La condizione umana in Leopardi e Schopenhauer
10 Marzo 2019Calzecchi-Onesti
11 Marzo 2019Tesina Esame di Stato
Garagiola Paola
Esame di Maturità 2002
Pirandello: la follia in Uno, nessuno e centomila
La follia è il grande tema che percorre tutta l’opera pirandelliana. Pirandello, a differenza di Svevo, non lesse direttamente le opere di Freud,ma la sua opera è piena di richiami al mondo della follia, dell’inconscio, del sogno. La sua fonte fu dunque lo psichiatra Alfred Binet, che gli offrì le formulazioni scientifiche di alcune sue intuizioni sulla variabilità degli stati psicologici e sulla scomposizione della personalità. E’ il suo punto di partenza per esplorare quella crisi d’identità che qualsiasi evento può scatenare e che è uno dei terni fondamentali della sua produzione. Dall’idea per cui la personalità degli uomini non è una ma molteplice verrà uno dei suoi temi decisivi: la follia
I suoi personaggi si sdoppiano, sono dissociati, sono contemporaneamente : uno,nessuno e centomila”.
“Uno, nessuno e centomila”
Questo romanzo aiuta a riflettere su uno dei più interessanti temi del pensiero pirandelliano: l’incomprensione e l’incomunicabilità umana (da cui poi ci si ricollega al tema della follia).
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, entra in crisi quando gli viene fatto notare dalla moglie di avere il naso diverso da come lui se lo vedeva:questa banale constatazione lo porterà gradualmente alla pazzia.
Questo romanzo mette in evidenza quindi la diversità che esiste tra come noi ci vediamo e come gli altri ci vedono,non solo esteriormente ma anche interiormente. Ciascuno non è uno,ma centomila, tante quante sono le immagini che gli altri si fanno di lui.
Il dramma della pazzia è già presente nel primo capitolo dei libro; naturalmente al termine pazzia non sì dà il significato corrente di patologia grave della psiche ma quello pirandelliano più congruo di spazio vuoto, squarcio improvviso nella coscienza, istantaneo ed insperato coincidere di essere ed esistere. Pazzo è infatti chi, allo specchio, si scopra ad esistere in maniera diversa da quella in cui credeva;e comunque chi, con la reduplicazione speculare dell’immagine, come Vitangelo M.,avvia un generale processo dì scomposizione dell io”, della propria personalità. Già, perché la storia narrata in “Uno nessuno e centomila” è proprio quella di una progressiva “scomposizione dell’io”, una certa demistificazione della falsa unitarietà della coscienza, per cui il protagonista si accorge, di fronte allo specchio, di non essere quell’uno -uguale ed inseparabile- che credeva di essere per sé e per la moglie. L’impossibilità di conoscersi appieno -se non a patto di osservarsi quasi dall’esterno, e, dunque, uscendo da sé per cui diventa impossibile vivere e vedersi contemporaneamente-, ingabbia subito V.M..
Tutto il primo cap. è infatti giocato sulla variazione dell’unico, ossessivo tema dello sdoppiamento davanti allo specchio. Il confronto con lo specchio, dunque, non è affatto un veicolo per il riconoscimento dì sé; Tutt’altro! Lo specchio deforma” l’immagine, ne scopre l’assoluta relatività e spinge al folle gioco della scomposizione: in ogni specchio si rifrange una delle tante possibili immagini di un io che, frantumato nelle sue varie sfaccettature, impedisce la ricomposizione di un’unica identità. Il dramma a questo punto si complica: Moscarda non solo scopre di essere uno, ma centomila, e dunque nessuno. Quindi, l’esperienza allo specchio gli conferma la sua ipotesi (cioè di non credere di essere ciò che un tempo pensava di essere); anzi,gli rivela come non possa vedersi vivere, e come sia condannato a restare estraneo a se stesso, conoscibile solo dagli altri. Si vede dì fronte un corpo vuoto perché chiunque avrebbe potuto appropriarsene e dargli una realtà a modo suo, una delle centomila possibili realtà. L’idea gli risulta quasi inaccettabile. Così si propone di mettere a nudo le sue tante identità, che i conoscenti gli attribuivano, nella speranza dì distruggerle. Nelle sue scoperte,rilevante è la presa di coscienza della falsità di un mondo costruito dall’esterno, illusorio, in cui la conoscenza viene ripudiata perché condannata come relativa. Vitangelo impara per sua esperienza come il giudizio altrui risulti influenzato dalla condizione familiare, dal nome di una persona. Così era capitato a lui, figlio di un banchiere, considerato da conoscenti un usuraio. E’ un’idea inaccettabile e per cancellarla fa di tutto: decide infatti di donare a un tale, Marco dì Dio la sua casa …. Poi decide di sfrattarlo, e poco dopo, tra gli insulti della folla, decide di donargli una casa più accogliente ed una cospicua somma dì denaro. Però la folla, invece di cambiare idea sul suo conto gli dà del pazzo. Venuto a conoscenza dell’inganno che stavano progettando i suoi due soci (Firbo e Quantorzo volevano infatti denunciarlo come malato di mente) decide quindi di recarsi da un vescovo di Richieri e finge di voler cedere la banca per motivi di coscienza: ne riceve invece il consiglio di rivolgersi a don Antonio Sclepis, direttore dei collegio degli abati. Alla fine M. si ritira nell’ospizio che lui stesso aveva fatto costruire. Tutto sommato non mostra rimpianti: ha raggiunto il suo obiettivo, ha saputo annullare la realtà che gli altri gli avevano dato e vivere una nuova vita. Ma il prezzo della battaglia che ha combattuto contro gli altri è altissimo: la totale decostruzione della propria immagine viene pagata con una totale solitudine interiore con l’interdizione e l’emarginazione. Spogliato di tutto, dei beni, del nome, dello statuto anagrafico, di un ruolo sociale. Vitangelo resta solo, solo con la pazzia, che è il marchio con cui gli altri continuano a difendersi da chi li minaccia nelle loro certezze,nella loro ottusa ostinazione a credersi “veri” (non è vero che i pazzi sono quelli che lo sembrano,ma lo sono di più quelli che sembrano normali).
Già nel primo cap. è presente tutto il nucleo di considerazioni che ili protagonista narrante, attraverso intenzionali gesti di follia, variazioni, svilupperà lungo tutto il romanzo. Se c’è infatti una caratteristica di questo romanzo, è la quasi assoluta mancanza dì azioni…..tutto ciò che avviene è mentale,è il processo contrario al romanzo di formazione … è il romanzo della “deformazione”, della scomposizione fino ad approdare al risultato finale di affacciarsi sugli abissi della coscienza e scoprire l’assoluta mendacia di tutto. Che è poi il significato della pazzia pirandelliana.