139 passi (o quasi) verso la polis
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27 Gennaio 2019
una grande storia, la nostra storia
Il giglio di quell’amore”
( … ) Pensiamo a Dante Di Nanni, pensiamo a Ondina Peteani, pensiamo a Duccio Galimberti. Amiamoli. Riappropriamoci della loro storia, del loro coraggio, delle loro idee, costruiamo un aprile di chi cerca giustizia e libertà. Amiamoli, come se fossero tra noi.
Dobbiamo riappropriarci di quella storia, del coraggio, delle idee.
di Agostino Francesco Poli
Articolo originale su e-cremona-web:
L’antifascismo, la Resistenza, la Costituzione repubblicana: una grande storia, la nostra storia.
Parlerò del “germe orrendamente profumato della Resistenza”. E’ un verso di Pier Paolo Pasolini. Ho sempre in mente queste parole, perché poeti e poete, spesso, dicono, delle cose, aspetti luminosi e nascosti, come e più di sociologi, di storici e di filosofi. Hanno lo sguardo bambino, duro, puro ed inflessibile, e colgono l’anima degli avvenimenti. E duro, cogliere l’anima della Resistenza. Un germe, sicuramente: poiché germinò, tra gli altri, la nostra Costituzione, un miracolo”. Così la definì Vittorio Emanuele Orlando, un costituente, nato pochi giorni dopo lo sbarco dei Mille a Marsala: un liberale, pur compromesso con il fascismo; un uomo che, assai anziano, lottò contro la legge truffa” del 1953 .. per dire come le cose non sono ai semplici e che occorre leggere tanto e tanto studiare e riflettere, per poter sperare di capire. Un germe, perché germinò la partecipazione politica, il desiderio di allargare i propri orizzonti. Di entrare in contatto con i saperi e le esperienze europee e mondiali. Permise, al nostro Paese, di inserirsi nell’orizzonte- mondo. Il fascismo ci aveva consegnato ad una misura misera e asfittica, nonostante le molte teste importanti di cui disponeva. Ma non è sufficiente la testa, se non ci sono anche etica responsabile, giustizia e libertà, e aria, respiro, relazioni, contatti. Se c’è la paura, a dominare le coscienze. I resistenti si adunarono, per dignità, non per odio: lo scrisse Calamandrei. Umiliati, percossi, massacrati di botte, quando non uccisi, privati del lavoro, mandati al confino – che non era una villeggiatura, come qualcuno ha detto in modo infame – durante il fascismo, nel ventennio. Si adunarono, per dignità e non per odio, dopo l’8 settembre, quando il fascismo, nel mezzo di una guerra terribile in cui si era colpevolmente e scientemente infilato, rivelò fino in fondo il suo volto di regime totalitario e irresponsabile, e la monarchia, la sua irrimediabile fine, con la fuga fellona del re e della corte a Brindisi. Un Paese massacrato, la fame, le bombe, le nostre belle città date al nemico, la miseria, i morti in Russia, in Africa, sui troppi fronti di una guerra sciagurata. Poter raccontare con le parole dei reduci, cosa fu la campagna di Russia, dove il fascismo mandò i nostri soldati con scarpe che si disfacevano dopo pochi chilometri nella neve, con armi inadatte, con cappotti che non coprivano dal gelo terribile .. i nostri Mario, Giovanni, Aldo, a volte ragazzini di neppure venti anni, gettati in un macello impensabile, con i gerarchi che se ne stavano al caldo queste furono responsabilità enormi. Imperdonabili. E dopo. I partigiani tallonati, snidati, catturati. Violenze inenarrabili, le torture che subirono, tali da non reggerne il racconto, le violenze, anche sessuali, sulle donne. Le rappresaglie, la deportazione degli ebrei, i fascisti di Salò che aiutavano a trovare ebrei e resistenti e a consegnarli alla loro orrenda sorte. Gli operai che scioperarono nelle loro fabbriche, per difenderle, deportati e sterminati. I soldati che non vollero collaborare con i tedeschi, dopo l’8 settembre, deportati e morti, in moltissimi. Certo che fu, anche, guerra civile: come poteva non esserlo? Chi era comunque d’accordo, e chi tacque, e aveva un ruolo, fu responsabile. Perché era possibile opporsi, a tutti i livelli, e lo fecero tante donne e tanti uomini, al sud al centro e al nord. La libertà fu riconquistata dalla nostra “meglio gioventù” dell’intelligenza, dell’anima e del coraggio nell’aprile del 1945, dalle ragazze e dai ragazzi, dalle donne e dagli uomini “che volontari si adunarono/per dignità, non per odio/decisi a riscattare/la vergogna e il dolore del mondo”. La vergogna e il dolore del nazifascismo, la violenza, l’illibertà, l’abbrutimento delle coscienze, il servaggio, il timore di pensare da sé. Dobbiamo provare riconoscenza e amore verso quei ragazzi e quelle ragazze, quei ragazzi “con la spolverina/che usava in quegli anni, i calzoni/larghi, e sulla chioma partigiana la bustina/ militare”, che “scendono lungo i muraglioni/dove stanno i mercati, giù dai viottoli/che uniscono i primi orti ai costoni/ delle colline: scendono dai cimiteri […] scendono giù, muti, nel primo sole,/e, pur così vicino alla morte, il loro è il passo lieto/di chi ha tanto cammino da fare nel mondo “. Sono, ancora, versi di Pasolini. Ma pensiamo, ripeto, anche a tutti e a tutte quelle che resistettero alla barbarie fin dall’inizio degli anni Venti, maltrattati, licenziati, picchiati, esiliati, esiliati in patria e fuori patria, perseguitati, con nel cuore l’amore per la libertà. I gesti eroici – i gesti silenti e umili di resistenza quotidiana. Pensiamo a Dante Di Nanni, pensiamo a Ondina Peteani, pensiamo a Duccio Galimberti. Amiamoli. Riappropriamoci della loro storia, del loro coraggio, delle loro idee, costruiamo un aprile di chi cerca giustizia e libertà. Amiamoli, come se fossero tra noi. Celebriamo degnamente il 25 aprile.