8 marzo
27 Gennaio 2019Sofia Giacomelli
27 Gennaio 2019di Giovanni Ghiselli
Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni scrive:”L’assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa”[1] .
A sostegno di questa affermazione vengono citati tre testi .
Nel quarto stasimo dellEdipo re di Sofocle, il Coro domanda: “pw'” poq j aiJ patrw’/aiv s j a[loke” fevrein, tavla”, si’g j ejdunavqhsan ej” tosonde;”, vv. 1211-1213, come mai i solchi paterni[2] poterono, infelice, sopportarti fino a tanto in silenzio?
Nelle Trachinie (vv.30 e sgg.) Deianira lamenta l’assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo quando semina e miete, ossia un paio di volte all’anno[3] .
Per quanto riguarda l’identificazione più precisa della donna con il solco, Eliade ricorda il Codice di Manu (IX,33) dove sta scritto:”La donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme”, e un proverbio finlandese che fa:”Le ragazze hanno il campo nel loro corpo”.
A queste testimonianze possono essere aggiunte altre, antiche e moderne, per mostrare quanto tale idea sia davvero diffusa nella mente umana, soprattutto in quella maschile.
Eschilo ne I sette a Tebe (vv.751 e sgg.) dice, riferendosi a Laio, che egli generò il destino per sé, Edipo parricida, il quale a sua volta osò seminare il sacro solco della madre dove nacque (matro;” aJgna;n-speivra” a[rouran, i{n j ejtravfh, 752-753), e la pazzia unì gli sposi dementi.
Euripide nelle Fenicie ricorda, attraverso Giocasta, il responso di Febo che prescrisse a Laio:”mh; spei’re tevknwn a[loka daimovnwn biva/” (v. 18), non seminare il solco dei figli a dispetto degli dèi.
Oreste euripideo per attenuare la colpa del matricidio dice al nonno materno che il padre lo generò, mentre la madre non ha fatto che partorirlo: ella è stata solo il campo arato che ha preso il seme da un altro:”to; sperm j a[roura paralabous j a[llou pavra” (v. 553).
La stessa ragione addotta da Apollo nelle Eumenidi di Eschilo (vv. 658 e sgg.) per minimizzare il delitto del matricida.
Tra gli autori latini Lucrezio , forse sotto la scorta di Euripide[4] interpreta la “deum mater ” (II,659), come la divinizzazione della terra[5].
Shakespeare paragona la giovanissima Marina, vergine e onesta, a della terra non dissodata. Parlano una mezzana e un ruffiano che vorrebbero trarre profitto dalla prostituzione della ragazza: Crack the glass of her verginity, and make the rest malleable” , rompi il vetro della sua verginità e rendi il resto malleabile dice il ruffiano.
E la mezzana risponde: An if she were a thornier piece of ground than she is, she shall be ploughed ” (Pericle principe di Tiro, IV, 4), anche se fosse un pezzo di terra più spinoso di quello che è, verrà arata.
Questa parentela stretta tra la femmina umana (o divina) e la terra, è messa in rilievo anche da non pochi autori moderni.
Kierkegaard nel Diario del seduttore indica e sottolinea la vicinanza della ragazza alla natura:”Perfino quel che in lei c’è di spirituale ha alcunché di vegetativo”[6] .
Su questa linea si trova anche J. J. Bachofen, l’autore di Das Mutterrecht, che vede nel diritto materno quello fisico, e nel paterno il metafisico, in quanto “la donna è la terra stessa. La donna è il principio materiale, l’uomo è il principio spirituale…Platone nel Menesseno dice-non è la terra a imitare la donna, ma la donna a imitare la terra-“[7].
Nel Menesseno Platone scrive (precisamente) :”ouj ga;r gh’ gunai’ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei ajlla; gunh; gh’n (238a) infatti non la terra ha imitato nella gravidanza e nel parto la donna, ma la donna la terra “[8]. Nel Menone, del resto, il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'” fuvsew” aJpavsh” suggenou'” ou[sh” ,81d), e, dunque, anche l’uomo è stretto parente della grande madre.
Questa teoria, espressa con benevolenza verso le femmine umane dal filosofo danese e in maniera ambivalente, non priva di contraddizioni da Bachofen, assume aspetto malevolo, decisamente antifemminista in Otto Weininger, l’autore di Sesso e carattere, morto, forse non a caso, suicida nel 1903, a soli ventitré anni. Secondo lo scrittore austriaco” le donne stanno incosciamente più vicine alla natura che non l’uomo. I fiori sono i loro fratelli”[9], e, più avanti[10] :”l’uomo è forma, la donna è materia…la materia vuole essere formata: perciò la donna pretende dall’uomo la delucidazione dei suoi pensieri confusi”.
Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un altro autore austriaco, uno dei massimi romanzieri del Novecento, Robert Musil che, nel romanzo L’uomo senza qualità, compie l’operazione inversa: assimila la terra alla donna. “Ulrich la trattenne e le mostrò il paesaggio.-Mille e mille anni fa questo era un ghiacciaio. Anche la terra non è con tutta l’anima quello che momentaneamente finge di essere-egli spiegò-. Questa creatura tondeggiante è di temperamento isterico. Oggi recita la parte della provvida madre borghese. A quei tempi invece era frigida e gelida come una ragazza maligna. E migliaia di anni prima si era comportata lascivamente, con foreste di felci arboree, paludi ardenti e animali diabolici”[11].
Concludo citando D’Annunzio: in Il Piacere Andrea Sperelli dichiara che “fra i mesi neutri” aprile e settembre preferisce il secondo in quanto “più feminino…E la terra?-aggiunge- Non so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una bella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d’un sorriso attonito, pallido, inestinguibile. E’ un’impressione giusta! C’è qualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di settembre!”[12]. Infine ne Il Fuoco l’amante non più giovane viene assimilata, tra l’altro, a “un campo che è stato mietuto”[13].
Giovanni Ghiselli
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[1] P. 265.
[2] Cioè già seminati dal padre, da Laio.
[3] VV. 30 ss.
[4] Cfr. Baccanti, vv.275-276:” Dhmhvthr qeav-gh’ d’& ejstivn, o[noma d& oJpovteron bouvlh/ kavlei”, la dea Demetra, è la terra, chiamala con il nome che vuoi, e le Fenicie, vv.685-686:”Damavtar qeav,-pavntwn a[nassa, pantwn de; Ga’ trofov””, la dea Demetra, signora di tutti, la Terra di tutti nutrice.
[5] Per tutto l’episodio cfr. De rerum natura, II, 600-660.
[6] P. 138.
[7] Trad. it. , antologica, Il potere femminile, pp.76-77)
[8] At the Thesmophoria they tried to persuade the Earth to imitate them” (Dodds, The ancient concept of progress, p. 147), alle Tesmoforie le donne cercavano di persuadere la Terra a imitare loro.
[9] P. 293
[10] P. 296.
[11] P. 279.
[12] P. 169
[13] P. 306.