La tematica della follia in Virginia Woolf
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Garagiola Paola
Esame di Maturità 2002
Il furor di Seneca
Al centro dì tutte le tragedie di Seneca troviamo la rappresentazione dello scatenarsi rovinoso di sfrenate passioni, non dominate dalla ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano. Il significato pedagogico e morale s’individua dunque nell’intenzione di proporre esempi paradigmatici dello scontro nell’animo umano di impulsi contrastanti, positivi e negativi. Da un lato vi è la ragione, di cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari che cercano di dissuadere i protagonisti dai loro insani propositi; dall’altra vi è il furor, cioè l’impulso irrazionale, la passione (amore, odio, gelosia, ambizione e sete di potere, ira, rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione di pazzia in quanto sconvolge l’animo umano e lo travolge irrimediabilmente. In questa lotta tra furor e razionalità, lo spazio dato al furor, al versante oscuro, alla malvagità e alla colpa, è senza dubbio preponderante e va ben oltre i condizionamene e le esigenze imposti dal genere tragico. L’interesse per la psicologia delle passioni, che può apparire quasi morboso, sembra talora far dimenticare al poeta le esigenze filosofico-morali. Inoltre è caratteristica delle tragedie senecane l’accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più sinistri, dei particolari più
atroci, macabri, raccapriccianti. In poche parole Seneca enfatizza il pathos e dimostra la forza devastante della passione indice di disintegrazione della personalità interiore. I personaggi vengono analizzati in profondità: di essi vengono messi in risalto i contrasti interiori, le esasperazioni, il furor regni, la morte della ragione, la bestialità umana.
In realtà la visione pessimistica, l’accentuazione degli elementi cupi e la forte intensificazione patetica, appaiono funzionali a quel valore di esemplarità negativa che i personaggi tragici rivestono agli occhi dei filosofo; sono mezzi di cui l’autore si serve per raggiungere più efficacemente il suo principale obiettivo, consistente nell’ammaestramento morale. Del resto il pathos caricato, l’enfasi e il gusto per i particolari orridi e raccapriccianti eran già presentì nel tragici latini arcaici, e trovavano piena corrispondenza nel gusto dei tempi di Seneca.
Particolarmente esemplari, nel gusto tragico e macabro che meglio esprime la follia senecana sono Fedra”, “Medea”, “Teste”, Le Troiane”.
Fedra
La vicenda narrata è quella dell’Ippolito di Euripide, ma con differenze rilevanti, che fanno supporre una derivazione da un’altra tragedia dello stesso Euripide, per noi perduta. Fedra, moglie di Teseo, re d’Atene, soccombe ad una folle passione per il figliastro Ippolito e gli dichiara il suo amore. Respinta, si vendica accusando ìl giovane di aver cercato dì usarle violenza; ma quando, in seguito alla maledizione di Teseo, un mostro marino suscitato dal dio del mare causa ad Ippolito un’orribile morte, Fedra, disperata, confessa la sua colpa e si uccide.
Penso che sia particolarmente importante sottolineare, in Fedra, il momento della “dichiarazione” di Fedra a Ippolito. Si tratta sicuramente di una scena culminante, dove la regina, disperatamente e colpevolmente innamorata del figliastro, si decide a rivelargli la sua passione: l’amore incestuoso ha travolto ogni limite: è il conflitto inconciliabile tra ragione e passione, l’insanabile lacerazione interiore di chi è preda del furor e ha perso il controllo di sé e delle proprie azioni. Il progressivo avvicinamento alla “dichiarazione” vera e propria e sapientemente preparato attraverso una serie dì passaggi intermedi:
l) Fedra respinge l’appellativo di madre che Ippolito le rivolge
2) Fedra gli si offre come schiava evocando implicitamente il tema del servitium amoris
3) accenna alla probabile morte di Teséo, suo marito (morte che le permetterebbe di aspirare legittimamente ad un nuovo amore).
Quando il giovane afferma di essere disposto a prendere il posto dei padre, questa affermazione (dettata dalla pìetas) suona ambigua alle orecchie di Fedra e induce finalmente la regina a rivelare che la sua sofferenza è causata dall’amore. La confessione è poi ancora ritardata dalla rievocazione della bellezza dì Teseo giovane, nella cui immagine Fedra proietta e contempla quella dei figlio. Una volta comprese le intenzioni di Fedra, Ippolito esprime il suo orrore e la sua violenta indignazione.
Come già accennato in precedenza Fedra è ripresa dall’Ippolito di Euripide. Ciò ci offre l’opportunità dì attuare paragoni tra le due tragedie.
Innanzitutto nella Fedra di Seneca le divinità non compaiono. Inoltre la struttura compositiva, molto diversa da quella euripidea, conferisce uno spazio di gran lunga maggiore al personaggio della regina (mentre prima usciva a metà dei dramma). Qui è Ippolito ad uscire definitivamente di scena a metà dei dramma, mentre Fedra domina la scena dall’inizio alla fine. Infine nella tragedia latina è Fedra, non Ippolito a morire sulla scena, presentando il suicidio come giusta punizione della sua colpa e offerta sacrificale al morto Ippolito, ma anche come unico sollevo all’invincibile malattia d’amore ed estrema occasione per recuperare l’onore perduto.
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