Roberto Artl
27 Gennaio 2019Banners
27 Gennaio 2019La Cripta dei Cappuccini di Joseph Roth
– Quando leggo un testo di questo genere non posso dimenticare il volto di un grande amico, il triestino Giorgio Paximadi, che ha comunicato anche a me la nostalgia per un regime che ha reso Trieste, e non solo Trieste, un grande modello ante litteram di città multietnica. Il protagonista racchiude nel suo nome e cognome, Francesco Ferdinando il riferimento alla monarchia absburgica e ai suoi fasti (vedi la Marcia di Radetsky)
– Fra i personaggi del romanzo, acquista particolare rilievo il cugino e amico di Federico, Joseph Trotta, di cui dà un ritratto significativo un altro amico, il conte Chojnicki, verso la fine del romanzo:
– «Questo è solo un caldarrostaio,» disse Chojnicki «ma vedete? E’ addirittura un mestiere simbolico. Simbolico per la vecchia monarchia. Questo signore ha venduto le sue castagne ovunque, in metà dell’Europa si può dire. Dappertutto, ovunque si mangiassero le sue caldarroste, era Austria, governava Francesco Giuseppe. Oggi niente più caldarroste senza visto. Che razza di mondo!
– Lo stesso conte Chojnicki mostra nei confronti degli ebrei un atteggiamento ben diverso dall’ antisemitismo becero dei tempi in cui è scritto il romanzo. Secondo i nazisti e i filonazisti che sono ormai al potere in Austria, gli ebrei, al contrario, non sono da tenere in nessun conto, mentre invece Chojnicki
– diceva «i miei ebrei polacchi»
– La chiesa cattolica: alla base di quello stato così particolare che era l’Impero Austroungarico era proprio la chiesa che mentre statuisce dei peccati, già li perdona al contrario delle rigide religioni protestanti.
– La Zlotogrod di Manes Raizigher è come la Sipolje dei Trotta: è un simbolo di ciò che c’era allora e ora (implicitamente Roth ha negli occhi quello che sta avvenendo in Austria mentre scrive e pubblica il romanzo nel 1938). Una volta c’era l’ordine, c’era il rispetto, c’era uno stato sovranazionale che abbracciava tante etnie con lungimiranza. Ora tutto questo è stato distrutto, come le cittadine di Zlotogrod e di Sipolje, distrutte dalla guerra.
– E’ proprio la guerra che spazza via quel mondo, ma Federico, come molti al suo approssimarsi, è inconsapevole, allora, di quello che si stava avvicinando.
– In certe espressioni pare di vedere la dissoluzione non solo di un mondo, ma anche di un uomo, come in certi quadri di Munch o Bacon “Sopra i calici dai quali noi bevevamo la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute.”
– La tragedia si compie con consapevolezza e coscienza solo al ritorno dalla guerra
– Tutti noi avevamo perso rango e posizione e nome, casa e denaro e valori: passato, presente, futuri.
– Alla tragedia di un popolo si accomuna la tragedia di un rapporto, quello fra uomo e Donna, fra Federico ed Elisabeth
– Il rapporto con Elisabeth diventa talmente fragile che le lusinghe delle amiche di lei, in particolar modo Joland Satmari, e dell’arte applicata prima e del cinema poi, la allontanano definitivamente da lui (e il bambino rimane in custodia a lui)
– Paradossale: proprio il vetturino che rappresentava, dicevamo, un simbolo della monarchia austriaca, diventa padre di un comunista, quell’Efraim che doveva essere indirizzato al conservatorio, cade poi sotto la scure del governo collaborazionista filonazista dell’epoca in cui è scritto il romanzo
In questa nuova sconvolgente situazione Federico si isola dal mondo e cerca disperatamente di aggrapparsi ai segni di un mondo passato ormai per sempre, andando alla Cripta dei Cappuccini. Alla fine la solitudine diventa esplicita: anche il cane, l’unico essere con cui si cammina (gli amici lo hanno abbandonato dopo il fallimento della pensione, è sconosciuto Come se non bastasse, anche la cripta, significativamente, è chiusa
Con i tempi che corrono, bisogna nascondere le proprie simpatie filo asburgiche
Il romanzo si chiude con questa frase: “Dove devo andare, ora, io, un Trotta?…”
E’come se dicesse: dove devo andare io, un Joseph Roth, a questo punto, lui finirà la vita un anno dopo aver scritto questo romanzo, vagabondo ubriaco, come il protagonista del suo ultimo bellissimo romanzo, La leggenda del santo bevitore
Luigi Gaudio