Il mattino, da “Il giorno” di Giuseppe Parini – vv. 1-169 –…
6 Agosto 2015La vergine cuccia, da “Il giorno” di Giuseppe Parini – Il mezzog…
6 Agosto 2015Prima di sedersi a tavola, il precettor d’amabil rito si rivolge al giovin signore, e gli spiega da dove ebbe origine il piacere.
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Forse vero non è; ma un giorno è fama,Che fur gli uomini eguali; e ignoti nomi Fur Plebe, e Nobiltade. Al cibo, al All’accoppiarsi d’ambo i sessi, al sonno Un istinto medesmo, un’egual forza Sospingeva gli umani: e niun consiglio Niuna scelta d’obbietti o lochi o tempi Era lor conceduta. A un rivo stesso, A un medesimo frutto, a una stess’ombra Convenivano insieme i primi padri Del tuo sangue, o Signore, e i primi De la plebe spregiata. I medesm’antri Il medesimo suolo offrieno loro Il riposo, e l’albergo; e a le lor I medesmi animai le irsute vesti. Sol’ una cura a tutti era comune Di sfuggire il dolore, e ignota cosa Era il desire agli uman petti ancora.
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Lo stato di natura. All’inizio tutti gli uomini erano uguali, e non esistevano le definizioni di Plebe e di Nobiltà;
– uguale era il per tutti l’istinto di mangiare, bere e accoppiarsi;
– a nessuno era lasciata facoltà di scegliere ciò che preferivano, perché – tutti bevevano ad un medesimo fiume, sedevano alla stessa ombra: sia i
– riposavano nelle stesse caverne; – vestivano delle stesse pelli di animali; – tutti inoltre aveva un’unica occupazione comune: sfuggire al dolore; – il desiderio era ignoto; (questa rappresentazione fa venire in mente vico) |
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L’uniforme degli uomini sembianza
Spiacque a’ celesti: e a varïar la terra Fu spedito il Piacer. Quale già i numi D’Il’io sui campi, tal l’amico genio, Lieve lieve per l’aere labendo S’avvicina a la terra; e questa ride Di riso ancor non conosciuto. Ei move, E l’aura estiva del cadente rivo, E dei clivi odorosi a lui blandisce Le vaghe membra, e lentamente sdrucciola Sul tondeggiar dei muscoli gentile. Gli s’aggiran d’intorno i Vezzi e i E come ambrosia, le lusinghe scorrongli Da le fraghe del labbro: e da le luci Socchiuse, languidette, umide fuori Di tremulo fulgore escon scintille Ond’arde l’aere che scendendo ei varca.
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La raffigurazione del Piacere. Ma l’uniforme condizione degli uomini spiacque agli dei: – che ad introdurre un elemento di variazione inviarono sulla terra il piacere. – come gli dei scendevano nei campi di Troia, così questo genio si fece largo – il piacere si avvicina alla terra, e viene carezzato in ogni parte del suo
– è accompagnato da divinità minori: i Vezzi e i Giochi;
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Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra,Sua prim’orma stamparsi; e tosto un lento Fremere soavissimo si sparse Di cosa in cosa; e ognor crescendo, Di natura le viscere commosse: Come nell’arsa state il tuono s’ode Che di lontano mormorando viene; E col profondo suon di monte in monte Sorge; e la valle, e la foresta intorno Mugon del fragoroso alto rimbombo, Finché poi cade la feconda pioggia Che gli uomini e le fere e i fiori e Ravviva riconforta allegra e abbella.
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La reazione della terra. Infine il Piacere appoggia il piede sulla terra, che avverte la sua presenza per la prima volta, provando un brivido di eccitazione; – come un fresco temporale estivo rigenera la natura sconvolta dal calore; |
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Oh beati tra gli altri, oh cari al cielo
Viventi a cui con miglior man Titáno Formò gli organi illustri, e meglio E di fluido agilissimo inondolli! Voi l’ignoto solletico sentiste Del celeste motore. In voi ben tosto Le voglie fermentár, nacque il desio. Voi primieri scopriste il buono, il E con foga dolcissima correste A possederli. Allor quel de’ due sessi, Che necessario in prima era soltanto, D’amabile, e di bello il nome ottenne. Al giudizio di Paride voi deste Il primo esempio: tra feminei volti A distinguer s’apprese; e voi sentiste Primamente le grazie. A voi tra mille Sapor fur noti i più soavi: allora Fu il vin preposto all’onda; e il vin Figlio de’ tralci più riarsi, e posti A più fervido sol, ne’ più sublimi Colli dove più zolfo il suolo impingua.
Così l’Uom si divise: e fu il Signore Dai volgari distinto a cui nel seno Troppo languir l’ebeti fibre, inette A rimbalzar sotto i soavi colpi De la nova cagione onde fur tocche: E quasi bovi, al suol curvati ancora Dinanzi al pungol del bisogno andáro; E tra la servitute, e la viltade, E ‘l travaglio, e l’inopia a viver nati, Ebber nome di Plebe. Or tu Signore Che feltrato per mille invitte reni Sangue racchiudi, poiché in altra etade Arte, forza, o fortuna i padri tuoi Grandi rendette, poiché il tempo alfine Lor divisi tesori in te raccolse, Del tuo senso gioisci, a te dai numi Concessa parte: e l’umil vulgo intanto Dell’industria donato, ora ministri A te i piaceri tuoi nato a recarli Su la mensa real, non a gioirne. |
Le razioni degli uomini. Tra gli uomini, quelli che ebbero più fortuna furono quelli a cui il titano prometeo formò sensi più ricettivi e delicati; – questi sentirono il primo solletico del piacere; – in loro per primi nacque il desiderio;
– loro scoprirono le differenze tra le cose, e impararono a distinguere le cose –
– un esempio di ciò fu il giudizio di Paride;
– quei – fu scoperto il vino; – e dei vari vini si scoprì come produrre il migliore;
La plebe. Così l’uomo si divise: – i
– questi
– questi
Il giovin signore deve quindi rallegrarsi di tutto questo.
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