Il tema della pazzia in letteratura italiana
27 Gennaio 2019PENA DI MORTE
27 Gennaio 2019
Finché qualcosa di grave non ci tocca da vicino, potrebbe cadere il mondo, noi ci spostiamo di quel tanto, da non rimanerne coinvolti.
Sarà pure un meccanismo di difesa, ma è anche un atteggiamento che incrina la convivenza civile e logora il mantenimento di una coscienza civile non subordinata all’indifferenza di turno.
E ciò che ho pensato quando un amico che non incontravo da alcuni anni mi ha raccontato di essere finito in carcere per due mesi.
Ho ricordato le sue battute di un tempo, quasi mi veniva da ridere, proprio lui, che in più di una occasione mi aveva ribadito con tono liquidatorio, che non avrebbe mai avuto a che fare con il carcere, figuriamoci con i carcerati, ebbene proprio lui ci era finito dentro testa e piedi.
Lo guardavo disegnare la disperazione dell’ingiustizia marchiata sulla pelle e pensavo come a volte il destino decanta lodi che ci riportano all’inizio delle nostre storie mentre noi siamo cambiati irrimediabilmente.
Il mio amico ricordava quell’esperienza di offese, di umiliazioni, di dignità svendute a poco prezzo nei metri a perdere perché mancanti, le serrature chiuse a sbattere, le grida e le ristrettezze, la libertà scomparsa e la sopravvivenza concessa con il contagocce.
Parlava di uomini diventati invisibili, di catene strette alla vita, di parole al macero, di dialoghi dispersi, di ascolto dimenticato, di un abbandono scelto per non avere altre scelte.
Parlava di cose mai viste; purtroppo vissute tragicamente in accezioni che mai possono essere confermate, di filosofie disarmate al punto da apparire umane, troppo umane in miserie disumane inenarrabili.
Il mio amico parlava e le sue mani non stavano mai ferme, come i suoi occhi, impauriti al punto da aggredirmi se non fossi rimasto ad ascoltarlo.
Ho pensato a come il carcere assolva al meglio la sua funzione di salvaguardia della collettività, ho ripensato alla fisicità di una prigione, che non è quella dei films, dei libri, di coloro che ci finiscono dentro per un motivo o per un altro, e poco importa se oltre a pagare pegno per il male fatto, ne pagano un altro assai maggiore in termini di umanità derelitta e sconfitta.
Il mio amico parlava ed io pensavo a quanto è importante la Giustizia per i politici che fanno le leggi, per i magistrati che condannano, per tutti gli uomini perbene..tranne che per chi in carcere ne invoca uno spicchio, avendone infranto la parte più alta.
Ho pensato a come contenere e incapacitare non significhi prevenire, tanto meno rieducare, risocializzare, soprattutto non sottenda sperare.
Il mio amico balbettava di Dio fatto a pezzi e di Santi costretti alla diaspora, io pensavo ad una equazione e al danno che ne deriva, nella richiesta di una giusta e doverosa esigenza di giustizia per chi è stato lacerato, di contro alla ingiusta e indoverosa esigenza di indifferenza nei riguardi di chi in carcere è obbligato a sopravvivere.
Colpevoli e innocenti, per due giorni, per due mesi, per vent’anni, varcano i cancelli di un carcere, opera sgangherata eretta a difesa della vita umana e nell’illusione di migliorare gli uomini, affinché non ritornino a delinquere.
Penso che debba esistere, sì, un dazio da pagare, ma in un percorso e in un tragitto per ritornare a essere uomini nuovi.
E invece quanti in quelle celle non raggiungeranno alcuna consapevolezza, alcun equilibrio, alcuna conoscenza di se stessi, perché sconosciuti se non distaccati.
Mi chiedo allora se c’è attenzione e intervento per chi annega nella propria nevrosi, al punto da arrampicarsi nella psicosi, oppure questo contenitore disturbato chiamato prigione, è dichiaratamente terra di nessuno, dove i numeri sono la somma che conta e non la fatica dell’accompagnare.
Sto osservando il mio amico fare ritorno a ciò che resta della sua vita, lo guardo salire in macchina e scomparire oltre la curva, e mi rendo conto di non avere fatto caso ai motivi che l’hanno condotto in una cella, ma la risposta è lì, in superficie.
Avevo di fronte una persona, che mi parlava di un tempo e di uno spazio lunghi due mesi, dove il mondo era sprofondato ben al di sotto della sua colpa, del reato che aveva commesso.
Ma forse è questa la Giustizia che ci assolve dalla nostra indifferenza.
Vincenzo Andraous
tutor Comunità
Casa del Giovane
Pavia 7-6-03