Il tema della pazzia in letteratura italiana
27 Gennaio 2019PENA DI MORTE
27 Gennaio 2019tema svolto di Marco Tonello
traccia
“L’alcol nel passato e nel presente: tra mito e degrado, tra stile di vita e malattia, tra sano completamento del cibo ed esagerazione pericolosa per la salute.”
svolgimento
Sento un lamento lontano, parole farfugliate a caso che fanno fatica a sistemarsi entro gli schemi di un discorso coerente… Ecco, ora lo vedo, nel buio di una strada deserta, illuminata dalla luce pallida della luna, un uomo cammina barcollando, trascina la spalla addosso al muro delle case per non cadere, è ubriaco…Crolla, appoggiato a un palo, la sua bocca è ora digrignata verso la luna piena, l’abbandono delle sue mani su una bottiglia quasi vuota di brandy penetra nel silenzio della notte…La luna ne vede tante di queste scene ogni sera, non importa che giorno della settimana sia, se siano soli o in gruppo, se siano vecchi o giovani, ma ne vede veramente tante di queste scene…
Queste persone, non s’aprei come chiamare altrimenti i protagonisti di questi tristi atti, non sono dei malati, la loro non può essere definita una vera e propria malattia, anche se è una vera e propria dipendenza, un modo sregolato di vivere.
Possiamo forse intenderlo così l’alcolismo: una scelta sbagliata davanti ai problemi che la vita ci riserva, un rifugio, una via di fuga dalla realtà. Lo s’aprete anche voi che quello di cui stiamo parlando è un problema vecchio quanto l’uomo, la cui origine si perde nel ricordo degli uomini, ma che solo negli ultimi due secoli ha assunto proporzioni via via più grandi.
Fu il mondo greco che nell’antichità per primo divinizzò il vino, la più diffusa bevanda alcolica di allora: mi riferisco al personaggio controverso di Dioniso. Lo vediamo nelle statue e negli affreschi “rubicondo e riccioluto, con le grazie di Afrodite e la perfidia di Zeus”, così lo descriveva Euripide nelle “Baccanti”, l’ultima delle sue tragedie. Il vino, e quindi l’alcol più in generale, è sempre stato considerato da una parte farmaco e dall’altra droga. “Senza Dioniso no c’è Afrodite” scrive ancora Euripide ricordando le orge bacchiche sulle montagne. Il vino era visto come un farmaco, una specie di moderno antidepressivo, che catapultava in una dimensione nuova, di felicità, una specie di viaggio nell’oblio e, nonostante siano passati più d duemila anni, ancora oggi sono molti coloro che cercano in questo modo la salvezza dalla vita e dai suoi problemi. L’alcol era e resta ancora oggi per le stesse ragioni una droga, un elemento il cui eccesso ti può far provare sensazioni di liberazione, ma che in realtà ti lega a sé in un vortice da cui è difficile uscire. L’alcol è oggi quasi una droga legale se assunto senza moderazione, e se nel passato le baccanti sfogavano la loro violenza e il loro eccitamento sulle montagne, oggi le persone ubriache barcollano felici nelle strade delle città oppure, in preda all’altro effetto che l’eccesso di alcol porta, siedono depressi in qualche angolo.
Se intervistassimo un medico a proposito dei danni fisici che l’alcol porta, di sicuro ci farebbe un elenco di malattie (disturbi gastrici, al fegato, cirrosi epatica, ipertensione arteriosa,…), ma d’altra parte ci direbbe anche che non occorre una laurea in medicina per capire che, come nella maggior parte delle cose, l’alcol danneggia quando se ne fa un uso smodato e continuo. Un po’ di vino durante i pasti fa anche bene alla salute del nostro circolo sanguigno, è l’eccesso che danneggia. Così ancora il nostro dottore continuerebbe facendo una distinzione tra il bevitore occasionale che regge più o meno bene l’alcol assunto diventando più o meno pericoloso per chi gli è attorno, dall’alcolista cronico che beve continuamente spinto da ragioni psicologiche profonde, che cerca nell’alcol una via di fuga dalla terra verso chissà quale iperuranio. Così queste persone sono soggette a un progressivo decadimento etico, perdita di memoria e perdita di valori.
Se però sono questi ultimi ad avere bisogno di maggiore attenzione perché il loro è un male più profondo che vede nell’alcol uno sfogo, se sentissimo le parole degli agenti di polizia che sorvegliano le strade durante le lunghe nottate del fine settimana, ci direbbero che sono più spesso i bevitori occasionali a causare quella miriade di incidenti che portano, in media, a 3.045 vittime e 101.671 feriti ogni anno. Quindi se nel passato la sbornia passava senza grandi problemi per gli altri, oggi la questione diventa più seria per tutti ed ha già suscitato scalpore la proposta del Ministro degli Interni di vietare la vendita di superalcolici due ore prima della chiusura dei locali notturni.
Vieni l’una! Scendi e smettila di guardarmi cosìtu bella bella lassù, vieni qua e vivi la mia vita per un giorno, un giorno solo ti basterà a capirea capire quanto sia duro vivere quigiù per la terra!”
Ha ragione il nostro povero ubriacone che grida così. Proviamo ad entrare anche solo per un attimo nella sua mente; certo magari la troveremmo un po vuota, ma non è escluso che ci trovassimo anche un eccellente curriculum, una laurea magari o chissà quale ricca impresa da gestire. Vicino a queste cose, però, troveremmo anche grandi problemi familiari, o molto più semplicemente la consapevolezza (meglio, la sbagliata convinzione) di stare vivendo inutilmente. No, no, non sto giustificando nessuno, sto solo cercando di ricostruire un passato difficile per scoprire che la soluzione di questo inghippo è più semplice del previsto, ma non per questo facile da attuare. Per combattere questa grave piaga servono persone che sappiano ascoltare. Servono degli amici, serve la capacità di saper ascoltare, lasciare che una persona si sfoghi con un suo simile e non con una serie di belle bottiglie trasparenti. Un passo difficile per chi ha un problema parlarne e in questo consiste lo sforzo più grande. Se si è consapevoli di stare sbagliando il passo diventa più facile, ma c’è anche chi si chiude in sé e rifiuta l’aiuto degli altri. Forse in questi casi parlare con persone che hanno vissuto lo stesso dramma potrebbe facilitare le cose; nelle comunità si potrebbe trovare l’aiuto giusto. Chi vuole uscire da questo tunnel ha bisogno di tanta forza di volontà che noi, da amici, possiamo dare. Colpa nostra allora, della nostra perpetua indifferenza, se adesso ci sono molte persone alcolizzate? Forse sarebbe stato meglio ascoltare prima, ma ora non bisogna stare lì fermi…
Se potessimo entrare nella mente di un uomo ubriaco troveremmo, oggi come duemila anni fa, nel passato come nel presente, le due parti della sua coscienza intente a dialogare su un pianeta lontano, troveremmo il bambino ingenuo e innocente che sempre resta in noi e l’uomo di adesso. Parlerebbero, dialogherebbero tra loro e si direbbero più o meno così:
“Che cosa fai?” chiese il piccolo principe all’ubriacone che stava in silenzio davanti a una collezione di bottiglie vuote e a una collezione di bottiglie piene.
“Bevo” rispose, in tono lugubre, l’ubriacone.
“Perché bevi?” domandò il piccolo principe.
“Per dimenticare” rispose l’ubriacone.
“Per dimenticare che cosa?” si informò il piccolo principe che cominciava già a compiangerlo.
“Per dimenticare che ho vergogna” confessò l’ubriacone abbassando la testa.
“Vergogna di che cosa?” insisteva il piccolo principe che voleva aiutarlo.
“Vergogna di bere”
(da Il piccolo principe di Antoine de Saint Exupéry)
Marco Tonello