I personaggi del libro Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach
25 Ottobre 2023Le interpretazioni del libro Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach
25 Ottobre 2023Quasi tutti, in un modo o nell’altro, hanno sentito parlare della Diga del Vajont. Non tutti, però, ricordano esattamente cosa accadde, né i principali paesi coinvolti nella tragedia.
Se si parla di “Diga del Vajont” vengono subito in mente i ricordi dell’evento che colpì i paesi e le città vicine nei primi anni ’60 del novecento.
Per le modalità con cui è avvenuto l’incidente, ovvero per il fatto che la diga era già famosa, per le sue caratteristiche tecniche, ancor prima che si verificasse la tragedia. Per tutti questi motivi il disastro del Vajont solleva sempre molti spunti nuovi.
Costruzione della diga del Vajont
Negli anni ’50 l’Italia era un Paese in rapido sviluppo e bisognoso di energia elettrica. Fu allora che venne approvato il progetto della Diga del Vajont ideato dall’ingegner Carlo Semenza, per creare un bacino artificiale, nella gola creata dal torrente Vajont, in provincia di Pordenone, nel piccolo borgo di Erto.
I lavori iniziarono nel 1957 e furono completati nel 1960: all’epoca era la diga più alta del mondo. La barriera aveva un’altezza complessiva di 261,5 metri. Ad oggi, è ancora la settima diga più alta del mondo. Non fu solo la sua altezza a renderla molto popolare nei primi anni ’60, ma anche la sua struttura. Questa diga curva a doppio arco è stata costruita per resistere alla forza creata dall’acqua.
L’invaso creato dietro la barriera della diga raggiunse 168.715 milioni di metri cubi d’acqua. Attraverso lunghissime tubature, parte delle acque dei fiumi Piave, Maè e Boite venivano incanalate in quel grande lago artificiale.
Fu realizzato un sistema di piccole centrali idroelettriche, che arrivavano fino al fiume Vajont. Semenza aveva già ideato questo sistema capillare e integrato, noto come Progetto “Grande Vajont”, nel 1929, quasi trent’anni prima della costruzione della diga.
Sulla carta il progetto era perfetto e, nonostante le numerose proteste degli abitanti e lo studio dello specialista austriaco Leopold Müller, che prevedeva la possibilità che si verificassero smottamenti, la costruzione della diga fu terminata. Il “Grande Vajont” fu messo in funzione, mentre, nel frattempo, il Monte Toc si muoveva, quasi inosservato, alle spalle. Interessante notare che nel dialetto friulano il nome Toc significa “danneggiato”, in quanto si riferisce alla friabilità che lo caratterizza.
I movimenti della cavalcatura aumentarono quando la diga fu riempita. Le società che gestivano la diga furono messe in allerta. Nell’ottobre del 1960 il Monte Toc si muoveva alla velocità di 3 centimetri al giorno. Con questa evidente minaccia, il livello dell’acqua della diga si ridusse e nei due mesi successivi tutti i movimenti si fermarono, nell’illusione di poter risolvere il problema, ma forse era già troppo tardi.
Fu costruito un “tunnel di bypass”. La diga fu nuovamente riempita nell’aprile del 1963 e fu autorizzato il sollevamento delle acque fino a 715 metri s.l.m., livello che però non fu mai raggiunto.
A settembre, infatti, il livello dell’acqua raggiunse i 710 metri, e il Monte Toc riprese a muoversi, alla velocità di 2 centimetri al giorno. Il livello dell’acqua fu gradualmente ridotto a 700 metri, ma la situazione non migliorò, e il 9 ottobre 1963, alle 22,39, dal Monte Toc si staccò una frana estesa per oltre 2 chilometri, con circa 270 metri cubi di terra e rocce.
Il disastro del Vajont
Quando la frana colpì la diga, creò tre onde gigantesche. La prima colpì l’abitato di Casso; la seconda distrusse una parte di Erto. La terza ondata, con un volume stimato di 50 milioni di metri cubi d’acqua, si diresse oltre la diga del Vajont, in direzione di Longarone. Quando raggiunse il lago, l’onda misurava 250 metri di altezza. Quando raggiunse il fondo della valle, misurava 30 metri.
Si è calcolato che la forza dell’onda di acqua, rocce e detriti che colpì la parte meridionale di Longarone provocò un’onda di pressione simile a quella della bomba atomica di Hiroshima.
Il piccolo abitato di Longarone venne spazzato via, e solo il piccolo municipio e poche case, nella parte settentrionale del paese, riuscirono a sopravvivere. Quella notte morirono 1.917 persone, anche se è estremamente difficile stimare con precisione quante effettivamente persero la vita, e presumibilmente più di duemila, secondo molti commentatori e studiosi. Le vittime provenivano da Longarone, Erto e Casso, Castellavazzo Codissago e altri centri abitati raggiunti dall’onda e dai detriti.
Nel 1971, dopo 7 anni di processo, la Corte di Cassazione nominò i due principali responsabili della tragedia del Vajont: Francesco Sensidoni, capo del Servizio Dighe del Ministero dei Lavori Pubblici e membro della commissione che effettuò i collaudi, e Alberico Biadene, Direttore del servizio di costruzioni idrauliche della SADE, Società Adriatica Di Elettricità. Ora è certo che questo disastro avrebbe potuto essere evitato. Era evidente, allora come oggi, che il Monte Toc era molto instabile, e bastava riconoscerlo, non minimizzare i rischi.
La diga del Vajont, oggi
Sono passati più di un sessant’anni dalla tragedia del Vajont. Longarone è stato ricostruito e ora è completamente diverso dal paese distrutto nel 1963. La diga del Vajont è ancora lì: enorme, proprio come allora. L’eccellente qualità ingegneristica del progetto ha consentito alla diga di resistere ad una forza dieci volte superiore a quella esercitata