Comunicazioni del Dirigente Scolastico
30 Settembre 2020Geronimo Stilton di Elisabetta Dami
4 Ottobre 2020Mario Luzi e Artur Spanjolli in uno dei loro frequenti incontri
Lui stava sempre lì . Nella penombra della sua camera invasa dal disordine dei libri, pile intere che si intromettevano spezzando la placidità malinconica del meriggio.
Seduto nella sua sedia di vimini, occhi minuti con le borse esagerate, sguardo mite e sorridente, capelli radi d’argento in disordine, le sillabe a volte strascicanti come se venissero dalla profondità dei decenni. Infatti era un uomo del passato, un uomo della storia. Come conciato dagli improperi delle epoche.
Spesso non diceva nulla e chiudeva gli occhi da 90enne, poi giocava con la lingua con la protesi dentale e si rimetteva in moto con sua mente brillante che ricordava tutto in lettere, storia, poesia. Andare da Mario Luzi era più che andare all’estero. Era come visitare le epoche: il fascismo con i suoi soprusi, la guerra, i poeti del 900, Montale, Ungaretti, Quasimodo, Saba e Bilenchi, suo amico scomparso.
Spesso si parlava in modo caotico a mia richiesta su poeti dell’oltre, dell’altrove: Borghes, Rimbaud, Verlaine, Poe. Per ogni argomento letterario aveva la sua camera codificata in parole, idee e opinioni, aveva nella sua memoria un intero mondo dedicato alla loro scrittura.
Era una felicità inesprimibile per me parlare con Luzi. Teneva vivo dentro di me il fuoco delle lettere e sempre riusciva ad accendermi dentro il fuoco sacro della lirica. Mi ricordo una volta gli lessi una poesia sull’eco al tempo di una battaglia di Carlomagno, e lui volle che gliela leggessi nuovamente.
Luzi per me era l’enciclopedia universale, ma non quella morta dei volumi Treccani, era invece l’enciclopedia vivente della memoria letteraria, il cuore pulsante della ragione letteraria che analizzava la storia e la letteratura e dava a me, a noi, l’essenza, il riassunto saggio, la sintesi. E la sintesi, la sanno fare solamente i grandi letterati.
Ogni volta che una nazione perde un uomo di cultura, non perde solo l’uomo di cultura, ma perde anche un pezzo della sua memoria culturale, e un po’ della sua identità fugge via misteriosamente. I grandi uomini, poeti, scrittori, artisti, portano sciaguratamente nella tomba anche il loro meraviglioso meccanismo intellettuale…, ma forse è meglio così: altri cercheranno di rifarlo da capo in altri contesti sociali, con altre sensibilità adatte alle nuove generazioni.
Artur Spanjolli