Giovanna Megna
27 Gennaio 2019Rosanna Mutinelli
27 Gennaio 2019Fabrizio De Andrè
Prof.ssa Giovanna Megna
La Ballata dell’impiccato è una canzone tratta dallalbum Tutti morimmo a stento. Una canzone che ha radici antichissime, perché l’impiccato ha, da sempre, quasi la funzione di condannato a morte “esemplare”, sia per l’ignominia particolare riservata a tale tipo di esecuzione (all’interno della condanna a morte vi è anche l’estrema perversione delle condanne “nobili” e di quelle “ignominiose”), sia per le connotazioni rituali e magiche che essa ha assunto sin da epoche remote. Non a caso l’Impiccato è una carta dei tarocchi. L’afflusso di sangue improvviso e forzato provoca nell’uomo impiccato un’erezione, e le donne sotto al patibolo toccano il corpo morto per augurare fecondità e virilità al compagno. L’orina dell’impiccato (un’altra reazione fisica usuale) viene raccolta e fatta oggetto di rituali magici. E gli impiccati divengono figure-simbolo, personaggi letterari, simulacri ammonitori. L’albero degli impiccati è una delle immagini che si tramanda dalla notte dei tempi, un’immagine al tempo stesso simbolica e ben reale (si veda, ad esempio, Strange Fruit).
In particolare, questa canzone di De André promana direttamente, anche se non ne riprende il testo, dalla Ballade des pendus [Épitaphe Villon] di François Villon, il grande poeta “maledetto” francese del Medioevo, che sulla forca aveva visto morire i suoi compagni. Poesia che fu poi musicata da Louis Bessières e interpretata Serge Reggiani; ma le influenze villoniane sono decisive anche su Brassens, autore a sua volta di diverse canzoni dove sono presenti impiccati, prima fra tutte La messe au pendu. Ma nella sua canzone, De André va molto oltre. La tradizione degli impiccati vuole che essi, come del resto molti altri condannati a morte, raccontino la loro triste vita ed i motivi che li hanno portati al patibolo, cogliendo un’ultima occasione per chiedere perdono a Dio e agli uomini (“mais priez Dieu que tous nous vueylle absouldre”). De André ci presenta degli impiccati che non chiedono nessun perdono.
Ci presenta degli impiccati pieni di furore e di rancore. Ci presenta una bestemmia, non una preghiera. Ci presenta una frase che dovrebbe essere ricordata a tutti coloro che, nel mondo, ancora oggi, pronunciano una condanna a morte: Prima che fosse finita, ricordammo a chi vive ancora che il prezzo fu la vita per il male fatto in un’ora. Si potrebbe andare oltre e ricordare “a chi vive ancora”, che spesso e volentieri la vita è il prezzo per non aver fatto niente di male, neppure in un’ora, neppure in un minuto. E’ addirittura il prezzo riservato a chi si è rifiutato di fare del male, dato che l’impiccagione è una delle più diffuse pratiche di esecuzione applicate ai disertori. A chi, quindi, si rifiuta di uccidere, viene riservata la pena ignominiosa. La stessa applicata a chi combatte per la libertà da un oppressore.
Gli impiccati di questa canzone sono uomini fino in fondo. Non indulgono alla paura del “divino”, neppure nel momento estremo. Si augurano umanissimamente che chi li ha fatti finire a quel modo abbia a subire lo stesso destino. Arrivano ad augurare il male al beccamorti che li ha sotterrati come se nulla fosse, come da suo mestiere. Niente di più lontano da Brassens e dalla sua umana compassione per il “Fossoyeur”. E’ la canzone del rancore, questa. Il rancore di chi si vede strappare la vita da un potere che ha deciso la morte, magari lo stesso potere che biascica su qualche panca di chiesa che solo Dio ha facoltà di dare e togliere la vita, ma che poi, in terra, agisce in tutt’altro modo.
E’ un discorso sospeso. Il dolore non genera qui rassegnazione, ma rabbia. La Ballata degli impiccati di De André è, in questo senso, anche una canzone politica. Da quei corpi che tirano calci al vento si promette che la storia non finisce qui. Continua, e continuerà per sempre, gridando contro.
Lyrics to Ballata Degli Impiccati :
Tutti morimmo a stento
ingoiando l’ultima voce
tirando calci al vento
vedemmo sfumare la luce.
L’urlo travolse il sole
l’aria divenne stretta
cristalli di parole
l’ultima bestemmia detta.
Prima che fosse finita
ricordammo a chi vive ancora
che il prezzo fu la vita
per il male fatto in un’ora.
Poi scivolammo nel gelo
di una morte senza abbandono
recitando l’antico credo
di chi muore senza perdono.
Chi derise la nostra sconfitta
e l’estrema vergogna ed il modo
soffocato da identica stretta
impari a conoscere il nodo.
Chi la terra ci sparse sull’ossa
e riprese tranquillo il cammino
giunga anch’egli stravolto alla fossa
con la nebbia del primo mattino.
La donna che celò in un sorriso
il disagio di darci memoria
ritrovi ogni notte sul viso
un insulto del tempo e una scoria.
Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l’odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore
è soltanto un discorso sospeso.
(fonte: wikipedia)
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