanctique mores.
Sintesi estrema
Non solo adulterio ma adulterazione totale. Un testo frammentario amato da Fellini. Romanzo o satira menippea. Bachtin e la letteratura carnevalizzata. La critica di Huysmans. La parte che ci è arrivata si apre con una discussione sulla scuola. Encolpio e il maestro di retorica Agamennone fanno un dibattito sulle cause della corruzione delle scuole di eloquenza. Encolpio muove accuse agli umbratici doctores , allo stile asiano e alla tecnica pittorica compendiaria. La decadenza della scuola secondo Agamennone dipende dagli allievi e dai genitori che rifuggono dalla severa disciplina. Ricordo di Tito Manl’io Torquato. La stessa carenza di serietà lamenta l’oratore Messalla del Dialogus de oratoribus di Tacito. L’eloquenza e la poesia necessitano pure di grande cultura. La visita al lupanare. Il realismo magico di Petronio. Tutto è ribaltato e va a rovescio: “acta retro cuncta “.
Il rovesciamento di un pater familias humanissimus in un omosessuale violento e frustrato; molto più avanti c’è il ribaltamento di un’intera città, Crotone, aliquando Italiae prima, ridotta come un campo appestato da un’epidemia . Fellini e il Satyricon film. Gitone e Lucrezia.
Il rito orgiastico. Il cinedo vecchio prefigura Aschenbach. Psiche, Quartilla e Pannichide. La cerimonia nuziale corrotta. Una scena di voyeurismo. L’assenza di turpiloquio anche nelle situazioni postribolari.
La cena di Trimalchione e il simposio della gente educata. Trimalchione e il suo puer vetulus. La pacchianeria dell’anfitrione. Il vino, la vita e la vanitas. Fortunata. Un poco di astrologia. Uno scorpione imperiale: Tiberio. Trimalchione invece è “un cancro”. La chiacchierata di Seleuco. La vanitas. La virtù delle mosche e il geniale cavallo di Ulrich. Contro i medici: Seleuco e Proust. Contro le donne, milvinum genus. Filerote e il pastiche linguistico. I miseri quattrini. Ganimede se la prende con gli edili e i fornai. Ma la causa più vera della carestia è l’empietà. Le visioni contrapposte di Sofocle e Lucrezio. Trimalchione e il problema del latifondo. La cultura letteraria del padrone di casa. Parodie dell’Odissea. Il pene come carta d’identità. Nicerote racconta un adulterio condito di licantropia. Le streghe. Di nuovo il puer. La lite delegata ai cani Scylax (Cucciolo) e Margarita (Perla). Abinna, il lapidarius, sua moglie Scintilla e Fortunata.
I limiti del realismo antico secondo Auerbach.
Lo scherzo indecente. Il plurilinguismo della Cena . Daedalus , in Petronio, Lucrezio, Ovidio e l’artista di Thomas Mann. Il testamento di Trimalchione. Il latino volgare riduce l’uso del neutro anticipando l’italiano. Gli schiavi sono uomini. La presenza di Seneca, ribaltato ma non sempre. L’epigrafe funebre di Trimalchione. Il labirinto. La sconcia lite tra Fortunata e Trimalchione. La carriera di Trimalchione. Nietzsche confronta il Satyricon con il Nuovo Testamento. Un’attualizzazione del mondo di Petronio: l’elezione di Mister Italia 2001. Trimalchione si arricchisce con la mercatura poi investe nella terra. La roba. I latifondi. Il valore assoluto del denaro. La conclusione della Cena con la marcia funebre di Trimalchione che si finge morto e l’intervento dei pompieri. La scenata tra i fratres: Gitone offre la gola ai contendenti come Giocasta, nelle Phoenissae di Seneca, il ventre. Il par Thebanum e l’accumulo di paradigmi mitici. Ascilto e Gitone abbandonano Encolpio. Una denuncia della cultura pragmatica. L’amicizia vera e finta. Il mondo come palcoscenico e la vita come recita. Svetonio e Shakespeare. Il lamento vicino al mare dell’amante desolato. L’accumulo dei paradigmi letterari. La confessione dei crimini e la legge eschilea. L’invettiva contro gli amanti fuggitivi. I propositi di vendetta. Il modello eroico ridicolizzato. L’ira funesta di Encolpio viene smontata da un malandrino.
La pinacoteca. Zeusi Protogene e Apelle. L’arte imita la natura. Il brivido di Encolpio. Apelle e il Foscolo. Apelle e gli eroi fulminatòri. L’artista dipinge le anime. L’ ekfrasi” . Iuppiter peccaturus . La guerra santa. Ecce autem Eumolpo, il poeta malvestito. Il mercante, il soldato, il parassita adulatore, il prostituto se la passano bene mentre l’eloquenza batte i denti. Eumolpo è un vecchio libertino incallito. Petronio e Huysmans, Petronio e Verga. Le cause della decadenza dell’arte rispetto ai tempi di Mirone e Lisippo . L’universale carestia letteraria nell’Anonimo Sul Sublime . Motivi del decadere della grande oratoria secondo Curiazio Materno portavoce di Tacito nel Dialogus de oratoribus .
Mi accingo a commentare un capolavoro, quasi sicuramente dell’età di Nerone, come vedremo, e molto probabilmente di quel Petronio descritto da Tacito nel capitolo 18 del XVI libro degli Annales.
La sui neglegentia , la noncuranza di sé quale virtù suprema dello stile, viene attribuite dallo storico a questo elegantiae arbiter, maestro di buon gusto alla corte di Nerone, l’imperatore che: “nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset”[1], niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato. le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità
Egli, premette Tacito, di giorno dormiva mentre passava la notte tra i doveri e i piaceri della vita, e come gli altri dall’operosità, quest’uomo era stato portato alla rinomanza dall’indolenza “habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu”, ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uno dalla voluttà raffinata.
Petronio aveva scelto lo stile della semplicità: ” Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam, praeferentia, tanto gratius in speciem[2] simplicitatis accipiebantur”[3] le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Altri uomini immersi nella voluttà, ma privi del suo gusto, sono disprezzati e condannati come ganeones e profligatores. Ma la sua raffinatezza è accompagnata da una sovrana nonchalance (quaedam sui neglegentia), e questo gli dà una parvenza di simplicitas. La notazione, a sua volta raffinata e profonda, non sarebbe dispiaciuta al classicista” Petronio: creare con un lavoro raffinato la parvenza della naturalezza è la grande ambizione del classicismo antico; la prosa di Petronio non sembra abbia fallito questo scopo”[4].
Del resto come collaboratore di Nerone aveva dato prove di capacità non solo quale esteta ma anche quale console e proconsole: “Proconsul tamen Bithyniae et mox consul vigentem se ac parem negotiis ostendit”, si mostrò vigoroso e all’altezza dei compiti. Cicerone nel caratterizzare l’esteta e dandy Catilina rileva aspetti analoghi e tali da costituire una sorta di ossimoro psicologico: “Neque ego umquam fuisse tale monstrum in terris ullum puto, tam ex contrariis diversisque et inter se pugnantibus naturae studiis cupiditatibusque conflatum quis in voluptatibus inquinatior, quis in laboribus patientior?”[5], io non credo che sulla terra sia mai esistito un tale portento formato dalla mescolanza di passioni e appetiti naturali tanto contrari divergenti e contrastanti tra loro chi è stato più insozzato nei piaceri, chi più resistente alle fatiche?
Ebbene l’autore del Satyricon , Petronius Arbiter, attraverso l’io narrante Encolpio, considera la propria opera caratterizzata da una straordinaria semplicità “novae simplicitatis opus ” (Satyricon, 132, 15).
“Che questo Petronio sia il nostro, è più probabile che possibile. Anzitutto c’è il nome, o, per meglio dire, il soprannome. Il personaggio di Tacito è un C. Petronio, conosciuto alla corte di Nerone come l'”arbitro del buon gusto”. Il nostro sia nei titoli dei manoscritti che nelle citazioni dei grammatici è indicato come Petronio Arbitro”[6].
Secondo me questo personaggio non solo è l’autore del Satyricon ma è l’inventore o per lo meno il codificatore dello stile della sui neglegentia, la (studiata) noncuranza di sé che caratterizza nei secoli l’aristocrazia europea.
Lo stile della neglegentia.
Subito sopra, sempre a proposito degli uomini, Ovidio scrive: “Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat ” (Ars amatoria, I, vv. 507-510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto d’amore di una dea.
Lo stile della neglegentia è in ogni caso quello dell’aristocrazia. Il fascino e l’eleganza sono luce ed emanazione della persona. Vediamo come hanno cercato di raffigurarli alcuni scrittori europei.
La studiata disinvoltura , la sui neglegentia , l’apparente noncuranza di sé come mancanza di affettazione, e “apparenza” di naturalezza, quali virtù supreme dello stile vengono attribuite da Tacito a Petronio, uomo erudito luxu dalla voluttà raffinata, elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone il quale infatti : “nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset”[7], niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato.
Petronio approvava l’apparenza della semplicità: ” Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam[8], praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur”[9] le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità. Sembra un manifesto del dandy antico, e in effetti il raffinato autore del Satyricon , Petronius Arbiter, probabilmente la stessa persona, considera la propria opera caratterizzata da una straordinaria semplicità “novae simplicitatis opus ” (Satyricon, 132).
Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, “La vergine tra ‘l vulgo uscì soletta,/non coprì sue bellezze, e non l’espose,/raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,/con ischive maniere e generose./Non sai ben dir s’adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose./Di natura, d’Amor, de’ cieli amici/le negligenze sue sono artifici” (II, 18).
Può essere interessante notare che di adfectatio addirittura scolastica viene tacciato Ovidio stesso da Quintiliano che del resto lo scusa, vista la necessità del poeta delle Metamorfosi di arrivare a sintesi tra cose diversissime: “Illa vero frigida et puerilis est in scholis adfectatio, ut ipse transitus efficiat aliquam utàque sententiam et huius velut praestigiae plausum petat, ut Ovidius lascivire in Metamorphosesin solet, quem tamen excusare necessitas potest res diversissimas in speciem unius corporis colligentem ” (Institutio oratoria, 4, 1, 77), c’è invero nelle scuole quella fredda e puerile affettazione, in modo che il passaggio[10] stesso forma in ogni modo qualche battuta d’effetto e cerchi l’applauso di questa specie di illusione, come è solito giocare nelle Metamorfosi Ovidio che tuttavia può scusare la necessità in quanto egli raccoglie cose diversissime nella parvenza di un unico corpo.
Parini impiega questo topos a proposito dell’acconciatura del Giovin Signore suo pupillo: “Ma il crin, Signore,/Forma non abbia ancor da la man dotta/Dell’artefice suoNon senz’arte però vada negletto/su gli omeri a cader Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con artificio negligente avrai;/Esci pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati (Il mattino[11], vv. 1005 e sgg.).
Questo stile della semplicità ricercata è adottato anche dal seduttore di Madame Bovary: “si scusò di essere anche lui così trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di un’esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell’arte, il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o esasperare” (p. 113).
“Il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell’eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di distinzione , la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi”[12].
L’elogio della neglegentia procede parallelamente alla condanna dell’affettazione nella civiltà europea. Ne do qualche esempio.
Baldassarre Castiglione ne Il cortegiano[13] prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto “la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l’uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode” (I, 17). Egli deve schivare “quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura”, ossia una studiata disinvoltura, “che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia ” (I, 26). Parimenti la perfetta gentildonna “Non mostri inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d’onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s’è detto, l’affettazione in ogni cosa” . Infatti “somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la pestifera affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la sprezzatura” Quindi la gentildonna non deve mostrare l’artificio: “questi vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d’altro non nascono che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio d’esser belle” (I, 40).
Anche A. Schopenhauer[14] negli Aforismi sulla saggezza della vita prescrive di evitare l’affettazione: “Si deve…mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno…in secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L’affettazione di una qualità e il pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a questo proposito”[15].
Il conte Alessandro Manzoni conosce bene la regola dell’affettazione/sprezzatura. Nell’Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del “buon secentista” definendolo “rozzo insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch’è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese”. Quindi la decisione di “rifarne la dicitura”. Viceversa, per quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati dal conte zio per dare un’impressione di potenza al padre provinciale: “gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de’ più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l’idea della superiorità e della potenza”[16].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj: ” Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un’intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell’interlocutore”[17] .
Già Cicerone quando insegna le buone maniere nel De officiis raccomanda in generale “quae sunt recta et simplicia ” (I, 130), come abbiamo visto, e, per quanto riguarda la conversazione, consiglia proprio lo stile che Tosltoj attribuisce alla sua adultera: “maximeque curandum est, ut eos, quibuscum sermonem conferemus, et vereri et diligere videamur …Deforme etiam est de se ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audentium imitari militem gloriosum ” (I, 136, 137), e soprattutto bisogna stare attenti a mostrarsi rispettosi e affettuosi con quelli con i quali parleremo….indecoroso è anche dire bene di se stesso, soprattutto falsamente, e imitare il soldato millantatore in mezzo allo scherno di quanti ci odono.
Dostoevskij ne I fratelli Karamazov considera l’affettazione segno di cattiva educazione: Al’ioscia sebbene affascinato da Gruscenka” si domandava con un’oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio gusto, la quale testimoniava un’educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall’infanzia, delle convenienze e del decoro”[18].
Del principe Myskin, L’Idiota , Aglaja viceversa dice a Nastasja Filippovna: “Vi devo anche dire che mai, in vita mia, avevo incontrato fino a quel momento un uomo simile a lui per nobiltà e semplicità d’animo, e per fiducia illimitata. Udendo le sue parole, capii che chiunque volesse potrebbe ingannarlo, ed egli, per giunta, lo perdonerebbe”[19].
La semplicità e la negligenza fanno parte dello stile nobile.
Nei Guermantes di Proust, che costituiscono quasi il codice dell’aristocrazia redatto da un borghese, si legge che “i nobili fraternizzano più volentieri coi loro contadini che coi borghesi”[20]. Il raffinato Saint-Loup appariva di un’eleganza ” libera e trascurata”[21] che si adattava perfettamente a “quel corpo, non opaco e oscuroma limpido e significativo”. Un corpo attraverso il quale ” le qualità tutte essenziali dell’aristocrazia trasparivano, come si manifesta in un’opera d’arte la industre ed efficace potenza che l’ha creata, e rendevano i movimenti di quella corsa leggera intellegibili e pieni di grazia come quelli di un cavaliere su un fregio architettonico”[22]. Si può avvicinare a questa descrizione quella che Plinio il correggil Giovane dà di Aciliano che propone come sposo per la figlia di un amico: “Est illi facies liberalis, multo sanguine, multo rubore suffusa; est ingenua totius corporis pulchritudo” (I, 14), ha una faccia nobile, inondata di molta vita e molto colore; è schietta la bellezza di tutto il corpo.
Addirittura i tratti del volto di questi aristocratici suggeriscono una parentela antica con la natura: “il naso a becco di falco e gli occhi penetranti” sono “caratteristici…di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica: perché essa sembra nata, in un’età favolosa, dall’unione d’una dea con un uccello”[23].
Il paragone tra la donna e l’uccello è già presente nel Perceval di Chrétien de Troyes quando il protagonista, novello cavaliere , entra nel castello di Biancofiore e gli “si avvicina la donzella più graziosa, più elegante e più viva di sparviero e pappagallo”[24].
La connessione con Ovidio sta nel mito di Leda raffigurato da Aracne: “fecit olorinis Ledam recubare sub alis ” (Metamorfosi , VI, 109), la rappresentò stesa sotto ali di cigno.
Questo trovare l’unità e la “parentela di tutto ciò che esiste al mondo, cose ed esseri viventi corrisponde alla sola certa filosofia delle MetamorfosiCol racconto cosmogonico del libro I e la professione di fede di Pitagora dell’ultimo, Ovidio ha voluto dare una sistemazione teorica a questa filosofia naturale, forse in concorrenza col lontanissimo Lucrezio”[25]. Ovidio nel XV libro delle Metamorfosi dà voce a Pitagora il quale proibisce di mangiare gli animali: nella fortunata età dell’oro le bocche umane non erano contaminate dal sangue (v. 98). Inoltre il filosofo di Samo vieta di sacrificare creature viventi agli dèi, e insegna che l’anima non muore ma trasmigra in altri corpi e altre regioni: “Cuncta fluunt, omnisque vagans formatur imago” (v. 178), tutto scorre e ogni immagine si forma fluttuando.
Ma torniamo a Proust che descrive gli atti di questi nobili per mostrare quanto essi fossero nello stesso tempo naturali e “graziosi come il volo d’una rondine o l’inclinazione della rosa sul suo stelo” (p. 475). Il Guermantes nel dare la mano “che si dirigeva verso di voi all’estremità di un braccio teso per tutta la sua lunghezza, aveva l’aria di presentarvi un fioretto per una singolar tenzone; e quella mano era insomma a una tal distanza da quel Guermantes in quel momento che, quand’egli inchinava poi la testa, era difficile distinguere se salutasse voi o la propria mano (p. 481). Manifestazione di intelligenza era la parola salata, “giacché lo spirito dei Guermantes giudicava i discorsi prolungati e pretenziosi[26], sia nel genere serio sia nel burlesco, come un segno della più insopportabile stupidità” (p. 498). Più avanti ( p. 534) Proust nota ” l’abitudinedei nobili che fraternizzano più volentieri coi loro contadini che coi borghesi”. E ancora: ” quel famoso lusso non era soltanto materialema anche un lusso di parole cortesi, di atti gentili, tutta un’eleganza verbale alimentata da un’autentica ricchezza interiore”(p. 590). I gran signori, insomma, “sono quasi le sole persone dalle quali si può imparare come dai contadini: la loro conversazione si adorna di tutto ciò che riguarda la terra, le abitazioni come erano abitate una volta, le antiche usanze, tutto ciò che il mondo del denaro ignora profondamente”(p.595).
Ecco dunque un apprezzamento della rusticitas.
Saint-Loup aveva innanzitutto il pregio della naturalezza che si vedeva fino negli abiti “di un’eleganza disinvolta, senza nulla di ‘pretenzioso’ né di ‘compassato’, senza rigidità e senza appretto.” Quel giovane ricco era apprezzabile” per il modo negligente e libero che aveva di viver nel lusso, senza ‘puzzare di soldi’, senza darsi arie di importanza”; il fascino della naturalezza si trovava “perfino nell’incapacità che Saint-Loup aveva conservata…d’ impedire al proprio viso di riflettere un’emozione”(p. 334). Si vedeva in lui “l’agilità ereditaria dei grandi cacciatori…il loro disprezzo per la ricchezza” la quale serviva solo per festeggiare gli amici. Ma, continua l’autore: “Vi sentivo soprattutto la certezza o l’illusione che avevano avuto quei grandi signori di essere ‘più degli altri’ e grazie alla quale non avevano potuto lasciare in legato a Saint-Loup quel desiderio di mostrare che si vale ‘quanto gli altri’, quella paura di sembrare troppo premurosi che rende così rigida e goffa la più sincera amabilità plebea”(p.337).
Saint Loup aveva “un modo di concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé e moltissimo del ‘popolo’; insomma tutto l’opposto dell’orgoglio plebeo (p. 351). Suo zio Palamède “in ogni circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano”(p. 351).
Questo dunque è il nobile proustiano, dotato, per natura si direbbe, di stile e fascino; più avanti però l’autore riduce la portata della sua ammirazione e smonta tanta naturalezza, almeno in parte apparente o esibita, affermando che” Di fronte a quella d’ un grande artista, l’amabilità di un gran signore, per quanto affascinante essa sia, ha l’aria di una mimica d’ attore, di una simulazione. Saint Loup cercava di piacere, Elstir amava dare, darsi”(p. 431).
L’elogio della “magnifica negligenza” si trova anche nel grande romanzo di Musil: ” Una casta dominante rimane sempre un poco barbarica…Erano invitati insieme in residenze campestri, e Ulrich notò che vi si vedeva sovente mangiare la frutta con le mani, senza sbucciarla, mentre nelle case dell’alta borghesia il cerimoniale con coltello e forchetta era rigidamente osservato; la stessa osservazione si poteva fare a proposito della conversazione che quasi soltanto nelle case borghesi era signorile e distinta, mentre negli ambienti aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza pretese, alla maniera dei cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e razionali. Nei castelli patrizi d’inverno si gelava; le scale logore e strette non erano una rarità, e accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano camere da letto basse e ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la servitù. Ma, a guardar bene, c’era proprio in questo un senso più eroico, il senso della tradizione e di una magnifica negligenza!”[27]. Il conte Leinsdorf, promotore della grande Azione Patriottica, l’Azione Parallela, “del “popolo” pensava fermamente che fosse “buono”era fermamente convinto che il vero socialismo concordava con le sue opinioniE’ chiaro come il sole che soccorrere i poveri è un dovere cavalleresco, e che per la vera nobiltà non c’è poi una così gran differenza tra un fabbricante e un suo operaio”[28].
Il motto che riassume questo stile potrebbe essere l’affermazione di Pericle: “”filokalou’mevn te ga;r met& eujteleiva” kai; filosofou’men a[neu malakiva”” (Tucidide, II, 40, 1). in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell’anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste (“dia; ta;” stavsei””), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità di cui per lo più la nobiltà ha parte: “kai; to; eu[hqe” , ou’J to; gennai’on plei’ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh” (III, 83, 1). Sembra l’elogio funebre della nobiltà che è anche, forse soprattutto, semplicità, ingenuità e schiettezza.
Il motto che riassume questo stile potrebbe essere l’affermazione di Pericle: “filokalou’mevn te ga;r met& eujteleiva” kai; filosofou’men a[neu malakiva”” (Tucidide, II, 40, 1). in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
In fondo J. J. Winckelmann non ha fatto che echeggiare questa dichiarazione del Pericle di Tucidide quando ha scritto: “Infine, la generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressioneLa nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue greche costituiscono il vero segno caratteristico degli scritti greci dei tempi migliori”[29].
Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell’anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste (“dia; ta;” stavsei””), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui per lo più la nobiltà partecipa: “kai; to; eu[hqe” , ou’J to; gennai’on plei’ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh” (III, 83, 1). Sembra l’elogio funebre della nobiltà che è anche, forse soprattutto, semplicità, ingenuità e schiettezza.
Faccio qualche esempio di elogi della negligenza.
Parini impiega questo topos a proposito dell’acconciatura del Giovin Signore suo pupillo: “Ma il crin, Signore,/Forma non abbia ancor da la man dotta/Dell’artefice suoNon senz’arte però vada negletto/su gli omeri a cader Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con artificio negligente avrai;/Esci pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati(Il mattino[30], vv. 1005 e sgg.)
Questo stile della semplicità ricercata è adottato anche dal seduttore di Madame Bovary: “si scusò di essere anche lui così trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di un’esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell’arte, il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o esasperare” (p. 113). “il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell’eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di distinzione , la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi”[31]. “[32].
L’elogio della neglegentia procede parallelamente alla condanna dell’affettazione nella civiltà europea. Ne do qualche esempio.
Baldassarre Castiglione ne Il cortegiano[33] prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto “la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l’uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode” (I, 17). Egli deve schivare “quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura”, ossia una studiata disinvoltura, “che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia ” (I, 26). Parimenti la perfetta gentildonna “Non mostri inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d’onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s’è detto, l’affettazione in ogni cosa” . Infatti “somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la pestifera affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la sprezzatura” Quindi la gentildonna non deve mostrare l’artificio: “questi vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d’altro non nascono che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio d’esser belle” (I, 40).
Insomma la sprezzatura è virtù contraria al vizio dell’affettazione.
Anche A. Schopenhauer[34] negli Aforismi sulla saggezza della vita prescrive di evitare l’affettazione: “Si deve…mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno…in secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L’affettazione di una qualità e il pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a questo proposito”[35].
Il conte Alessandro Manzoni conosce bene la regola dell’affettazione/sprezzatura. Nell’Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del “buon secentista” definendolo “rozzo insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch’è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese”. Quindi la decisione di “rifarne la dicitura”. Viceversa, per quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati dal conte zio per dare un’impressione di potenza al padre provinciale: “gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de’ più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l’idea della superiorità e della potenza”[36].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj: ” Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un’intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell’interlocutore”[37] .
Un correlativo stilistico letterario di questa neglegentia è l’ajmevleia che l’Anonimo Sul sublime [38] attribuisce a Omero e ad altri grandi della letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. L’autore annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti (“oujk ojlivga…aJmarthvmata”) i quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza (“paroravmata di’ ajmevleian eijkh’/”) e prodotte distrattamente dalla loro stessa grandezza (33).
Analoga valutazione estetica si trova nel Prologo dell’Andria dove Terenzio si difende dall’accusa di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto Ennio: ” quorum aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum obscuram diligentiam” (vv. 20-21), dei quali preferisce cercare di eguagliare la negligenza piuttosto che la buia diligenza di costoro, ossia del malevolo vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.
Giovanni Ghiselli
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note
[1] Annales, XVI, 18.
[2] Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, “le negligenze sue sono artifici” (II, 18).
[3] Annales , XVI, 18.
[4] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 193.
[5] Pro M. Caelio (del 56 a. C.), 5, 12.
[6] V. Ciaffi (a cura di) Satyricon di Petronio, Utet, Torino, 1967, p. 56.
[7] Annales, XVI, 18.
[8]” Seneca nel De vita beata elogia un’altra forma, del tutto psicologica, di noncuranza, la fortunae neglegentia (I, 4, 5), quella della fortuna, quale viatico per la libertà dai piaceri e dai dolori, padroni assai capricciosi e prepotenti.
[9] Annales , XVI, 18.
[10] Dal prooemium all’ expositio .
[11] Pubblicato nel 1763.
[12]. Curiosità estetiche del 1869. Trad. it. in Il Sistema Letterario , Ottocento , di Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p. 1150.
[13] Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne pubblicato nel 1528.
[14] 1788-1860.
[15]A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena , trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[16] I promessi sposi , capitolo XIX.
[17] Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[18] I fratelli Karamazov, (1880), Trad. it. Milano, 1968, p. 208.
[19] L’idiota (1869), Trad. it. Milano, 1973, p. 719.
[20] I Guermantes, (1920). Trad. it. , Torino, 1978, p. 534.
[21] M. Proust, I Guermantes, p. 96.
[22] M. Proust, I Guermantes, p. 448.
[23] I Guermantes , p. 82.
[24] Perceval il gallesese, cap. IV.
[25] I. Calvino, Perché leggere i classici, p. 39.
[26] In All’ombra delle fanciulle in fiore Proust scrive che la signora di Villeparisis giudicava severamente alcuni pur grandi scrittori come Balzac e Victor Hugo “proprio perché avevano mancato di quella modestia, di quel ritegno, di quell’arte sobria…di quelle qualità di moderazione nel giudizio e di semplicità, in cui le avevano insegnato che risiede il valore vero”(p. 308).
[27]R. Musil (1880-1942), L’uomo senza qualità , p. 269.
[28] R. Musil, L’uomo senza qualità , p. 84.
[29] J. J. Winckelmann, Pensieri sullimitazione dell’arte greca, p. 32.
[30] Pubblicato nel 1763.
[31] C. Baudelaire, Curiosità estetiche del 1869. Op. cit., pp. 1150-1151
[32]Curiosità estetiche , trad. it. in Il Sistema Letterario , Ottocento , di Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p. 1150.
[33] Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne pubblicato nel 1528.
[34] 1788-1860.
[35]A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena , trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[36] I promessi sposi , capitolo XIX.
[37] Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[38] Trattato, anonimo appunto, generalmente attribuito a un retore fiorito verso la metà del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che ebbe tra gli allievi anche l’imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva l’anomalia e l’elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva al discorso