Linda De Benedictis
27 Gennaio 2019Mario Falanga
27 Gennaio 2019E’ sempre esistito un rapporto fra poesia e musica. Suono e parola hanno in comune il fascino e la potenza di espressione di qualcosa che non deve necessariamente essere immediatamente presente nelle vicinanze. Ma che al tempo stesso è dominabile, quasi controllabile, proprio mediante l’espressione e il canto, quindi tramite la parola e le figure retoriche, il verso, e il suono. E’ poi ovvio che la parola sia suono, molto prima che segno o immagine scritta.
Il verso serve ad essere cantato, dal coro, ma anche nei monologhi o nei dialoghi; il verso, soprattutto, serve a dare espressione forte e condensata ai contenuti morali. Col verso le parole rimangono più impresse e possono essere ricordate meglio anche grazie a figure retoriche di tipo espressivo (anafora, metafora, ellissi): sono meccanismi utilizzati oggi nei ritornelli delle canzoni o negli slogan pubblicitari.
Il verso si dice endecasillabo quando è composto da undici sillabe (il termine deriva dal greco éndeka, “undici”, e syllabé, “sillaba”), misurato tenendo conto dei fenomeni di dialefe e sinalefe e di dieresi e sineresi, e considerando piana la parola finale del verso; se invece la parola è sdrucciola, cioè con l’accento sulla terzultima sillaba, il verso ha una sillaba in più, ossia dodici; e se è tronca, ovvero con l’accento sull’ultima sillaba, ne ha una in meno, cioè dieci.
Alcuni criteri utilizzabili, per distinguere la poesia dalla prosa:
1) guardare lo spazio scritto della pagina, che consiste nel controllare rapidamente se ci sono paragrafi interamente scritti o righe spezzate;
2) verificare quanto le espressioni sono condensate, allusive o anche simboliche o evocative, quanto siano polisemiche, quanta parte abbia una prospettiva immaginativa, più che descrittiva o di fabula, cioè la connotazione piuttosto che la denotazione;
3) è possibile, infine, usare la coppia “poetico/non poetico” in senso tecnico e valutativo: è questo il criterio più difficile, che può essere in parte soggettivo e che fa riferimento ad un gusto educato.
Si può anche utilizzare uno schema in cui ordinare alcuni generi letterari in base al secondo e terzo criterio:
|
Poesia |
Prosa |
Introspezione (connotazione) |
lirica |
prosa lirica |
Narrazione (denotazione) |
poema |
romanzo, racconto, novella |
La poesia, è quel testo in cui si contano le sillabe e si fanno le rime, perché ciò permette di evidenziare la musicalità della parola, come nella tradizione delle lingue classiche (che erano quantitative e non basate su altezze di tono, accenti tonici), permette alle parole in rima di richiamarsi a vicenda facendosi meglio ricordare rimanendo maggiormente impresse (come nella pubblicità, nelle canzoni, nell’uso connotativo della poesia); ma è anche quel testo che esprime emozioni e sentimenti facendo perno su se stesso e su rimandi fonici, linguistici, retorici suoi propri, più che sul riferimento a fatti e oggetti esterni.
Caratteri della poesia
1. Forma:. versi con vari metri: da quelli chiusi, classici, a quelli liberi . figure retoriche fonetiche (Figure fonetiche sono l’allitterazione, l’assonanza e la consonanza, l’onomatopea, la paronomàsia (ghiaccio/giaccio)o espressive: anafora (è la ripetizione di un elemento (una o più parole), a volte con qualche piccola modifica, all’inizio di una unità sintattica o metrica. Es: Laudato sie… Laudato si’ (Cantico creature), ellissi (Ellissi è l’omissione di un elemento sintattico, che viene quindi sottinteso. Come struttura letteraria, invece, consiste nel tralasciare la narrazione di episodi negativi o dolorosi.) sinestesia (è l’associazione espressiva (anche metaforica) di due parole appartenenti a sfere sensoriali diverse. Es: urlo nero), metonimia (è l’uso del nome della causa per quello dell’effetto (es. vivere del proprio lavoro, invece che lavorare per vivere), del contenente per il contenuto (bere una bottiglia), della materia per l’oggetto (sguainare il ferro), dell’astratto per il concreto (eludere la sorveglianza), metafora, sonetto (Componimento di quattordici endecasillabi disposti in due quartine e due terzine).
2. Prospettiva immaginativa.
3. Contenuto: varia a seconda del genere poetico.
La rima è la perfetta uguaglianza del suono finale di due parole dal loro accento in poi; può allora essere piana, tronca o sdrucciola, a seconda di come sono le parole in rima. Esempi: amóre-dolóre; sentì-compì; càntano-piàntano. La rima sta alla fine del verso, ma può ricorrere anche al suo interno, e si chiama interna, o in fine di emistichio (metà verso), e si chiama rimalmezzo.
La rima si dice:
1) baciata, se a coppia: AA;
2) alterna, se a vicenda con un’altra: ABABAB…;
3) invertita, se in un sistema di tre o più si torna dall’ultima alla prima: CDE.EDC;
4) incrociata o abbracciata, se ripetuta in centro fra altre uguali: ABBA o CDC.CDC;
5) incatenata, se si svolge a catena come nella terzina dantesca: ABA.BCB.CDC…
Inoltre, si dicono parole-rima quelle che, di strofa in strofa o all’interno di essa, ritornano uguali e con lo stesso senso.
Si ha invece assonanza quando le parole hanno le stesse vocali, ma diverse consonanti. Esempio: campàne-celàre. C’è però chi parla anche di una assonanza consonantica o semplicemente consonanza per intendere una assonanza in cui sono uguali le consonanti e non le vocali. Se le parole hanno suoni simili, cioè stessa vocale e consonante vicina ovvero sillaba simile, si parla di allitterazione (ripetizione delle stesse lettere o di gruppi uguali o affini).
I nostri versi hanno preso il nome dal numero delle loro sillabe, ma per poterle contare con precisione occorre tener presente che ogni verso stabilisce la posizione della vocale tonica per la rima (ictus) e non il numero di sillabe. Ad esempio: un settenario ha la sillaba tonica nella sesta posizione (7 – 1) e quindi le sillabe sono sette se la rima è piana, ma sono sei se è tronca e sono otto se sdrucciola.
Dante Alighieri
Tanto gentile e tanto onesta pare” Con il celebre sonetto, inserito nel capitolo XXVI della Vita Nuova, Dante ritorna a lo stilo de la loda”, ovvero alle poesie in lode di Beatrice, dopo che digressioni nelle parti immediatamente antecedenti del libro sulla poetica stilnovistica e sulla natura d’amore lo avevano distratto da quel tema dominante. Dante stesso, nella prosa che precede il sonetto, ne parafrasa i versi dicendo che al passaggio di Beatrice la gente ne restava talmente ammirata da non riuscire a rispondere al di lei saluto e anzi da essere costretta ad abbassare lo sguardo davanti a tanta onestade, ovvero a così grande nobiltà. Umile e allo stesso tempo regale, Beatrice col solo suo sguardo riempiva gli animi di dolcezza onesta e soave, che a parole non si poteva rendere, ma soltanto con sospiri.
TANTO GENTILE TANTO ONESTA PARE
Fin dalle prime prove Dante rivela una marcata passione per la sperimentazione, cimentandosi con vari registri che si articolavano attorno alla nozione medievale dei tre stili (tragico, comico, elegiaco, oppure tragico, medio, comico). Ciò risulta già nei primi due testi che oggi la critica (ma non senza dubbi) assegna a Dante, dopo la recente edizione di Gianfranco Contini: il Fiore (così nominato dal primo editore), di registro “comico”, che si configura come una parafrasi in 232 sonetti delle parti narrative del Roman de la Rose, e il Detto d’amore, poemetto didascalico in distici di settenari con rima equivoca, di cui restano solo 280 versi.
di Elena