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27 Gennaio 2019Donna e Femminismo nell’ottocento
Durante il primo quindicennio del secolo era maturata in Germania una nuova cultura, il Romanticismo, che aveva le sue radici già nel pensiero di alcuni filosofi e letterati tedeschi degli ultimi anni del ‘700.
Il Romanticismo nasce in opposizione ai motivi più astratti dell’ideologia illuministica, della quale, però, conserva e approfondisce quelli più validi. L’Illuminismo aveva esaltato la ragione come facoltà sovrana, aveva rifiutato le religioni tradizionali, sostituendo ad esse un vago deismo o una concezione materialistica della realtà. Il Romanticismo è, invece, pervaso da un’ansia religiosa che, o si concreta nel ritorno alle fedi tradizionali o sfocia nell’immanentismo, cioè in una religione dell’umanità fondata sul culto dei valori spirituali più alti. Nasce così un concetto più organico della vita dello spirito, sentita come il mezzo che ci pone in contatto più immediato con l’Assoluto, ciò che i Romantici chiamano l’Infinito.
In questo periodo un articolo di Madame de Staël (Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni), l’entusiastica diffonditrice del Romanticismo tedesco nei paesi latini, fu l’occasione per uno scontro tra classicisti e romantici. La Staël sosteneva che i letterati italiani dovevano abbandonare la vuota imitazione dei classici e l’idea orgogliosa, ma falsa, di un proprio primato letterario ed entrare in colloquio vero con le nazioni moderne. I classici insorsero accusando la Staël di voler togliere all’Italia l’unica gloria che ancora le rimaneva, quella delle lettere. I Romantici, invece, difesero la Staël perché sentivano che amare la patria significava, in quel momento, riconoscere lucidamente la decadenza e le sue cause, per sforzarsi di superarle. Furono insomma i propugnatori del Risorgimento nazionale: vollero essere guida di una nazione rinnovata da una cultura patriottica, liberale e democratica. La nostra letteratura romantica risorgimentale non raggiunse risultati artistici veramente notevoli, ad eccezione di Foscolo, Leopardi e Manzoni.
Manzoni, con i Promessi Sposi, offrì un esempio altissimo di letteratura moderna e popolare, sia nel contenuto sia nello stile. Il Manzoni fu considerato il caposcuola del nostro Romanticismo. Anche in Francia si diffuse il romanzo di critica storica e sociale che ebbe come maggiori esponenti Flaubert, De Musset, Stendhal e Murget. Tra gli scrittori francesi di questo periodo, un altro degno di nota è Baudelaire, il poeta maledetto. Fra le donne emerse la figura di Aurore Dupin, scrittrice del movimento romantico, che scandalizzò la società parigina per la vita anticonformista e le relazioni amorose: sfidò la società benpensante portando abiti maschili, scegliendosi lo pseudonimo maschile di George Sand, lanciandosi in amori passionali e sposando la causa dei più deboli ed emarginati.
Dopo alcuni decenni, attorno al 1870, prese forma un nuovo movimento artistico in contrapposizione al Romanticismo: l’Impressionismo. A scandalizzare il pubblico e la critica fu la mancanza di idealizzazione con cui Edouard Manet presentò il nudo in Olympia; la figura della donna viene esaltata in molti quadri di pittori come Renoir, Monet e Degas.
Le nuove istanze positivistiche e realistiche della nostra cultura vennero portate alle conseguenze più rigorose dal Verismo. Il suo fine era una letteratura che fosse strumento di conoscenza e diffusione del vero. Dietro l’impassibilità dei veristi c’era uno stato d’animo di disperazione e di pessimismo che rivelava tuttavia l’urgente necessità di risolvere i problemi di fondo della società italiana. Il nostro Verismo ebbe come principali rappresentanti degli scrittori meridionali. Il maggio teorico fu il catanese Luigi Capuana, seguito da Giovanni Verga, e da una donna: la napoletana Matilde Serao.
Dall’esperienza naturalistica e psicologica del Verismo presero le mosse altri scrittori, che la svolsero, però secondo nuove forme di sensibilità ormai decisamente antipositivistiche e ispirate in misura diversa al decadentismo: basti ricordare D’Annunzio, Pirandello e Svevo.
Della fase iniziale del Decadentismo, ricordiamo in primo luogo l’Estetismo (rappresentato, ad esempio, dal D’Annunzio e da Oscar Wilde) che deriva direttamente dalla già esposta concezione della poesia.
Una delle manifestazioni più significative della spinta verso la democrazia fu il movimento per l’emancipazione femminile. Sebbene la questione fosse stata affrontata fin dal tempo della Rivoluzione francese e si fosse via via ripresentata nei momenti di crisi rivoluzionaria, la legislazione civile e gli istituti politici avevano mantenuto in tutto il corso dell’Ottocento la disuguaglianza dei diritti tra i due sessi, ribadita ed aggravata dall’atteggiamento della mentalità comune e dal costume.
Il movimento per i diritti delle donne, detto anche “Movimento femminista”, si affermò per la prima volta in Europa nel tardo XVIII secolo, e dopo importanti conquiste ottenute a cavallo del XIX e XX secolo passò momenti di difficoltà fino a rifiorire durante gli anni ’60 del Novecento. Si sostenne allora, che la subordinazione delle singole donne era espressione diretta di una generale oppressione politica contro il genere femminile. Le tre direzioni di riflessione e di impegno del femminismo sono state: la ricerca della solidarietà e la presa di coscienza dell’identità di genere, al fine di consolidare le posizioni politiche e sociali delle donne; le campagne di sensibilizzazione a favore dell’aborto, dell’eguaglianza di trattamento economico, dell’eguale responsabilità nella cura dei figli e contro la violenza domestica; il fiorire delle discipline accademiche che raccolsero intorno all’area dei cosiddetti “women’s studies” (studi delle donne o di genere) e che fornirono argomenti teorici e dati empirici a sostegno delle tesi del movimento.
L’Illuminismo e la rivoluzione industriale contribuirono a creare in Europa un clima favorevole allo sviluppo del femminismo, sull’onda dell’influenza dei movimenti riformatori a cavallo tra XVIII e XIX secolo. In Francia, durante la rivoluzione francese, le associazioni repubblicane delle donne invocarono l’estensione universale dei diritti di libertà, uguaglianza e fraternità, senza preclusioni di sesso. In quegli anni Mary Wollstonecraft scrisse in Gran Bretagna la prima opera femminista, intitolata Rivendicazione dei diritti delle donne (1792), in cui denunciò la forte discriminazione della società di quel tempo, richiedendo l’uguaglianza tra i generi. Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come salariate. Ciò rappresentò, pur tra grandi contraddizioni sociali, il primo passo verso l’indipendenza, sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti. Nello stesso periodo, le donne di classe di media e alta furono invece relegate al ruolo di “angeli del focolare”. Mentre nei paesi di religione cattolica la Chiesa si oppose duramente al femminismo, in quanto riteneva che distruggesse la famiglia patriarcale, nei paesi di religione protestante (come la Gran Bretagna e gli USA) il movimento femminista ebbe maggior successo. Alla sua guida si posero donne istruite riformiste che provenivano dalla classe media. Nel 1848 più di cento persone tennero a New York la prima assemblea sui diritti delle donne sostenute dall’abolizionista Lucrezia Mott che si opponeva alla schiavitù, e dalla femminista Elisabeth Cady Stanton, le donne chiesero uguali diritti e, in particolare, il diritto di voto e la fine della disparità di trattamento. Le femministe inglesi invece si riunirono per la prima volta nel 1855 per ottenere pari diritti di proprietà. In Gran Bretagna, inoltre, la pubblicazione dell’opera “Schiavitù delle donne”, del filosofo John Stuart Mill, influenzata probabilmente dalle conversazioni con la moglie Harriet Tayllor Mill, richiamò l’attenzione sulla questione femminile e portò alla concessione nel 1870, sempre in Gran Bretagna, dei diritti di proprietà alle donne sposate. In seguito furono introdotte le leggi sul divorzio, sul mantenimento e sul sostegno nella cura dei figli e la legislazione del lavoro introdusse i minimi salariali (cioè il salario minimo che doveva essere pagato per un certo lavoro) e i limiti relativi all’orario di lavoro.
Un segno del mutamento di clima fu il grande successo che ebbe un dramma di Ibsen, “Casa di bambola” (1879), in cui la questione veniva affrontata soprattutto sotto l’aspetto morale e con riferimento all’istituto del matrimonio.
Altri due romanzi: The scarlet letter di Nathaniel Hawthorne e The portrait of a lady di Henry James rivestono un’ulteriore importanza nell’ambito della letteratura ottocentesca sulla questione femminile.
Il movimento suffragista
Un ruolo determinante nell’affermazione dell’uguaglianza di genere ebbe il movimento delle “Suffragette”, che fiorì dal 1860 al 1930, riunendo donne di diversa classe sociale e di diversa istruzione attorno al comune obiettivo del diritto di voto. Il movimento suffragista era particolarmente attivo negli USA e in Inghilterra dove alcune associazioni iniziarono a organizzare manifestazioni e proteste. In un primo tempo le suffragette cercarono di tenere comizi e di fare marce di protesta per sensibilizzare l’opinione pubblica e convincere il governo inglese a estendere il diritto di voto alle donne. Di fronte alla repressione della polizia, le suffragette passarono a forme di protesta più decise e violente; così nel 1912 proclamarono la “guerra delle vetrine”: gruppi di donne sfilarono per le vie principali di Londra e presero a sassate le vetrine dei negozi. Nel 1913 il movimento suffragista ebbe la sua martire: una giovane inglese, Emily Davison, si getto sotto la carrozza reale durante un affollato derby e rimase uccisa. Il movimento tendeva ad assumere il carattere di generica lotta contro l’altro sesso, il che oscurava il suo contenuto democratico e costituiva un fattore di debolezza. L’agitazione divenne assai più efficace quando le associazioni femministe si collegarono con i sindacati operai e con i partiti socialisti ed ebbero il parziale appoggio di organizzazioni religiose. Ma per il momento le rivendicazioni femministe non furono accolte: oltre che urtare contro una diffusa mentalità tradizionalista, la richiesta del suffragio femminile coinvolgeva problemi più ampi, riguardanti il lavoro e la famiglia, che la società non era in grado di affrontare senza correre il rischio di gravi squilibri.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, tuttavia, il movimento per l’emancipazione della donna, grazie soprattutto ad Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff, si intrecciò strettamente a quello operaio e socialista e con il congresso delle donne indetto nel 1908 a Roma dal Consiglio nazionale delle donne nacque il suffragismo femminile italiano. Una proposta per allargare il diritto di voto alle donne, avanzata nel 1919, fu travolta insieme con le istituzioni liberali dall’avvento del fascismo.
Fu la Nuova Zelanda il primo paese a estendere il diritto di voto alle donne nel 1893. In Italia le donne iniziarono a votare soltanto il 2 giugno del 1946.
In Russia nel 1917 e in Cina nel 1949, dopo le rispettive rivoluzioni, i nuovi governi comunisti sostennero l’uguaglianza tra i generi e attuarono una politica decisa a favore del controllo delle nascite, anche al fine di sradicare il modello di famiglia patriarcale. Ciò nonostante, nell’URSS alle donne lavoratrici furono corrisposti sempre e soltanto salari minimi e la loro rappresentanza politica fu molto ridotta. In Cina continuarono a verificarsi alcune forme di discriminazione sessuale sul lavoro.