Sintesi delle conoscenze e delle abilità che un docente deve possedere
27 Gennaio 2019Ablativo assoluto
27 Gennaio 2019Il volto coraggioso dell’Italia.
di A. Lalomia
Come tutti sanno, la struttura principale del sistema economico italiano è rappresentata dalle piccole e medie imprese.
Per decenni, queste aziende hanno garantito all’Italia una produzione di merci, un’offerta di servizi, nonché un’occupazione, che hanno protetto il Paese dalle congiunture internazionali sfavorevoli, gli hanno permesso di trattare (quasi) alla pari con realtà economiche molto più forti ed hanno assicurato un benessere generalizzato, incrementando i consumi e migliorando sensibilmente la qualità della vita.
Senza l’opera tenace e ardimentosa delle PMI, l’Italia sarebbe probabilmente allo stesso livello di un paese dell’ex Unione Sovietica (o peggio).
Oggi, però, la maggioranza di queste aziende -soprattutto le piccole e le micro- versa in gravissime difficoltà, per una serie di fattori, che cercherò di riassumere brevemente di seguito:
1. la concorrenza sleale causata dalla globalizzazione, che ha innescato meccanismi esattamente opposti a quelli che ci si attendeva, favorendo i paesi più arretrati e penalizzando i più ricchi, con buona pace dei profeti da salotto che ne auspicavano l’avvento;
2. la totale assenza di controlli da parte di quell’organismo ‘tanto famoso’ che risponde al nome di WTO (1), su cui un giorno bisognerà pure sviluppare un dibattito approfondito, anche per accertare le responsabilità che ha avuto -e che continua ad avere- in questo scenario apocalittico;
3. la mancanza di sostegni autentici da parte degli istituti di credito e degli enti locali;
4. il tiepido impegno -quando non addirittura l’inerzia- di vari esecutivi che hanno governato l’Italia negli ultimi anni e di intere legioni di politici, troppo occupati a cincischiare di riforme che non si realizzeranno mai;
5. una pressione fiscale rapace e vessatoria, che serve ad alimentare uno statalismo oppressivo e non di rado straccione, quanto a servizi resi alla collettività;
6. la presenza di quella tabe che è il sostituto d’imposta, che costringe le imprese ad oneri aggiuntivi talvolta insopportabili (2).
Con riferimento ai primi due punti, vorrei fare un esempio che mi sembra particolarmente indicativo. Riguarda il settore tessile, dove le merci prodotte da molte piccole e medie imprese, anche se pregevoli, non sono (e non possono esserlo) competitive, rispetto a quelle che provengono da giganti come l’India e la Cina, paesi dove il costo della manodopera è quasi insignificante, rispetto ai nostri parametri e a quelli dell’Occidente avanzato in generale. Il consumatore italiano, così, inevitabilmente e anche a causa della perdita del potere d’acquisto determinata dalla nefasta introduzione dell’Euro e del clima di sfiducia e di pessimismo generato dalla crisi, punta sui prodotti di questi paesi, magari di qualità inferiore, ma più convenienti rispetto a quelli che escono dalle fabbriche e dai laboratori nazionali.
E per le PMI inizia il calvario. Le più intraprendenti (e talvolta spregiudicate) accettano la logica della delocalizzazione e trasferiscono l’attività all’estero, in quelle aree dove appunto il costo del lavoro è bassissimo, lasciando le maestranze in balia del loro destino. Molte altre, invece, preferiscono rimanere in Italia, anche per assicurare continuità di lavoro ai dipendenti. In una piccola e micro-azienda, si crea un rapporto molto particolare tra datore di lavoro e prestatore d’opera:
tutti si sentono componenti di un’unica famiglia, che però fa capo all’imprenditore, quanto a responsabilità e ad impegni legali, economici e finanziari. E’ lui, infatti, che firma assegni e cambiali, che si espone con le banche, che deve dimostrare di essere ‘affidabile’, che rischia di finire davanti ad un giudice in caso di contestazioni. Per un po’, dunque, i titolari di queste aziende virtuose resistono, cercando di diversificare l’attività, lavorando senza sosta, incuranti delle malattie e dell’età; poi sono costretti ad impegnarsi sempre di più con le banche (a tassi ancora più gravosi); quindi, a fronte dei mancati pagamenti dei clienti, dell’assenza di nuovi ordinativi, dell’inarrestabile flessione del fatturato, della morsa micidiale di un fisco tanto feroce quanto iniquo, della mancanza di un vero sostegno da parte di enti locali e dello stesso esecutivo, dopo che hanno pignorato tutto ciò che era possibile, devono vendere persino gli oggetti legati ai ricordi più cari.
Le banche chiudono loro le porte in faccia -anche per prestiti trascurabili (se si considera che stiamo parlando di imprenditori i quali possono vantare un’esperienza e una professionalità eccezionali)-, trincerandosi dietro i parametri di ‘Basilea 2’ (3) e così, alla fine, alcuni di questi stessi imprenditori, abbandonati da tutti e per evitare di rimanere stritolati dagli usurai, danno vita ad iniziative clamorose, come scioperi della fame e della sete.
I più disperati, sconvolti dalle scadenze e dal senso di rimorso per non essere riusciti a tener fede al ‘patto d’onore’ che avevano stipulato spontaneamente e tacitamente con i dipendenti, pongono fine in modo violento alla loro vita (4).
Tutto ciò non filtra quasi mai dai media tradizionali (5), ma in rete esistono interi siti dedicati a queste problematiche, che ormai hanno assunto dimensioni spaventose, con effetti potenzialmente terrificanti per l’intera economia nazionale.
E’ per questo motivo che vorrei suggerire ai lettori di questo portale di visitare almeno uno di questi siti, per rendersi conto appunto di una realtà che altrimenti rischierebbero di ignorare. Credo che sia assolutamente necessario, anche se doloroso, conoscere questa realtà, perché tutti, alla fine, potremmo subirne le conseguenze.
Esiste però anche un’altra ragione: ed è quella di far arrivare a questi imprenditori quantomeno un messaggio di incoraggiamento, di conforto, di speranza, un invito a non mollare.
Sia ben chiaro : se crolla il settore delle PMI, crolla l’intero Paese. E la situazione si avvicina sempre di più al punto di non ritorno, se si considera che già quest’anno (2010), secondo diversi esperti, almeno il 60 % delle PMI non sarà più bancabilee che, se prosegue il trend del 2009, continueranno a chiudere circa quattrocento aziende al giorno, con effetti devastanti sul piano occupazionale e per l’intero sistema Italia.
E’ molto triste constatare che nelle alte sfere tutto questo non sia stato ancora percepito in tutta la sua drammaticità e che, anzi, si persista a dichiarare che la crisi è ormai alle spalle (6).
Ed è ancora più triste vedere che si continuano a favorire compagnie private che per decenni hanno fatto fortuna grazie a generosi aiuti concessi dallo Stato e quindi per merito dei contribuenti italiani; che si aumentano i già pingui compensi di manager pubblici; che si prestano a tassi ridicoli centinaia di milioni di Euro a banche tanto sollecite e generose con i potenti, quanto arcigne e taccagne con i piccoli; che si stendono tappeti di velluto ad evasori fiscali incalliti i quali, finalmente, si degnano di far rientrare i loro capitali dall’estero; mentre poi, per un imprenditore onesto ed operoso che chiede un prestito di venti-trentamila Euro (equivalenti a spiccioli, anche per l’ultima delle banche) per poter riprendere a lavorare e pagare puntualmente i tributi, come ha sempre fatto, non si trovano soluzioni concrete.
L’indirizzo del sito è il seguente: www.impresecheresistono.org/
Da qui, si può poi accedere a , da dove si può scaricare materiale tanto prezioso quanto tragico (v. ad esempio
http://economiaefinanza.blogosfere.it/2009/12/crisi-del-made-in-italy-suicidi-usurai-e-organi-in-vendita-su-internet-intervista-a-giuseppina-virgi.html ).
Valida documentazione si può trovare comunque anche su www.radioradicale.it/ .
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Note
(1) Tra i parametri richiesti (sulla carta) ad un paese per poter entrare in questo gruppo, vi è anche quello del rispetto delle libertà civili, politiche e sindacali. E’ noto a tutti come queste libertà siano largamente garantite in Cina, che fa parte da anni del suddetto organismo e che riversa sui mercati mondiali, tra cui il nostro, montagne di prodotti ultra-competitivi (anche se di scarsa qualità, quando non addirittura pericolosi). Competitivi proprio perché in Cina il costo del lavoro è irrisorio e tale costo è irrisorio anche perché per il prestatore d’opera non esiste alcuna tutela. Il che dovrebbe suggerire ai governanti dei regimi democratici (a partire dal nostro) una particolare cautela nel promuovere relazioni privilegiate con quel paese.
(2) Sulla fiscalità opprimente che esiste in Italia, cfr. “Sindacati e sostituto d’imposta. Brevi riflessioni.”, apparso il 29-12-09 su www.orizzontescuola.it/
(4) Al riguardo, mi auguro davvero che la cifra (1.600) fornita da uno degli indirizzi riportati sopra sia approssimata per eccesso, perché se fosse vero ci troveremmo di fronte ad una catastrofe, morale, prima ancora che economica.
(5) Certamente non dalla RAI, troppo occupata a seguire i pettegolezzi di ballatoio.
(6) Un po’ come faceva Herbert Clark Hoover dopo la ‘Grande Crisi’ del 1929 e per buona parte del mandato presidenziale. (Il giudizio su Hoover, comunque, è molto più problematico di quanto si possa immaginare, perché alcune scelte politiche di questo presidente sono tutt’altro che discutibili.) Per inciso, le dichiarazioni ottimistiche che provengono dall’olimpo politico italiano non sembrano particolarmente in sintonia con quanto viene espresso, sia pure in forma talvolta ironica, da illustri economisti, peraltro ‘ufficiali’, circa la scarsa attendibilità delle previsioni elaborate dagli economisti stessi.
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