Riforma della scuola
27 Gennaio 2019Arte nella preistoria
27 Gennaio 2019Biblioteca comunale di Piove di Sacco, 10 Maggio 2005
Al posto delle solite bottigliette d’acqua sul tavolo dell’autore, due bottiglie di vino, un bianco ed un rosso fanno capolino vicino al microfono.
Andrea Pinketts si accomoda sulla sedia, getta un’occhiata alla bottiglia di rosso e dice:
“Mi stupisco di trovarmi a Piove di Sacco con davanti una bottiglia dell’Oltrepò Pavese”.
Riempie il bicchiere, lo gira nella mano per miscelarlo ed annusa da vero intenditore. Sorseggia il vino ed allontana la bottiglia che non toccherà più fino alla fine della conferenza.
E’ la prima presentazione del libro L’ultimo dei neuroni. La parola passa immediatamente ad Andrea Pinketts.
“Avrei dovuto presentarlo al salone del libro di Torino ma il salone non ha più la stessa affluenza che aveva due, tre anni fa prima dell’avvento dell’euro. Oggi i visitatori si aggirano tra gli stands osservando le novità librarie ma nessuno compra più nulla.
Sono felice di presentarvi questo nuovo libro, dopo due anni passati a presentare Fuggevole turchese mi ero rotto di dire sempre le solite cose.
Questa è la prima presentazione cosmica, galattica dell’Ultimo dei neuroni.”
E’ un romanzo atipico, è un romanzo di racconti.
I neuroni sono una tribù di pellerossa in estinzione, sono i cugini degli Uroni una tribù che storicamente è stata decimata dalle malattie portate dagli europei e dal conflitto con gli Irochesi per la supremazia nel commercio delle pelli con l’Europa nel 1660.
Gli Uroni vennero portati all’estinzione a causa del commercio delle pelli, i Neuroni di Pinketts sono portati all’estinzione per quello che lui definisce il commercio delle palle.
Gli Uroni ed i Neuroni si riuniscono attorno ad un ipotetico fuoco, accumunati dal medesimo destino, si raccontano delle storie, che sono delle leggende metropolitane. Ci sono momenti di orrore, di divertimento ed insospettabile tenerezza.
Pinketts giallista o scrittore di Noir?
L’essere etichettato come giallista mi ha sempre dato fastidio. Il giallista mi fa venire in mente Agatha christie e la classica ricerca di chi è l’assassino. Io non scrivo gialli, piuttosto scrivo Noir.
Uso il metodo “Guido nella nebbia” e venendo da Milano mi sembra appropriato. Parto dal titolo, so dove voglio arrivare ma non so come ci arriverò. Il paradosso è sempre in agguato. Le mie storie sono nere, sono pozzi senza fondo da cui può emergere qualsiasi cosa.
Sono storie di estrema contaminazione, non figlie della letteratura ma di molti altri media, i fumetti, i film, i juke box, i flipper, della televisione in bianco e nero e della televisione satellitare. Un calderone quasi magico, un frullatore impazzito. La logica se ne va a “ragazze leggere”, cosa tutt’altro che disdicevole.
Contemplo lo spazio per la ferocia e lo spazio per il divertimento. Il senso della frase ti permette di leggere un libro al di fuori della trama con il divertimento di raccontare il circostante.
Vedo la lingua come qualcosa di libero, di giocoso, che ha caratteristiche di seduttrice sotto un aspetto di inviolabilità virginale.
Apro spesso le mie storie con delle ballate. Nell’Ultimo dei neuroni ho pensato ad un vampiro che invece del sangue si nutriva di saliva.
La ballata si chiama “Passami la lingua” ed il vampiro si è tramutato in un baciatore professionista.
La morte di Lazzaro di Sant’Andrea in Fuggevole turchese
Non ho mai pensato di sbarazzarmi di Lazzaro Sant’Andrea, non nella maniera in cui Arthur Conan Doyle si sbarazzò di Sherlock Holmes.
Lazzaro non mi è antipatico e non ho bisogno di farlo morire per liberarmi di un personaggio scomodo del mio immaginario, semplicemente mi sembrava giusto farlo misurare con la morte. Si chiama Lazzaro ed il suo nome non è stato dato a caso.
Il senso del vuoto
Il tempo è l’assoluto serial killer del disagio di vivere. Ho avuto modo di sperimentare il sottile confine fra una vita normale ed una vita di stenti. Il confine tra il bene ed il male, fra la normalità e la pazzia è molto labile. I miei personaggi sono dei borderline che si mantengono in equilibrio sulla lama della vita.
Il vuoto è il peggior nemico dell’uomo, per evitarlo lavori, ti sposi, ti occupi dei bambini, fai una miriade di cose solo per evitare il senso del vuoto.
Il vuoto è l’unica linea retta che non ha fine.
Quali sono i peggiori incubi che hai incontrato?
Luigi Chiatti, il mostro di Foligno, ho avuto la sfortuna di imbattermi nella storia e di contribuire al suo arresto.
Molto diverso da Izzo, il mostro del Circeo, invalida il concetto del mostro che si mostra. Izzo che dopo trent’anni commette un atto altrettanto atroce non meritava di uscire dal carcere.
In fondo mi è quasi più simpatico Chiatti perché si è rivalato: “Se dovessi uscire dal carcere, anche fra vent’anni , colpirei di nuovo”.
Ti sei definito nipote devoto di Scerbanenco, in cosa ha rappresentato una novità nel giallo e non solo?
Scerbanenco ha rappresentato l’altra faccia della borghesia anni ’60, fu un autore atroce e sublime, doveva venire accolto tra la genia degli antropologi.
Vinsi un’edizione del premio Scerbanenco. Andai allo stabilimento Il Gabbiano di Lignano Sabbiadoro ed ebbi l’onore di scrivere sul suo stesso tavol’inetto.
Per cosa sta la G. prima di Pinketts?
Per Genio.
Le traduzioni. Come vengono tradotti all’estero i doppi sensi ed i giochi di parole dei tuoi libri?
Ho un ottimo rapporto col mio traduttore francese, a sua volta scrittore, ad ogni dubbio mi telefona e mi presenta varie alternative per tradurre la stessa frase. Ho provato a fare la stessa cosa con l’editore tedesco, ma quando facevo il liceo linguistico avevo quattro in tedesco e mi limito a dirgli sempre “Yah” per ogni cosa che mi manda.
Il noir come indagine della realtà, “La scuola dei duri”.
Ho fondato nel ’93 la “scuola dei duri” nella cantina-cripta del “Boulevard Café” di Corso Garibaldi, due passi dal “Trottoir”. Insegnai ad esplorare la città attraverso il linguaggio più estremo che è quello del crimine.
Scrivevamo negli anni ’80 e nessuno ci pubblicava. Per fortuna la maggiorparte di noi trovò la propria strada, compreso Salvi ed Elio delle storie tese.
Agli inizi degli anni ’90 sono stato apripista con editori minori come Castelvecchi, i primi editori che osavano pubblicare autori esordienti.
La socializzazione è il primo segno di civiltà. L’uomo primitivo diventa civile quando incontra il bar.
Da uomo delle caverne diventa uomo delle taverne.
Di Vincenzo Ciccone www.zam.it La gioia di leggere