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27 Gennaio 2019Tesine con il titolo che inizia con la A
27 Gennaio 2019dalla tesina “Immagini della città nella storia e nella letteratura”
LORENZA SANDRIN – A.S. 2001-2002
TESINA PER L’ESAME DI STATO
La città in periodo dittatoriale
Hitler fu uno studente mediocre e non portò mai a termine le scuole secondarie. Dopo aver tentato invano di essere ammesso all’Accademia di belle arti di Vienna, lavorò in questa città come decoratore e pittore, si dice che avesse concepito fin da questi anni spensierati i primi progetti per una nuova Berlino imperiale, ma incominciò a esercitarsi per lo più nella progettazione di giganteschi edifici di rappresentanza solo all’inizio degli anni Venti. La battuta d’arresto che dovette subire nel novembre del 23 a causa del fallimento del colpo di Stato in Baviera non lo aveva minimamente distolto dai suoi grandiosi sogni di cambiare faccia al mondo, e vi si era anzi più che mai rifugiato dopo la cocente delusione. Già allora, come dimostrano un quaderno di appunti e i numerosi disegni che si sono conservati, aveva progettato non solo scenari di parate militari, scenografie a base di bandiere e fortificazioni, ma anche tribune, colonnati e singoli edifici per Norimberga, Berlino o Monaco di Baviera. In carcere o poco tempo dopo aveva fissato su una cartolina postale anche l’idea di un grande padiglione con annesso un arco di trionfo, cartolina che consegnò a Speer, dopo averlo nominato capo degli urbanisti della capitale del Reich, con queste parole: Ho abbozzato questi disegni dieci anni fa. Li ho conservati perché non ho mai dubitato che un giorno avrei costruito questi edifici. E noi li faremo così”. Giunto al potere, non tardò molto a manifestare l’intenzione di distruggere la pseudoarte” moderna, di cui egli non era riuscito a diventare un protagonista e che definiva nei suoi discorsi pubblici la beffa culturale ebreo-bolscevica”. Hitler sapeva di potere contare sul consenso del popolo e della buona borghesia, che ritenevano l’arte d’avanguardia una colossale truffa organizzata da trafficanti. Nei suoi discorsi accusava il Cubismo, il Dadaismo, il Futurismo e anche l’Impressionismo, perché alla base di questi movimenti nati sul suolo straniero stava una concezione della vita antieroica, che sminuiva l’originario vitalismo germanico. Vi furono perplessità da parte di alcuni gerarchi riguardo all’Espressionismo, frutto tipicamente tedesco: molti suoi protagonisti erano morti eroicamente in guerra e altri facevano professione di nazismo. Ma Hitler fu irremovibile: a parer suo l’arte doveva rappresentare un tipo fisico ariano, rigettando ogni deformità e ogni sperimentalismo tecnico per rendere le immagini più comprensibili alla massa.
A partire dal 1933 tutti i maggiori architetti abbandonarono la Germania avendo ormai la chiara consapevolezza che per lungo tempo non avrebbero potuto operare liberamente, così lasciarono il loro paese per recarsi in Unione Sovietica e negli Stati Uniti.
Negli anni dell’impaziente attesa e di preparazione alla lotta, l’architettura era rimasta uno degli argomenti prediletti da Hitler. Goebbels, un esponente dell’ala sinistra del partito facente parte della cerchia più ristretta del Führer, aveva annotato nel suo diario parla del futuro aspetto architettonico del paese, e sotto questo profilo mi è parso proprio un costruttore nato“.
Hitler era fermamente deciso a conferire al paese, dopo la conquista del potere, un traguardo di cui non dubitò mai, un nuovo volto che si sarebbe espresso nell’aspetto della città. In un discorso del 1929 fornì anche una motivazione politico-psicologica di quest’intenzione: Il paese sopravviverà solo se sarà reimpostato in tutto il suo modo di pensare e di sentire, nelle idee e nella concezione dello Stato“, affermò: Noi non possiamo figurarci un Terzo Reich fatto solo di grandi magazzini e di fabbriche […] , di grattacieli e di alberghi, e affermiamo invece apertamente che il Terzo Reich dovrà poter esibire al mondo anche testimonianze d’arte e di cultura che sopravvivranno nei millenni. […] Si affacciano alla nostra mente le città dell’antichità, l’Acropoli, il Partenone, il Colosseo, i nuclei urbani del medioevo con le loro grandiose cattedrali […] e sappiamo che la gente ha bisogno di questi centrali punti di riferimento se non vuole correre il rischio del decadimento“.
Della futura articolazione della città di Berlino aveva però un idea limitata a poche grandiose costruzioni. Il sovrintendente Speer ebbe l’occasione di inventare per i problemi di Berlino una soluzione urbanistica in linea con i tempi. Il piano urbanistico generale che presentò non mirava soltanto a ristrutturare le zone di rappresentanza che stavano tanto a cuore a Hitler, ma a riordinare radicalmente anche i quartieri commerciali e residenziali comprese la rete viaria e il traffico. Quando Speer cominciò a lavorare sul progetto Berlino, Hitler se nera già fatta un’immagine approssimativa, che i due svilupparono in perfetta armonia.
Chini sui tavoli da disegno, circondati lungo le pareti dai prospetti e dagli innumerevoli schizzi (spesso disegnati dallo stesso Hitler), i due si perdevano per ore e ore nell’immagine della futura Berlino.
Nell’arco di un anno e mezzo lo staff tecnico del GBI (acronimo di General-Bau-Inspektor, ovvero Sovrintendente generale all’urbanistica) crebbe sino a contare 87 persone, e altrettante ne occupava il cosiddetto ufficio operativo. Alla guida delle tre sezioni principali in cui articolò l’ufficio, Speer chiamò tecnici in egual misura qualificati e affidabili, fuse persone giovani e molto dotate, con e senza la tessera del partito , in un gruppo compatto e ambizioso: capo della sezione centrale, quella che amministrava il bilancio, divenne l’esperto di questioni finanziarie Hettlage; la direzione generale dei lavori fu assunta da Brugmann, un ingegnere che Speer aveva avuto occasione di conoscere a Norimberga; l’ufficio di pianificazione infine, quello al quale Speer attribuiva maggiore importanza, fu messo nelle mani oltre che di Stephan, anche di Wolters e Schelkes, suoi amici di lunga data, legati al Sovrintendente fin dagli anni degli studi universitari.
I piani previdero la costruzione di una Strada Grande che fungesse da asse centrale lunga più di cinque chilometri. Quali spettacolari point de vue Hitler aveva disposto all’inizio e alle fine della Strada Grande il grande padiglione sormontato da una cupola e l’arco di trionfo di cui si sono conservati i suoi schizzi.Volle che il padiglione, coperto da una volta alta 220 metri e in cui si sarebbero potute radunare 180 mila persone, fosse circondato su tre lati dall’acqua per accentuare con l’effetto dei rispecchiamenti l’impressione della grandiosità e della favolosità. Il piazzale antistante doveva poter accogliere un milione di persone e fungere da luogo per celebrare le ricorrenze nazionali e le future vittorie. A mo di contraltare rispetto al padiglione a cupola doveva essere eretto un arco di trionfo alto 120 metri. Il volume complessivo era di quasi due milioni e mezzo di metri cubi e superava quindi di quasi cinquanta volte l’Arc de Triomphe parigino, contro cui era stato progettato. Vicino all’arco di trionfo sarebbe dovuto sorgere il Padiglione dei soldati di proporzioni gigantesche, infine un’ulteriore esasperazione dei rapporti di grandezza era costituita dal Palazzo del Führer, un edificio simile ad una fortezza. Il palazzo comprendeva sale per ricevimenti, un salone per le feste, inoltre otto stanze con una superficie complessiva di 15 mila metri quadrati e un teatro per quasi mille spettatori. La via che portava allo studio di Hitler era lunga 500 metri.
Hitler gli fece notare che le costruzione del Führer sarebbero state un “espressione essenziale del movimento (nazionalsocialista) nell’arco di millenni” ed erano quindi destinate a diventare testimonianze uniche di una grande epoca.
Questo sogno sfrenato di Hitler e Speer era basato su concezioni assolutamente estranee al volto della città e non rispettava minimamente l’immagine storica di Berlino. Il primo passo per realizzarlo prevedeva la demolizione di numerose abitazioni e locali commerciali del centro della città. Alla base di quelle grandiose costruzioni edilizie e a quella esaltazione per il colossale cera la concezione intimidatoria del dittatore che arrivò a una ripianificazione dell’intera Berlino che combinò la plausibilità con la pura follia. E non ci si limitò a ideare soluzioni per problemi di circolazione che sarebbero stati posti da una città che si immaginò abitata da 10 milioni di persone. Si pensò anche al risanamento dei rioni residenziali nati frettolosamente nel periodo dell’industrializzazione e nel frattempo spesso degradati, all’inserimento di aree verdi fra i settori edificati, alla creazione di quartieri completamente nuovi, come la città universitaria, il rione sanitario con ospedali, istituti, cliniche e laboratori e la costruzione di autostrade e vaste zone destinate alla ricreazione. Berlino diverrà un giorno la capitale del mondo“, usava dire Hitler. Solo con quelle costruzioni, solo con quei palazzi, quei colonnati e quelle piazze, dichiarò, la nuova Berlino avrebbe potuto superare l’unica rivale al mondo, Roma“.
Il dittatore credeva fermamente nell’impatto psicologicamente travolgente delle grandi costruzioni e pensava che l’Arco di Trionfo avrebbe finalmente e per sempre tolto di testa alla gente l’idea perversa che la Germania avesse perduto la guerra mondiale“, nel mettere piede nel palazzo del Führer, il visitatore doveva provare la sensazione […] di esser venuto a vedere il padrone del mondo“. Hitler voleva lasciare di sé gigantesche testimonianze architettoniche: l’antica ambizione dei faraoni, per esempio, che gli suggerì di tentare di ovviare alla caducità di un dominio basato sulla sua sola persona con edifici destinati a durare nel tempo.
Tutta l’ideologia architettonica del dittatore si riduceva al gigantesco, al mai visto al mondo. Altre gli erano estranee e non aveva preferenze per qualche stile particolare. Contrariamente a quanto è stato diffusamente sostenuto, la sua simpatia non andava neppure al classicismo, ingiustamente definito da alcuni lo stile architettonico totalitario per antonomasia. Le simpatie di Hitler andavano semmai, coerentemente con le sue origini asburgiche, al barocco imperiale e al neobarocco. La semplicità quasi ascetica del classicismo gli era estranea. Il Führer usava mastodontici elementi classicisti come colonne, frontoni, geometria assiale e travature per esprimere la sua fantasia di onnipotenza e la volontà di intimidazione e di sottomissione. Questo stile era immediatamente comprensibile alle masse e poteva essere interpretato sia come testimonianza di uno Stato democratico sia di uno autoritario. Era facile ricondurlo al ricordo della grandezza dell’antica Roma. Erano però estranei l’equilibrio, l’armonia e la semplicità delle proporzioni, leggi fondamentali dell’architettura classicista. I progetti di Berlino svelano una tendenza all’arabesco, un sovraccarico ornamentale e un compiacimento per le dorature, questo stile venne nominato da Speer neo-impero” .
Berlino non fu affatto l’unico, ma solo il più vasto e nello stesso tempo il più temerario e presuntuoso progetto di ristrutturazione urbanistica del regime. Hitler in un discorso del 33 aveva fatto capire che in futuro anche Amburgo, Brema, Lipsia, Colonia, Essen e Chemnitz avrebbero assunto un’immagine avveniristica. Gli interventi non miravano solo ad una modernizzazione dei sistemi di trasporto e delle infrastrutture in genere, ma volevano anche creare centri totalizzanti di vita sociale mediante il concentramento attorno ai fori di padiglioni per le riunioni, piazzali per le manifestazioni di massa e palazzi destinati ad accogliere istituzioni culturali. Speer accettò inizialmente l’invito a procedere a uno di questi interventi venutogli dalla città di Heidelberg, ma revocò in seguito l’assenso con la significativa motivazione che non se la sarebbe sentita di far demolire parzialmente e poi cambiare profondamente la città della sua giovinezza, con le sue stradine, i locali studenteschi e le venerande case della borghesia.Nel 1940 Hitler gli affidò la progettazione della ricostruzione di Linz e al contrario dell’architetto, illustrò l’intenzione di ritrasformare la sonnolenta cittadina da cui proveniva, la città della sua giovinezza e della sua vecchiaia, in una metropoli con giganteschi padiglioni, torri e giardini.
Più cresceva il potere di Hitler più era evidente che voleva fare di Berlino il centro e il vanto del nuovo impero mondiale. Implicita era anche l’intenzione di elevarla a luogo di culto calato in una scenografia capace di suscitare sentimenti di religiosa venerazione. La strada Grande sarebbe stata il percorso delle processioni, l’arco di trionfo con i nomi dei caduti incisi sulle pareti, doveva sollecitare una specie di devozione per i santi; e la cupola del grande padiglione non era stata casualmente modellata sull’esempio delle chiese di Roma. In realtà ricercava solo gli aspetti esteriori e celebrativi della religione, infatti, ad esempio, su alcune colonne capeggiava l’Angelo dorato che non stava certo a rappresentare la concordia e la pace ma simboleggiava la Vittoria, l’emblema dell’autocelebrazione per antonomasia. Per di più, sostengono alcuni, lo sguardo è orientato nella direzione di Parigi, a sottolineare la rivalità con la Francia.
La componente ideologica, posta alla base di ogni concetto edilizio, conferì tuttavia ai progetti della nuova Berlino un’impronta di opprimente monotonia. Il fatto stesso che dovessero così scopertamente testimoniare la volontà di sottomissione li guastò anche sotto il profilo architettonico. Era un’architettura da despoti che, nonostante tutte le intenzioni volte alla ricerca di effetti
maggiori, non andava al di là dell’ostentazione del nudo potere: fredda, smorta, lontana dalla sensibilità umana, ma anche frutto di una vistosa povertà di fantasia. Tutto un ripetersi di strade grandi, costruzioni a cupola, pilastri e cornicioni. Guardando quelle costruzioni si constata che potevano fare a meno della presenza umana, risultando gli esseri umani ridotti a linee o a punti. Quell’architettura ignorava la vita, e in ogni caso le anteponeva di gran lunga la morte. Le strutture templari, gli atri, le colonne, i pilastri sormontati da fiaccole, i frontoni, le statue evocano inevitabilmente un mondo su cui incombe l’ombra della morte.
Soltanto pochi dei progetti di Speer furono realizzati; quello più noto fu senza dubbio la nuova Cancelleria (1938-39), che andò distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale.
Durante gli anni della guerra l’architetto venne nominato ministro degli armamenti del Reich; e, come tale, sarà poi condannato, insieme ad altri esponenti del regime nazionalsocialista, nel corso del processo di Norimberga. Ironia della sorte, proprio Speer, una delle pochissime persone cui il dittatore nazista faceva confidenze riservate e personale, fu l’unico nazista a dichiararsi colpevole.
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