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27 Gennaio 2019Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
“L’educazione e l’istruzione nel XXI secolo: la civiltà, la qualità, la libertà.”
Fondazione Liberal
Milano, 19 Aprile 2002
Una scuola europea, un’università europea, un sistema europeo di formazione: sono tre le “risposte possibili” – che questa sessione conclusiva ci invita a suggerire – alle molte domande che sono state poste nei giorni scorsi nel corso dell’interessante dibattito organizzato dalla Fondazione Liberal sui grandi temi dell’educazione e l’istruzione del 21° secolo.
E’ giunto il momento di dare vita ad un grande progetto europeo dell’educazione e della formazione professionale che si ispiri al patrimonio di valori comuni, alle tradizioni di cultura e di civiltà che ci legano profondamente gli uni agli altri. I sistemi educativi e formativi dei paesi europei saranno chiamati nei prossimi anni a formare gli uomini e le donne ed a fornire loro conoscenze e competenze tecniche necessarie per i grandi cambiamenti che ci aspettano: dall’allargamento degli attuali confini dell’Unione Europea alla rifondazione ed al consolidamento delle istituzioni che presiedono al suo sistema democratico.
Sono qui per annunciare che l’Italia é pronta a giocare un ruolo di primo piano nella definizione di quella strategia di cooperazione culturale, tecnica e scientifica di cui abbiamo sempre più bisogno in Europa per affrontare molte delle problematiche del nostro tempo: sviluppo sostenibile, occupazione e qualità delle risorse umane, demografia e immigrazione, giustizia sociale, recupero del disagio giovanile, lotta alla droga e alla criminalità.
Rinviare questo progetto educativo e formativo significherebbe non soltanto compromettere le prospettive di stabilità politica e di sviluppo sociale di un’Europa allargata, ma porterebbe anche ad accrescere i rischi e le incertezze legate ad un ciclo di crescita economica internazionale ormai indissolubilmente legato alle capacità di produrre conoscenza.
Rischi di disuguaglianze e di esclusioni sociali che l’Europa non ha affatto scongiurato, se guardiamo all’effettivo livello di partecipazione all’istruzione di base. Nel 2000 la proporzione di cittadini europei compresi tra i 24 e i 64 anni di età che avevano raggiunto almeno un livello di istruzione secondaria superiore era soltanto del 60,3%. Quasi 150 milioni di persone nell’Unione Europea, prive di un livello di istruzione di base, sono ancor oggi esposte ad un alto rischio di emarginazione. E quando il processo di allargamento dell’Unione Europea sarà stato completato, lo scenario che avremo di fronte sarà ancor più preoccupante, come i miei colleghi Elisabeth Gehrer e Krystyna Lybacka qui presenti possono sicuramente testimoniare.
L’Europa comunitaria ha da tempo avviato una strategia di cooperazione su questo fronte, ma soltanto di recente si é avvertita l’esigenza che essa possa trovare un luogo strutturato e visibile di incontro, di dialogo e di collaborazione per favorire, in modo trasparente e misurabile, sia gli scambi culturali sia gli scambi a livello umano, scientifico e tecnologico.
Nelle discussioni che si sono aperte tra i Ministri europei dell’istruzione e dell’università vengono proposti traguardi molto ambiziosi:
· migliorare i sistemi di istruzione e formazione dell’Unione Europea con l’obiettivo di fare dell’Europa un termine di riferimento mondiale per qualità e pertinenza educativa;
· dare ad ogni cittadino europeo libero accesso a tutti i sistemi di istruzione e formazione nell’intero arco della vita;
· aprire i sistemi di istruzione e formazione europei al resto del mondo, in modo che l’Europa diventi meta favorita di studenti, studiosi e ricercatori di altre regioni;
· sostenere una visione dei processi educativi e formativi che tenda a superare le antiche contrapposizioni tra equità sociale e competizione individuale, tra partecipazione e responsabilità, riconducendo ad un principio unitario e condiviso i concetti della qualità e della solidarietà.
Si tratta, come potete capire, di obiettivi di medio e lungo termine che richiederanno un eccezionale impegno politico ed organizzativo. La nostra convinzione di poter riuscire in questo sforzo sta nel constatare che lo spazio europeo dell’istruzione e della formazione – alla cui formazione l’Italia intende partecipare a pieno titolo – é oggi il punto ideale di raccordo dei progetti culturali, tecnologici e scientifici e punto di partenza di ogni progetto sociale ed economico.
Scuola, università e strutture di formazione costituiscono il “luogo” ove potranno confluire i progetti che tendono a migliorare le opportunità di lavoro e la mobilità degli studenti , a facilitare la circolazione dei saperi e l’integrazione delle professioni, internazionalizzando gli studi e i corsi di formazione, a migliorare i processi di acquisizione delle conoscenze e delle competenze e ,infine, a potenziare i sistemi di riconoscimento delle qualifiche professionali e dei titoli di studio.
La politica educativa e formativa non é ancora oggi una delle politiche comuni dell’Unione Europea – a differenza della politica monetaria o di quella sui mercati e sulla concorrenza – ma la novità recente é appunto la decisione che é stata presa di tentare una progressiva unificazione/integrazione delle politiche nazionali, fissando obiettivi concreti da realizzarsi nel periodo 2004-2010. Macro-obiettivi di carattere generale, di “policy making”, accompagnati da “targets” specifici e indicatori condivisi che permettano d misurare le migliori pratiche nazionali in materia di competenze di base, di livelli medi di apprendimento matematico e scientifico, di competenze tecnologiche, di qualità e formazione dei docenti, di mobilità degli studenti tra scuole e università europee e di utilizzo delle risorse economiche.
Tutti questi obiettivi “comuni” sono destinati a divenire, un giorno non più lontano, riferimento obbligato per determinare la qualità dei sistemi educativi e formativi nazionali.
E’ con giustificato orgoglio, io credo, che posso oggi dirvi come i nostri progetti di riforma del sistema educativo e formativo nazionale siano perfettamente allineati agli obiettivi che si vanno definendo per una politica europea dell’istruzione e della formazione ed anzi rappresentino, per alcuni aspetti, una frontiera avanzata in questo faticoso e irrinunciabile processo di cambiamento. Basti citare i punti fondamentali che hanno ispirato la nostra riforma:
1. Migliorare la formazione degli insegnanti e dei formatori nella consapevolezza che la formazione dei docenti é fattore determinante per il miglioramento della qualità educativa e formativa e per l’attuazione dei processi di riforma.
2. Rafforzare i legami tra sistema educativo/formativo e mercato del lavoro, con particolare attenzione al tema dell’orientamento.
3. Promuovere un apprendimento più attraente e più utile con specifico riguardo alla necessità di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica e degli abbandoni.
4. Incentivare gli studi nel campo scientifico e tecnologico anche per valorizzare i profili professionali legati a settori economici in rapido sviluppo e con grandi possibilità occupazionali.
5. Assicurare una maggiore utilizzazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione come strumenti didattici e formativi sin dai primi livelli di studio.
6. Potenziare l’apprendimento delle lingue straniere con l’introduzione dello studio obbligatorio di una lingua comunitaria fin dai 6 anni e di una seconda lingua comunitaria dall’età di 11 anni.
L ‘Italia é dunque pronta a svolgere un ruolo di protagonista, dando pieno appoggio alla realizzazione di questo grande progetto comunitario. E in questo senso, nelle scorse settimane abbiamo concordato con i nostri partner un impegno concreto che ritengo di grande importanza: porre la formazione professionale al centro dei nostri sistemi educativi e fare della formazione lo strumento di integrazione delle politiche nazionali.
Ci siamo associati fra i primi a questo progetto, creando le premesse per l’adesione di molti altri Stati membri dell’Unione, perché siamo convinti che vi sia in Europa un urgente bisogno di nuove competenze qualificate, soprattutto nel campo tecnico-scientifico, coerentemente con le richieste che emergono dal mercato del lavoro e dalle nuove esigenze in relazione alla qualità della vita, della salute, dell’ambiente.
I due progetti-pilota finora approvati riguardano settori di forte interesse per il nostro Paese, come il turistico-alberghiero e la logistica nell’industria dell’automobile. Progetti realizzati insieme alla Francia, Germania e Grecia.
Con questo primo atto, destinato a facilitare la mobilità di studenti e lavoratori, diventa più concreto e vicino il traguardo della definizione di qualifiche e titoli professionali nazionali reciprocamente riconoscibili a livello europeo sulla base di percorsi formativi costruiti di comune accordo e ciò ci fa pensare che sia possibile puntare in tempi non troppo lunghi anche alla creazione di uno “spazio europeo di apprendimento continuo per l’intero arco della vita”.
Oggi siamo ancora ben lontani da questo obiettivo. La partecipazione degli europei tra i 25 e i 64 anni di età all’istruzione e alla formazione é soltanto dell’8%. Un’ idea di Europa fondata sulla cultura, sull’istruzione e sulla formazione delle competenze pone dunque una sfida di importanza storica: progettare e realizzare tutti insieme un quadro radicalmente nuovo dell’ apprendimento permanente. La formazione permanente deve diventare uno strumento centrale nelle nuove politiche del lavoro, garantendo un costante aggiornamento e riqualificazione di chi sta nel mondo del lavoro che cambia continuamente e richiede aggiornamenti continui. Per noi la formazione permanente è il vero ammortizzatore sociale.
Questo é attualmente il fattore principale di freno alla mobilità transnazionale ed al pieno sviluppo delle culture nazionali. Questo é l’impedimento più serio a che un giovane europeo incontra ogni giorno nel tentativo di arricchire il proprio bagaglio culturale e professionale, decidendo di intraprendere un nuovo ciclo di studi in un diverso paese oppure di impegnarsi in un periodo di formazione, in un’attività di volontariato o di insegnamento lontano dal proprio luogo d’origine. Su questa strada vi sono tuttora numerosi ostacoli giuridici e amministrativi che dobbiamo superare sia nell’ambito dei programmi comunitari – “Erasmo”, “Socrate”, “Leonardo”, “Gioventù” – sia al di fuori di questi.
Penso alla necessità di promuovere lo sviluppo di dispositivi di sostegno finanziario alla mobilità degli studenti, come indennità, borse di studio, sovvenzioni, prestiti. Oppure alla necessità di realizzare un’effettiva trasferibilità delle borse di studio e degli aiuti nazionali. E, infine, di facilitare il trasferimento dei crediti universitari e il riconoscimento a fini accademici, nello Stato membro d’origine, del periodo di studi intrapreso in un altro paese.
In questo contesto, l’Italia é fortemente impegnata nel dibattito in corso in sede comunitaria per la creazione di uno “spazio dell’istruzione superiore” che verta su 5 punti:
· l’adozione in tutti i paesi dell’Unione Europea di un sistema di titoli basato essenzialmente su due cicli, rispettivamente di primo e secondo livello;
· il consolidamento di un sistema unificato di crediti didattici acquisibili anche in contesti diversi;
· la promozione della cooperazione europea nella valutazione della qualità dei sistemi educativi e formativi;
· la definizione di un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità;
· la promozione di una dimensione europea dell’istruzione con particolare riguardo allo sviluppo dei piani di studio, alla cooperazione fra istituzioni scolastiche e universitarie, agli schemi di mobilità ed ai programmi integrati di studio.
Anche su questo fronte l’Italia é oggi in prima linea. Al progetto europeo stiamo infatti dando un’adesione non solo formale, ma sostanziale ed offriamo l’importante contributo delle riflessioni che stanno maturando in questi mesi all’interno del nostro contesto nazionale grazie al processo di ampia consultazione che abbiamo aperto con docenti, studenti, genitori e con tutte le componenti della società civile impegnate attivamente nel campo dell’istruzione e della formazione.
Al riguardo, cito tre esempi significativi:
a. la recente adozione da parte degli atenei italiani del sistema europeo di trasferimento dei crediti (ECTS) ed il rilascio del supplemento al diploma, entrambi strumenti che favoriranno la trasparenza dei percorsi formativi e dei titoli accademici;
b. le iniziative che stiamo intraprendendo a tutti i livelli per la costruzione di percorsi formativi in stretta correlazione agli sbocchi professionali;
c. il rafforzamento che ci proponiamo di ottenere del sistema della formazione professionale, dando pari dignità a questo canale del sistema educativo anche al fine di assicurare la spendibilità livello europeo dei titoli di studio.
Per produrre lo sviluppo, il benessere e l’innovazione di cui la società europea avrà bisogno nei prossimi anni i sistemi educativi e formativi nazionali devono riscoprire la propria vocazione di luogo di incontro fra culture, di istituzioni aperte al dialogo e alla collaborazione all’interno di un processo di continua circolazione delle idee e di costante confronto tra diverse identità culturali. L’internazionalizzazione degli studi é oggi mediamente ad un livello ancora insufficiente.
Il caso italiano presenta forse aspetti più gravi, ma non si discosta molto da una situazione generale di bassa mobilità studentesca. Oggi l’83% dei laureati italiani conclude gli studi universitari senza aver fatto alcuna esperienza all’estero. Sono appena il 3,6% i nostri laureati che preparano la loro tesi in un paese straniero e poco più del 6% di loro sostiene almeno un esame all’estero. I programmi comunitari creati per favorire l’internazionalizzazione degli studi coinvolgono 8 studenti italiani su 100: fra il 2,7% e il 3,5% dei medici, degli psicologi, dei farmacisti, dei laureati in scienze matematiche, fisiche e naturali.
Altrettanto preoccupante é il confronto sulla conoscenza delle lingue: risultano avere una conoscenza “almeno buona” dell’inglese meno della metà dei nostri laureati, un terzo degli architetti e dei laureati in scienze della formazione, poco più del 50% degli ingegneri e dei laureati in scienze politiche.
Dobbiamo chiederci quali sono le ragioni di questa situazione del tutto insoddisfacente.
Negli ultimi 15 anni le politiche comunitarie sono state dirette essenzialmente a “finanziare” la mobilità mediante il sostegno di programmi educativi e formativi. Si stima che in questo campo i finanziamenti europei indirizzati a favorire la mobilità degli studenti e dei docenti siano ammontati ad oltre 2 miliardi di euro. Occorre fare un bilancio di questa esperienza per valutare quali siano stati i benefici realmente ottenuti in termini di “skills” e di livelli generali di apprendimento; e occorre valutare in quale misura questi singoli progetti possano essere utilizzati per “fare sistema” e per accrescere i livelli qualitativi dell’istruzione.
La mia opinione é che i risultati ottenuti sono senza dubbio significativi, ma insufficienti sul piano qualitativo. Penso che occorra in questo campo uno sforzo di creatività e di progettualità. Una valutazione preliminare del fenomeno della mobilità degli studenti e delle esperienze fatte sino ad oggi fa pensare, ad esempio, che esiste l’opportunità, attualmente non realizzata, di migliorare gli effetti qualitativi della mobilità. Si tratta di capire come la mobilità possa accrescere il patrimonio educativo e formativo degli studenti e dei lavoratori europei e come la mobilità possa effettivamente aumentare la produzione di reddito a livello individuale e settoriale nel mercato del lavoro e della produzione.
Io credo che la mobilità non possa essere un obiettivo soltanto quantitativo, misurato sul numero di studenti che periodicamente accedono agli strumenti finanziari offerti in campo comunitario, ma debba diventare una componente di un’offerta didattica efficace e adottata in modo diffuso. La mobilità deve cioè entrare nei processi educativi e nei contenuti dei piani di studio. La mobilità non può essere solo uno strumento “tecnico”, ma deve diventare parte integrante del bagaglio formativo personale di ogni europeo in età di studio e di lavoro.
La riflessione é aperta e siamo interessati a capire a quali conclusioni si arriverà per meglio orientare anche gli strumenti di incentivo e di sostegno all’internazionalizzazione del sistema scolastico e universitario italiano.
Tutto ciò potrebbe comunque non bastare. La mobilità é infatti un tema trasversale non solo alle politiche dell’istruzione e della formazione, ma anche alle politiche del lavoro, alle politiche fiscali e previdenziali, alle politiche sull’immigrazione. Tra l’altro le iniziative in tema di mobilità sono sempre più decentrate rispetto ai poteri di indirizzo e di controllo esercitate dai governi centrali e vengono frequentemente prese a livello regionale, locale o di singolo istituto.
Dobbiamo dunque muoverci su un fronte ampio che presenta problematiche complesse di non semplice soluzione.
Ho avuto modo di spiegare in più occasioni quale tipo di scuola stiamo progettando in Italia. Una scuola europea nella sua ispirazione, ma radicata in un’identità nazionale solida, consolidata, condivisa. Una scuola europea nella sua visione comunitaria, ma capace di difendere e nutrire le tante identità locali che nel nostro Paese, come negli altri paesi europei, rappresentano un’inesauribile risorsa strategica. Una scuola, dunque, che sappia costruire un’identità unica nella molteplicità delle culture, senza negare, anzi esaltando, il valore delle diversità.
Mi impegno a costruire questa scuola utilizzando gli orientamenti che provengono dalla Commissione europea. Sono gli stessi principi che stanno alla base della scelta di un federalismo solidale che questo Governo ha assunto anche nel campo dell’istruzione. Una scuola europea, nazionale e locale é infatti la scuola che il nuovo ordinamento dello Stato si chiede di progettare.
Nutro una grande fiducia che questo nostro sforzo possa avere successo. L’Europa ha infatti un patrimonio di civiltà che ha radici antiche e profonde, le radici poste secoli fa dai grandi pensatori del mondo greco-romano e del messaggio cristiano incentrato sulla fiducia nell’uomo, sulla sua libertà di scelta nella strada da percorrere, sulle sue capacità di cambiare le sorti di una comunità e di una società.
A questo compito non possiamo dunque sottrarci. Nell’attuale fase storica il motore dei processi di cambiamento é culturale. Il capitale umano, la conoscenza, le professioni saranno l’elemento fondante dell’identità europea politica, economica e sociale dei prossimi decenni. L’Italia ha un ruolo chiave in questo processo. Siamo da secoli un insostituibile “laboratorio” di saperi tecnico-scientifici e di culture umanistiche e i molti fattori di eccellenza che possiamo oggi vantare in questi campi testimoniano della posizione assolutamente strategica che il nostro Paese ricopre nello spazio europeo dell’istruzione e della formazione che si sta delineando.