Fleur Jaeggey
27 Gennaio 2019Programma svolto di Italiano
27 Gennaio 2019dall’ipertesto “La peste in Manzoni …e non solo”
classe IIE liceo Bramante di Magenta, a.s.1997/98
Indice:
Uso del termine
Anche se la peste in Europa sembra non operare più da secoli, la parola “peste” è rimasta ben viva nella nostra lingua in espressioni come “peste ti colga” o “quel ragazzo è una peste” o “dire peste e corna di qualcuno” , o negli aggettivi derivati “pestifero” e “pestilenziale”
La peste nella Bibbia (Antico Testamento): Esodo, Deuteronomio, Paralipomeni; la peste nella Bibbia (Nuovo Testamento): Apocalisse; la peste nella religione greca antica
La peste nella Bibbia (a cura di FANNI Francesca)
La peste da sempre ha fatto irruzione nella vita degli uomini, portando loro dolore e morte. E’ difficile accettare un dolore troppo grande; più facile se gli si attribuisce un senso. Questo è il perno di ogni lettura sacra. Nella BIBBIA la peste non viene a caso, per nulla, ma per insegnare; infatti viene interpretata come risultato di una colpa, vendetta o monito superiore. La sua comparsa non può essere imprevista, né casuale: è annunciata con solennità dalla voce stessa di DIO, espressione diretta della sua volontà. Al contrario di altri testi, la BIBBIA è completamente indifferente alla narrazione vera e propria della malattia. Pone, invece, grande attenzione alle cause di cui essa è proseguimento ed effetto naturale. I testi della Bibbia in cui si parla di peste sono: l’Esodo, il Duteronomio e i Paralipomeni nell’ Antico Testamento, l’Apocalisse nel Nuovo Testamento.
ESODO: Mosé, eletto messaggero della volontà divina, porta al Faraone l’annuncio dei dieci flagelli che si abbatteranno sull’ Egitto se gli Ebrei non saranno lasciati liberi. La peste degli animali è la quinta delle piaghe minacciate e poi messe in atto da Dio: tutti gli animali degli Egiziani muoiono, ma con “mirabile distinzione” neanche uno viene sfiorato dalla malattia fra quelli dei figli di Israele.
DEUTERONOMIO: Nel Deuteronomio Mosé fa quattro discorsi in cui tra le altre cose, dice al popolo ebraico ancora in viaggio verso la terra promessa: “…se non vorrai ascoltare la voce del Signore Dio tuo, e non ti curerai di mettere in pratica tutti i Suoi comandamenti … sarai maledetto… e il Signore ti aggiunga la peste, finché essa non t’ abbia sterminato dalla terra nella quale entrerai per possederla”. Bisogna però ricordare che la peste appare qui come un male fra gli altri, forse neanche il più grave, e che, come accade sempre nella Bibbia, non è mai descritta in modo puntuale dal punto di vista medico e storico
PARALIPOMENI: Quando re David ordina di censire le tribù d’Israele per conoscere il numero dei suoi guerrieri, mostra di non fidare più nella protezione soprannaturale del Dio degli eserciti. Dio punisce allora il popolo ebraico, retto da David, con una pestilenza che, secondo quanto narrato nei “Paralipomeni”, che fanno parte della sezione “storica” della Bibbia, farà morire settantamila uomini.
APOCALISSE: Nella prima parte della visione apocalittica di S.Giovanni, che costituisce l’ultimo libro del Nuovo Testamento, vengono descritti i flagelli che si abbatteranno sulla terra e sul cielo, annunciando la fine dei tempi. Anche in questo caso, come sempre nella Bibbia, la peste non ha significato né rilievo particolare: è solo uno fra i diversi castighi divini. “E quando aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale dire: <<Vieni>>.Guardai, ed ecco un cavallo scialbo, e chi vi stava sopra si chiama Morte, e l’accompagna l’Inferno. E fu dato loro il potere sopra un quarto della terra, e di uccidere ,con la spada, la fame e la peste, le belve della terra.”
La peste nel mondo greco (a cura di FANNI Francesca)
Anche per la religione greca la peste assume il compito di punire le trasgressioni alle leggi divine. La tragedia “Edipo re” di Sofocle si apre appunto con la pestilenza che si abbatte sulla città di Tebe e di cui solo l’indovino Tiresia conosce le cause: il re Edipo ha, senza saperlo, ucciso suo padre e sposato sua madre e gli dei irati hanno mandato la peste come segno di contaminazione per queste colpe impunite.
La peste è nota da almeno 3000 anni. In Cina sono state registrate epidemie fin dal 224 a.C. Un’ epidemia di peste entrò ad Atene, sconvolgendola e decimandone la popolazione, proprio nel 430 a.C., un anno dopo l’inizio della Guerra del Peloponneso, colpendo una buona parte della popolazione e lo stesso Pericle, l’uomo politico che aveva voluto la guerra e l’egemonia ateniese nel Mar Egeo. Le notizie che abbiamo su questo fatto sono riportate in Tucidide e Lucrezio. Nel Medioevo la malattia si è presentata in enormi pandemie che hanno distrutto le popolazioni di intere città, come la cosiddetta “peste nera“. In seguito le epidemie si sono verificate in modo più sporadico e l’ultima, risalente al 1894, si è sviluppata in Cina, da dove si è diffusa in Africa, nelle isole del Pacifico, in Australia e nelle Americhe, raggiungendo San Francisco nel 1900. La peste è tuttora presente in Asia, Africa, Sudamerica e Australia (dove esistono i cosiddetti serbatoi della peste), ma compare raramente in Europa o in Nordamerica. Nel 1950 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dato inizio in tutto il mondo a programmi sanitari per il controllo della peste. Oggi si parla frequentemente dell’ Aids come peste del duemila.
La peste nera (a cura di FIAMENI Riccardo)
E una epidemia di peste bubbonica che, originatasi nelle steppe dell’Asia centrale e da lì propagatasi in Cina e in India, dilagò in Europa dal 1347 con effetti devastanti.
Diffusione della peste nera
I cronisti asiatici dell’epoca indicarono, come causa dell’epidemia, disastri naturali: furono certamente mercanti occidentali che portarono il morbo della malattia, infettando le rotte abitualmente battute nel Medio Oriente e nel Mediterraneo. Nel 1347 colpì Costantinopoli; subito dopo a Messina si ebbe la prima manifestazione dell’epidemia in Europa, che nell’estate del 1348 dilagò in Italia e in Francia, e da lì toccò le coste meridionali dell’Inghilterra, e il resto d’Europa, dove imperversò per oltre tre anni. La violenza dell’epidemia lasciò sgomenti gli osservatori contemporanei, testimoni spesso della totale scomparsa della popolazione di un luogo. Mai, prima o dopo d’allora, una calamità fece tante vittime umane: dello stupore angosciato dei superstiti resta testimonianza in molti scritti, a cominciare dal Decamerone di Giovanni Boccaccio, secondo il quale Firenze era tutta un sepolcro. Molti, come Francesco Petrarca, fuggirono questi orrori rifugiandosi in luoghi isolati e salubri. Le stime di mortalità del 90%, comuni tra i contemporanei, sono state tuttavia ridimensionate dalla ricerca moderna, e attribuite alla carenza di indagini affidabili; si è potuto in ogni caso verificare che nelle zone più colpite perì oltre il 50% della popolazione. Dopo la tragica estate del 1348 la popolazione fiorentina si era presumibilmente ridotta da 90.000 a meno di 45.000 abitanti, mentre a Siena su 42.000 cittadini ne erano sopravvissuti non più di 15.000.
Le reazioni alla peste nera
La gente dell’epoca era impreparata a reagire alla malattia; poiché si ignoravano le ragioni scientifiche del contagio, si speculava molto sulle cause dello scoppio dell’epidemia, individuate da alcuni in un inquinamento atmosferico agente attraverso un invisibile quanto letale miasma proveniente dal sottosuolo, liberato da terremoti di cui si aveva avuto notizia. Le scarse condizioni igieniche – la presenza di scolmatori e immondezzai a cielo aperto era normale nelle città europee del Trecento – favorivano la diffusione del contagio, soprattutto nelle aree urbane, dove i governi adottarono sistemi per far fronte alla malattia, pur ignorando le cause reali. Oltre a incoraggiare l’adozione di misure d’igiene personale particolarmente accurate, posero restrizioni ai movimenti di persone e merci, prescrivendo poi l’isolamento dei malati o il loro trasferimento nei lazzaretti (locale o gruppo di locali dove veniva effettuato l’isolamento di persone sospettate di affezioni contagiose; nel lazzaretto le persone erano tenute sotto osservazione e in condizione di quarantena), l’immediato seppellimento delle vittime in fosse comuni cosparse di calce appositamente preparate fuori dalle mura e la distruzione col fuoco dei loro vestiti. Poiché si pensava che l’aria infetta fosse contagiosa, si diffusero rimedi empirici come il bruciare erbe aromatiche o indossare mazzolini di fiori profumati (similmente nel corso di epidemie successive si credette che il fumo del tabacco fosse un rimedio efficace). Tra gli effetti dell’epidemia, importanti furono quelli che investirono i modelli tradizionali di comportamento. In tutta Europa la Chiesa e i moralisti in genere erano convinti che la peste nera fosse una punizione divina per i peccati compiuti dall’umanità, e per questo predicavano la rinascita morale della società, condannando gli eccessi nel mangiare e nel bere, i comportamenti sessuali immorali, l’eccessivo lusso nell’abbigliamento; in questo contesto non meraviglia la popolarità acquisita dal movimento della Congregazione dei flagellanti. Si sviluppò tuttavia anche una corrente di pensiero opposta, propria di quanti ritenevano che se la malattia colpiva indiscriminatamente buoni e cattivi, tanto valeva vivere nel modo più intenso e sfrenato possibile. Per quanti cercavano spiegazioni facili alla propagazione della malattia, colpevoli erano gli emarginati della società: in alcune zone vagabondi e mendicanti furono accusati di contaminare la popolazione residente; in altre gli “untori” vennero individuati negli ebrei, fatti così oggetto della furia popolare. E’ probabile che appena prima dello scoppio dell’epidemia, la popolazione medievale europea avesse raggiunto il più elevato livello demografico; gli effetti della peste dovettero dunque essere immediatamente evidenti: fu improvvisamente eliminata l’eccedenza di forza lavoro agricola, alcuni villaggi si spopolarono e gradualmente sparirono, molte città persero la loro importanza, mentre crebbe il numero dei terreni rimasti incolti. Anche le razzie di soldatesche sbandate o di ventura favorirono una vasta ondata migratoria dalle campagne verso le città. Se a Firenze, passata l’epidemia, la popolazione era stimata fra i 25.000 e i 30.000 abitanti, già nel 1351 era salita a 45.000 unità per toccare le 70.000 persone trent’anni dopo. Nelle decadi che seguirono i salari aumentarono e le rendite dei proprietari terrieri scesero, segno della difficoltà di trovare mano d’opera e tenutari; in un certo senso i vivi beneficiarono dunque della moltitudine di morti sofferta. La presenza della peste in Europa rimase endemica nei tre secoli successivi, per poi scomparire gradualmente, da ultimo in Inghilterra, dopo la “grande peste” del 1664-1666, per cause che rimangono senza spiegazione
AIDS e pesti del duemila (a cura di ALEMANNI Matteo)
AIDS: malattia causata da un retrovirus umano, lHIV, che colpisce il sistema immunitario umano rendendolo sempre più debole. La morte avviene per altre malattie come la tubercolosi o la polmonite. Può stare in incubazione per 10 anni.
Si è meritata più di altre la definizione di “peste del duemila” per i seguenti motivi:
1) il panico generato dalla notevole diffusione, del resto facilmente evitabile con poche e semplici precauzioni;
2) il carattere di punizione divina o di condanna morale strettamente collegato da alcuni alla sua diffusione, come era avvenuto per la “peste nera”;
3) l’isolamento e l’emarginazione dei colpiti dalla malattia, cosa del resto assolutamente immotivata da un punto di vista scientifico e che ha portato solo alla creazione di un grave problema sociale e alla dimenticanza del fatto che gli ammalati sono persone che hanno anzi maggiormente bisogno di conforto e di affetto
Oltre all’ AIDS esistono malattie che per le loro caratteristiche possono essere considerate affini alla peste e con casi recenti:
Virus Ebola: febbre emorragica caratterizzata de febbre e diarrea con sangue. Nel giro di pochi giorni il sangue esce da tutti i pori e da tutti gli interstizi. Si formano grumi che causano necrosi nel cervello, nei reni, nel fegato e nei polmoni. Non si trasmette per via aerea tranne nel caso dellEbola Reston, forse non letale agli uomini.
Virus Marburg: affine allEbola, predilige gli occhi e i testicoli, ha un tasso di morte del 25% ed è trasmissibile per contatto con il caratteristico vomito nero. Di entrambi non si conosce il vettore.
Encefalopatie spongiformi: gruppo di malattie del cervello che causano la morte cerebrale. Tra queste si distinguono il Kuru, il morbo di Creutzfeldt-Jakob e il morbo delle mucca pazza, tutti letali per l’uomo.
Nota: attualmente i centri più all’avanguardia per la cura delle malattie più letali sono il C.D.C. di Atlanta, fondato nel 1942, e lUSAMRIID di Fort Detrick, nel Maryland, che però è un organo militare statunitense.
La peste è una malattia acuta, infettiva e contagiosa dei roditori e dell’uomo, causata da un batterio Gram-negativo, classificato come Yersinia pestis. Nell’uomo la peste si manifesta in tre forme: peste bubbonica, peste polmonare e peste setticemica.
La peste bubbonica (a cura di FIAMENI Riccardo)
La peste bubbonica è la forma più nota di peste ed è così chiamata per i caratteristici “bubboni”, ovvero i linfonodi ingrossati e infiammati all’inguine, alle ascelle o al collo. La peste bubbonica viene trasmessa dal morso di numerosi insetti che normalmente sono parassiti dei roditori e che cercano un nuovo ospite quando l’ospite originale muore. Il più importante di questi insetti è la pulce dei roditori Xenopsylla cheopis, un parassita dei ratti. Senza adeguata terapia la peste bubbonica è fatale nel 30-75% dei casi
La peste polmonare (a cura di FIAMENI Riccardo)
La peste polmonare (o polmonite pestosa), così chiamata perché si localizza nei polmoni, si trasmette soprattutto attraverso le goccioline di saliva emesse dalla bocca delle persone infette; dai polmoni l’infezione si può diffondere ad altre regioni dell’organismo, causando la peste setticemica che consiste nell’infezione del sangue. Questo tipo di peste è fatale nel 95% dei casi.
La peste setticemica (a cura di FIAMENI Riccardo)
La peste setticemica può essere provocata, oltre che dalla peste polmonare, anche dal contatto diretto di mani, cibo o oggetti contaminati con le mucose del naso e della gola. La peste setticemica è quasi sempre mortale. Comunque se la peste è individuata tempestivamente e adeguatamente la mortalità scende al 5-10%.
Sintomi della peste (a cura di FIAMENI Riccardo)
I primi sintomi della peste bubbonica sono cefalea, nausea, vomito, dolore articolare e generale sensazione di malessere. I linfonodi inguinali o, meno comunemente, ascellari e del collo, diventano all’improvviso dolenti e gonfi. La temperatura, accompagnata da brividi, sale a 38,5-40,5 °C. Il polso e la frequenza respiratoria aumentano e il soggetto colpito è esausto e apatico. I bubboni si gonfiano fino a raggiungere le dimensioni di un uovo. Nei casi non fatali la temperatura inizia a scendere in circa 5 giorni, tornando normale in circa 2 settimane. Nei casi fatali il decesso avviene entro circa 4 giorni. Nella peste polmonare l’espettorato è inizialmente mucoso e tinto di sangue, per poi diventare molto abbondante e rosso vivo. Nella maggior parte dei casi il decesso avviene 2-3 giorni dopo la prima comparsa dei sintomi. Nella peste setticemica la temperatura della persona infetta sale improvvisamente e il colorito diventa violaceo nel giro di alcune ore; spesso la morte sopravviene lo stesso gioi si manifestano i primi sintomi. Il colorito violaceo, a cui è dovuto il nome popolare di Morte Nera, è presente nelle ultime ore di vita di tutte le vittime di peste.
Terapia della peste (a cura di FIAMENI Riccardo)
Per ridurre l’incidenza della peste sono efficaci molte misure preventive, come il rispetto delle norme igieniche, la derattizzazione e la prevenzione dell’infestazione da ratti sulle navi che salpano dai porti in cui la malattia è endemica. Le carestie, che riducono la resistenza alle malattie, favoriscono la diffusione della peste. I soggetti che hanno contratto la malattia vengono isolati, messi a letto e nutriti con cibi liquidi e facilmente digeribili. Per ridurre il dolore e calmare il delirio vengono somministrati sedativi. Durante la seconda guerra mondiale gli scienziati riuscirono a curare la peste con i sulfamidici; in seguito si sono dimostrati più efficaci antibiotici come la streptomicina, le tetracicline e il cloramfenicolo.
Tucidide, Lucrezio, Giovanni Boccaccio, Daniel Defoe, Edgar Allan Poe, Antonin Artaud, Albert Camus, Jorge Amado, Italo Calvino, Frank Herbert, Stephen King
La peste in Tucidide
Anche nella descrizione della peste di Atene, che colpì la città nel 430-429 a.C. Tucidide si rivela acuto e attento osservatore della realtà. Egli enumera i sintomi e gli effetti sul corpo con la precisione di un referto medico, per poi allargarsi alle ripercussioni sull’ anima. La solitudine, lo scoraggiamento, la minaccia alle norme della convivenza umana, la sfrenatezza dei costumi, così come le ha descritte Tucidide, diverranno materia di ispirazione diretta non solo per Lucrezio, ma anche per Boccaccio, Manzoni e Camus.
“Io, per conto mio, dirò come si è manifestato il morbo, e con quali sintomi; così che, se un giorno dovesse di nuovo tornare a infierire, ognuno stia attento, conoscendone prima le caratteristiche, abbia modo di sapere di che si tratta”.
Queste parole sono state pronunciate nello stesso periodo e nella stessa città in cui il poeta tragico Sofocle metteva in scena la punizione di un uomo, Edipo re di Tebe, reo di aver contagiato di peste una città per l’empietà di una colpa, oltretutto voluta dagli dei; ma ci sembrano partire da una prospettiva ideologica completamente differente.
La peste in Lucrezio (a cura di OLGIATI Simone)
Il poeta latino Lucrezio inserì la peste di Atene tra gli argomenti della sua opera “De rerum natura”. Secondo Lucrezio la peste sarebbe arrivata alle porte della città infettando la popolazione rurale, la quale, dopo, aver visto i propri capi di bestiame morire a causa della malattia, si rifugiò nella città trasmettendo il contagio (… ve la portarono nuvoli di contadini languenti …). Gli scenari descritti in quest’ opera possono sembrare simili alle altre epidemie ma un fatto la differenzia profondamente: la peste di Atene non è vista come una punizione divina (… né più si dava ormai peso alla fede e alla santa divinità …), ma come una forza della natura; proprio per questo nel brano si tenta di dare una spiegazione scientifica all’ esistenza della malattia.
La peste in Boccaccio (a cura di OLMO Roberto)
Nel 1348 una gravissima peste colpì la città di Firenze. Di questo abbiamo molte informazioni grazie soprattutto alla raccolta di cento novelle del “Decameron” di Giovanni Boccaccio : il manoscritto infatti , oltre a descrivere scrupolosamente i fatti realmente accaduti, racconta di sette giovani donne “savie ciascuna e di sangue nobile e di bella forma e ornate di costumi e di leggiadra onestà”, e tre “discreti e valorosi” giovani che decidono, dopo aver valutato la situazione della città, di rifugiarsi in una delle loro numerose ville di campagna, dove passeranno il loro tempo raccontandosi storie. Le novelle vengono narrate non dalla voce dell’ autore, ma da quella dei personaggi; l’autore in persona invece coordina e collega le novelle fra loro attraverso la cornice, cioè la descrizione delle giornate trascorse in villa dai personaggi novellatori.
L’ introduzione del “Decameron” è tutta incentrata sulla diffusione del morbo in Firenze e sulla degradazione fisica e morale ad esso conseguente.
Dice Boccaccio “nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi l’avria volentier fatto” rivelando così che nel suo romanzo la peste è solamente un polo negativo che serve a dar risalto e valore al polo positivo che seguirà.
La peste in Defoe (a cura di PARIANI Gabriele)
Questo scrittore inglese dedicò alla peste londinese del 1665 un’ opera intitolata appunto: “LA PESTE A LONDRA”.
La cronaca dell’anno 1665 inizia con una descrizione sui primi casi di peste. Il protagonista, un sellaio, benché assista alla partenza di molti ricchi concittadini, decide di non abbandonare la città per non lasciare i suoi affari. Egli, come tutti, s’interroga sui possibili motivi dell’epidemia e mentre lui riesce a darsi una spiegazione basandosi su eventi naturali, la popolazione attribuisce il fenomeno al passaggio di una cometa, portatrice di sventura. Il sellaio, durante le sue uscite lungo le vie di Londra, vede molte persone che vagano per la città predicendo morte e distruzione e si ferma accanto ad alcuni visionari che dicono di scorgere un angelo che impugna una spada di fuoco. Ed ecco, una sera, il sellaio, incurante dei severi divieti e del pericolo di contagio, s’intrufola nel cimitero con la complicità di un sagrestano suo amico: assiste al macabro lavoro dei monatti e alla disperazione di un uomo la cui famiglia è scaricata in quella fossa. Sulla strada del ritorno una serie di tristi pensieri accompagna il protagonista fino a casa, dove l’immagine di quell’ infelice gentiluomo gli torna alla mente causandogli un pianto accorato. Nonostante rincasi ogni volta sempre più affranto, il sellaio non resiste alla tentazione di vagare per le strade, dove le scene raccapriccianti sono sempre più frequenti. Per le vie di Londra non si sentono solo storie tristi ma anche racconti singolari come quella del suonatore di piffero che, addormentatosi per strada, viene scambiato per un cadavere e raccolto dai monatti, i quali, al suo risveglio, si rendono conto dell’errore commesso. Nel momento in cui la peste infuria maggiormente, il protagonista non condivide appieno l’opinione comune secondo cui le persone infette, spinte dall’odio, desiderano contagiare gli altri per farli soffrire come loro; egli pensa piuttosto che quest’idea venga diffusa dagli abitanti delle campagne estremamente diffidenti verso gli abitanti della città. La verità oggettiva è che gli appestati diventano pericolosi nel momento del delirio; per questo il sellaio ritiene giusto confinare nelle abitazioni le persone contagiate per evitare episodi come quello della nobildonna infettata e uccisa da un appestato.
Lo scrittore americano (1809-1849) dedicò due racconti alla nostra tematica:
“La maschera della morte rossa ” e “Re peste “. Il primo più drammatico e inquietante, il secondo più grottesco e comico.
“La maschera della morte rossa” ha per oggetto la tragicità del destino umano (l’impossibilità di ignorare la morte) ed è quindi costruito attraverso gli elementi propri della letteratura “alta” e “tragica”.
“Re peste”, invece, è un racconto fondato sulla deformazione visionaria della realtà (noi non sappiamo se ciò che accade è vero o è piuttosto l’effetto della sbornia dei due protagonisti principali. Non c’è quindi una riflessione sulla condizione o sul destino umano, ma piuttosto un divertentissimo gioco stilistico evidente nella rappresentazione grottesca dei personaggi, fondata sull’ iperbole e la caricatura. Infatti il finale del racconto, a differenza de “La maschera della morte rossa”, è lieto: i due incauti marinai riescono a sfuggire a Re Peste e a tutto il suo nobile seguito.
“La maschera della morte rossa” incomincia, più o meno come il Decamerone, con un gruppo di giovani “sani e spensierati” che si rifugiano in un’ Abbazia, lontano dalla regione in cui sta imperversando una pestilenza. Il loro tentativo di sottrarsi al destino di contagio e di morte è però destinato a fallire quando, a mezzanotte, al culmine di una festa mascherata, compare, appunto, la maschera della morte rossa che inseguirà anche il principe Prospero, capo dell ‘allegra brigata, nelle sale dell’ Abbazia, per raggiungerlo e ucciderlo nella inquietante sala nera.
A differenza del Decameron, però, si infittiscono sin dall’ inizio elementi che contraddicono qualsiasi tentazione di svolgimento realistico, attraendo prepotentemente il lettore nella dimensione del racconto fantastico. Non è quindi possibile spiegare razionalisticamente ciò che accade ed anche la impari lotta dell’ uomo con la morte assume quelle caratteristiche di assurdità e nichilismo che hanno reso così novecentesca la narrativa di Poe.
“Re peste”: Due marinai ubriaconi, Tarpaulin e Legs (il primo grasso ed il secondo magro, forse antesignani di coppie comiche più celebri), fuggendo da una bettola per non pagare il conto della troppa birra bevuta, si rifugiano nei quartieri abbandonati e fatiscenti dell’ antica Londra. Qui in una cantina, che visitano per bere, si imbattono in uno strano banchetto. A capotavola spicca la figura di “Re Peste”, un uomo più magro di Legs, dal viso giallo come lo zafferano e dalla fronte orribilmente ed eccezionalmente alta, che fa le presentazioni:
” la nobile dama che sta seduta dinanzi a voi è la Regina Peste, nostra serenissima consorte. Gli altri personaggi che voi vedete sono tutti prìncipi del sangue e portan il segno della regale origine nei rispettivi nomi di Sua Grazia l’Arciduca Pest-Iferus, Sua Grazia il Duca Pest-Ilenzial, Sua Grazia il duca Temp-Pest e sua Altezza Serenissima l’Arciduchessa Ana-pest.”
Tarpaulin offende i convitati e per questo viene scagliato in una botte di vino, dalla quale sarà liberato da Legs. I due se la daranno poi a gambe dopo aver abbattuto lo scheletro che danzava al di sopra della tavola
Attore, regista e, soprattutto, teorico del teatro, pubblicò nel 1938 “Il teatro e il suo doppio”, un testo che influenzerà moltissimo la pratica teatrale, soprattutto delle esperienze di ricerca teatrale più significative degli ultimi decenni (Living Theatre, Tadeusz Cantor, Peter Brook, Jerzy Grotowski).
In quel testo Artaud dà un’ interpretazione molto originale e “positiva” della peste, perché “la peste coglie immagini assopite, un disordine latente e spinge d’ improvviso fino a gesti estremi”. La peste, per Artaud, non è una vera e propria malattia, ma un’ entità psichica non provocata da un virus: egli rifugge quindi ogni spiegazione medica che tenda a definire scientificamente o a circoscrivere geograficamente questo fenomeno.
Infine, egli afferma che ” il teatro, come la peste, scioglie conflitti, sprigiona forze, libera possibilità, e se queste possibilità e queste forze sono nere, la colpa non è della peste o del teatro, ma della vita”:
La peste in Camus (a cura di PASTORI Maria)
Nella “Peste” Albert Camus affronta il grande problema dell’assurdo, cioè dell’impossibilità di trovare senso e giustificazione all’esistenza umana e al dolore che essa contiene. L’antichissima domanda sul significato del male (inconciliabile con la presenza di un Dio giusto e buono) viene riformulata in termini laici e si risolve nella constatazione lucida e senza speranza dell’ineluttabilità del male e della sua insensata gratuità. L’unica salvezza dalla disperazione può essere nella solidarietà fra gli uomini; l’unica rivolta possibile, il rifiuto di portare altro male nel mondo. Gran parte del romanzo è dedicata alle conversazioni tra i personaggi, che si confrontano incessantemente, senza risposta, con la presenza del dolore: ogni giorno essi vedono agonia e morte, ma nessuno, nemmeno il sacerdote Paneloux (uno dei personaggi principali), riesce a trovare una giustificazione accettabile alla ragione umana. L’unico sollievo all’angoscia è l’azione: tutti infatti entrano nelle formazioni sanitarie volute da Tarrou. il romanzo si chiude sotto il segno della testarda necessità di lottare da parte di quegli uomini che si rifiutano di ammettere i flagelli. Quando il romanzo uscì fu subito chiaro ai lettori che la peste era una metafora del nazismo: la lettura in chiave storica, autorizzata da Camus stesso, era confortata dalle numerosi allusioni alla oppressione della dittatura e alla resistenza. La peste è metafora del male: dell’assurdità del dolore inflitto agli uomini, dell’insensatezza del loro esistere.
Scrittore brasiliano nato nel 1912, annovera, tra i suoi romanzi, “Teresa Batista stanca di guerra”, pubblicato nel 1972, in cui si narrano le vicende di una bellissima mulatta, Teresa appunto, che passa attraverso innumerevoli peripezie (orfana, venduta bambina ad un crudele padrone, diventa ballerina e prostituta, si innamora e viene tradita) dalle quali esce sempre vincitrice, con la sua vitalità e voglia di vivere.
Quando a Buquìm, una cittadella isolata e povera, si diffonde la pestilenza del “vaiolo nero”, Teresa sarà tra i pochi a non fuggire e a curare i poveri e vaccinarli, correndo il rischio di contagiarsi. L’ episodio si conclude con le seguenti parole:
“lo creda chi vuole: a por fine al vaiolo nero che imperversava nelle vie di Buquìm sono state le puttane di Muricapeba capeggiate da Teresa. Coi suoi denti limati e col suo dente d’oro Teresa Batista ha masticato il vaiolo e lo ha sputato fuori…Nascosto in una grotta il vaiolo aspetta una nuova occasione. Ah, se nessuno provvede, un giorno ritornerà per farla finita, e allora poveri noi! Dove trovare un’altra Teresa-del-vaiolo-nero per dirigere le operazioni?
Una delle Lezioni americane, intitolata “Esattezza”, parla diffusamente della “peste della scrittura”, cioè di quel contemporaneo vizio assurdo di usare la lingua senza attenzione alla “forma”, scegliendo un termine al posto di un altro senza motivi logici e razionali, perdendo così tutta la ricchezza del substrato linguistico e ignorando tutta la serie di connotazioni che si celano dietro una scelta lessicale.
Autore della nota saga di Dune , diventata un film famoso, scrisse un altro interessante romanzo fantascientifico, pubblicato in Italia nel 1991: Il morbo bianco.
Il protagonista, il biologo americano John O’Neill, dopo aver perso la moglie e i due bambini in un attentato terroristico, realizza una terribile vendetta nei confronti dell’ intera umanità: sfruttando le sue conoscenze, riesce a creare un nuovo virus, attivo soltanto sulle donne, in grado di alterare la struttura genetica delle cellule del corpo umano e di portare alla morte. In seguito diffonde il morbo, chiamato “bianco” perché si manifesta con chiazze biancastre, attraverso il semplicissimo veicolo della cartamoneta. Infine, in un ritorno di lucidità, aiuta gli scienziati a trovare il modo per fermare la malattia, quando ormai sono rimaste in vita pochissime donne e la vita nel pianeta è sconvolta.
La peste in King (a cura del prof. GAUDIO Luigi)
Ne L’ ombra dello scorpione un’ epidemia di sconvolgente violenza uccide in poco più di una settimana la maggior parte degli abitanti degli Stati Uniti. Fra i pochi sopravvissuti, riunitisi nella città di Boulder, si creano due gruppi in lotta fra loro:
quelli attratti dalla visione di serenità assoluta rappresentata dall’ immagine di una vecchia contadina e quelli che seguono Darkman, che incarna il male con il suo carico di colpa ed il suo ambiguo potere di seduzione. Nella eterna lotta fra il bene ed il male quest’ ultimo è destinato a soccombere, non senza aver lasciato dietro di sé uno strascico di inquietudine.
La peste viene letta in questo romanzo, ancor più che ne Il morbo bianco di Frank Herbert, come una vera e propria Apocalisse, rimarcando l’aspetto esplicitamente sacro della storia narrata.