L’emancipazione della donna nelle istituzioni e nella società
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27 Gennaio 2019E BELLO VIVERE LIBERI! al San Teodoro
Intervista alla giovane interprete, Marta Cuscunà
Una storia vera, che ci parla di impegno generoso, di un sogno di libertà e di sacrificio per il bene comune. Una storia raccontata con molteplici linguaggi, che emozionano. Sono tanti i motivi per assistere a E’ bello vivere liberi!, spettacolo in scena venerdì 3 novembre alle 21, al Teatro San Teodoro di Cantù. I responsabili della programmazione artistica hanno scelto un monologo di unautrice e attrice molto giovane, Marta Cuscunà, che attraverso una prova che mescola teatro di narrazione e teatro di figura, presenta al pubblico la vicenda di Ondina Peteani, la prima staffetta partigiana d’Italia, successivamente deportata ad Auschwitz. Marta Cuscunà con questo spettacolo, di cui firma anche la regia, ha vinto l’importante Premio Scenario per Ustica, dedicato al teatro civile.
Marta, come è nato il testo che continua a ricevere consensi da parte del pubblico e della critica?
Per caso, tempo fa, mi imbattei nella biografia di Ondina Peteani, scritta dalla storica Anna Di Giannantonio. Quella lettura mi folgorò e in particolare, mi colpì il fatto che una ragazza di soli diciassette anni, avesse trovato la forza di impegnarsi in prima persona per realizzare un sogno di libertà per sé e per tutti.
La storia che lei racconta in scena è, infatti, autentica
Sì ed è un racconto della Resistenza molto diverso da quello che si trova nei manuali scolastici. L’esempio di Ondina getta una luce nuova e vivissima su quel momento storico e sulle persone, tutte molto giovani, che lo resero possibile. Importante farlo conoscere a una generazione che, per diversi motivi, non si sente più protagonista del proprio destino.
Il racconto, in scena, si svolge attraverso registri espressivi diversi. Come è arrivata a questa scelta drammaturgica?
Durante la fase della scrittura, ero in difficoltà. Non riuscivo a capire come raccontare la vicenda, soprattutto nel momento dell’internamento ad Auschwitz, in modo credibile. In un primo momento, ho pensato di poter usare le foto che documentano la vita nel lager, ma quelle immagini sono talmente insostenibili che non riuscivo a guardarle. E invece il mio intento era proprio quello di catturare gli spettatori.
Così sono entrati in gioco i pupazzi realizzati con Belinda De Vito che ha curato gli oggetti di scena
Anche in questo caso, Ondina è stata fonte di ispirazione. Lei stessa, infatti afferma di essere riuscita a sopportare le violenze del campo di sterminio solo con un processo di sdoppiamento”. Era come se esistessero due Ondine: una galleggiava nell’aria e osservava ciò che accadeva all’altra. Da qui l’idea di portare in scena le due figure. Nella prima parte, interpreto il personaggio della staffetta partigiana, mentre nel campo, Ondina è un pupazzo. Questo mi permette di distaccarmi da lei e di interpretarne meglio la terribile odissea.
La sua scelta del teatro di figura non è casuale
Il teatro visivo è un linguaggio a me congeniale. Nello spettacolo, lo uso anche in un’altra sequenza, per descrivere l’uccisione di una spia per mano dei partigiani. In questo caso, riprendo un fatto reale, perché durante la Resistenza sul Carso (che fu precoce rispetto al resto dei territori del Nord Italia), i partigiani misero in scena proprio un testo teatrale con i burattini, dal titolo La fine del traditore, per comunicare alle popolazioni di quell’area che la spia era stata eliminata.
Qual è l’insegnamento più prezioso di Ondina?
A livello personale, questa figura ha cambiato la mia vita e mi ha spinto a misurarmi con me stessa, senza paura. Sul pubblico, in particolare, su quello più giovane, Ondina ha un impatto fortissimo. E’ un esempio di gioioso impegno al femminile.
Sì, perché tante furono le giovani donne che si impegnarono nella Resistenza
Certo! Si dedicarono a quella causa con slancio. Avrebbero potuto restarsene a casa tranquille e invece affrontarono i pericoli, le violenze e anche la morte. Il loro ruolo fu fondamentale anche se, dopo la guerra, a molti fu comodo ridimensionarle.