Alessandro Bacci
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Recital didattico di Luigi Gaudio e Federico Oliverio
Gli altri
Come dice Paolo Jachia in una sua analisi della canzone d’autore italiana, “la molla prima che fa scattare la straordinaria fantasia poetica di De André – nato a Genova nel 1940, […] per certo uno dei più grandi narratori e artisti di canzone italiani di questo secolo – è un’indignazione morale, una solidarietà, anche personale con gli ultimi, con le minoranze. E questo vale sia che esse siano interi popoli perseguitati – dai rom ai pellerossa d’America, dai palestinesi ai sardi – sia che siano singole persone ferite ed emarginate, morti impiccati, suicidi, pensionati, ladri crocifissi e da crocifiggere, vecchi alcolizzati, soldati morti ammazzati”
(Paolo Jachia, La canzone d’autore italiana 1958-1997, ediz Feltrinelli, pag. 91).
La guerra
I soldati morti: La guerra di Piero (1963)
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“La guerra di Piero” cover di Fabrizio De André video su youtube di Luigi Gaudio e Federico Oliveiro
Ecco, appunto soldati morti ammazzati, e dell’assurdità della guerra, di tutte le guerre, ci parla la prima canzone di oggi, che Fabrizio ha scritto a 23 anni: in guerra non c’è neanche il tempo per pensare, perché se ti fermi un attimo a pensare, se indugi, l’altro, quello che ha il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore, ti uccide, come raccontava a Fabrizio il suo zio partigiano.
La violenza è costitutiva dell’uomo. Lo zio di De André ha fatto la campagna d’Albania, poi ha raccontato la sua esperienza al nipote, ispirando la canzone “La guerra di Piero”, in cui si racconta dell’assurdità del militarismo “Sparagli Piero”, che ti costringe ad ammazzare un nemico, forse più simile a te di quanto ti vogliano far credere “Aveva il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore”. In guerra l’indecisione non è contemplata, e basta una piccola esitazione, e il protagonista viene ucciso dall’altro, dal nemico. “La guerra di Piero”
La guerra di Piero
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi
lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente
così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve
fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce
ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
e mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore
sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue
e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore
e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbraccia l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia
cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato
cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all’inferno
avrei preferito andarci in inverno
e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.