L’obbedienza non è più una virtù di Lorenzo Milani
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28 Dicembre 2019La poesia “La mia gran pena e lo gravoso affanno” di Guido delle Colonne, poeta della Scuola Siciliana del XIII secolo, rappresenta una riflessione sull’amore, il dolore e la gioia che ne derivano.
Attraverso una costruzione formale elegante e rigorosa, il poeta esplora l’idea che la sofferenza amorosa può essere premiata, e che solo chi sa patire può sperare di godere della gioia amorosa. Questo tema, comune nella lirica cortese, si articola attraverso un lessico tipico della poesia d’amore medievale, con richiami alla fedeltà, all’obbedienza e alla sofferenza necessaria per conquistare l’amore.
Analisi
Il componimento segue il consueto schema della lirica siciliana, con versi regolari e rime perfette, che esprimono il pensiero dell’autore in maniera concisa e precisa. La poesia è dominata dal contrasto tra pena e gioia, in cui il primo elemento appare come la condizione necessaria per ottenere il secondo. Guido sottolinea l’importanza del soffrire per amore, una sofferenza che si trasforma in merito e, alla fine, in un premio spirituale e personale.
Tema centrale: la sofferenza come via alla gioia
Fin dai primi versi, l’autore rivela che la lunga sofferenza patita per amore ha avuto un esito positivo: “madonna lo m’à ’n gioia ritornato”. Il poeta collega strettamente la sofferenza con la ricompensa amorosa, come se il dolore fosse il prezzo da pagare per ottenere il favore della donna amata.
L’obbedienza come virtù amorosa
Un tema centrale è quello dell’obbedienza. Il poeta ripete più volte che l’uomo che ama deve essere obbediente e devoto, sottolineando che solo con un comportamento fedele si può ottenere la grazia della donna. La sofferenza in amore non è dunque vana, ma necessaria per conquistare la gioia, e questa accettazione di un dolore prolungato diventa una forma di virtù e di nobiltà d’animo.
Il ruolo del male e del dolore
Nella visione di Guido, il dolore non solo non va evitato, ma è anzi uno strumento per accrescere la gioia futura: “Chi vole amar, conviene mal patire”. Il poeta arriva a ringraziare il male patito, vedendolo come causa del suo benessere successivo. Questo concetto è in linea con la tradizione cortese, dove il martirio amoroso viene esaltato come parte integrante dell’esperienza amorosa.
Commento
La poesia di Guido delle Colonne riflette l’estetica e i valori della Scuola Siciliana, un movimento letterario che ebbe grande importanza nel plasmare la poesia lirica italiana. Uno degli aspetti distintivi della scuola è l’elevazione dell’amore a un concetto quasi religioso, in cui la sofferenza diventa una sorta di purificazione dell’anima.
In questa poesia, l’amore viene idealizzato come un’esperienza dolorosa ma necessaria, e il concetto di “mercede” (ricompensa) è centrale. La donna, sebbene sia il fulcro della sofferenza del poeta, è anche colei che ha il potere di concedere la gioia e risolvere il conflitto interiore. Questo tipo di amore, fondato sul servizio e sulla devozione, è tipico della cultura cortese, dove il poeta si pone come servitore della sua dama, esaltandola in modo quasi mistico.
Testo e Parafrasi
La mia gran pena e lo gravoso af[f]anno, c’ò lungiamente per amor patuto, madonna lo m’à ’n gioia ritornato; pensando l’avenente di mio danno, in sua merze[de] m’ave riceputo5 e lo sofrire mal m’à meritato: ch’ella m’à dato – tanto bene avire, che lo sofrire – molta malenanza agi’ ubriato, e vivo in allegranza.Allegro son ca tale segnoria10 agio acquistata, per mal soferire, in quella che d’amar non vao cessando. Certo a gran torto lo mal blasmeria, chè per un male agio visto avenire poco di bene andare amegliorando,15 ed atardando – per molto adastiare un grand’af[f]are – tornare a neiente. Chi vole amar, dev’ essere ubidente.Ubidente son stato tut[t]avia, ed ò servuto adesso co leanza20 a la sovrana di conoscimento, quella che lo meo core distringìa ed ora in gioia d’amore mi ’navanza. Soferendo agio avuto compimento, e per un cento – m’ave più di savore25 lo ben c’Amore – mi face sentire per lo gran mal che m’à fatto sofrire. Se madona m’à fatto sof[e]rire Neiente vale amor sanza penare: |
Prima strofa: Il mio grande dolore e l’affanno gravoso, che ho sopportato a lungo per amore, sono stati trasformati in gioia dalla mia signora; pensando alla causa della mia sofferenza, mi ha concesso la sua misericordia, e il patire il male mi ha ricompensato: infatti mi ha concesso così tanto bene, che il soffrire di molto malessere si è trasformato in ebbrezza, e ora vivo nella gioia. Seconda strofa: Terza strofa: Quarta strofa: Quinta strofa: |
Conclusione
Guido delle Colonne, in questa poesia, esplora il rapporto tra sofferenza e gioia nell’amore cortese. L’amore è visto come una forza potente che richiede sacrificio e devozione, ma che alla fine può portare a una ricompensa spirituale e emotiva. La riflessione di Guido sul dolore amoroso, che diventa parte integrante della conquista della felicità, mostra una profonda comprensione della dinamica tra piacere e dolore, tipica dell’estetica medievale dell’amor cortese.
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