La poesia “Cos’è la poesia?” di Eugenio Montale, tratta dalla raccolta Satura (1971), offre una riflessione ironica e disincantata sul tema stesso della poesia e del suo processo creativo.
Montale utilizza il suo tono colloquiale e spesso provocatorio per esplorare la natura dell’ispirazione poetica, criticando le concezioni tradizionali del raptus e dell’ispirazione artistica, e sollevando dubbi sull’autonomia e il significato della poesia nel mondo moderno.
Testo della poesia “Cos’è la poesia?” di Eugenio Montale (Satura XIX)
I
L’angosciante questione
se sia a freddo o a caldo l’ispirazione
non appartiene alla scienza termica.
Il raptus non produce, il vuoto non conduce,
non c’è poesia al sorbetto o al girarrosto.
Si tratterà piuttosto di parole
molto importune
che hanno fretta di uscire
dal forno o dal surgelante.
Il fatto non è importante. Appena fuori
si guardano d’attorno e hanno l’aria di dirsi:
che sto a farci?
II
Con orrore
la poesia rifiuta
le glosse degli scoliasti.
Ma non è certo che la troppo muta
basti a se stessa
o al trovarobe che in lei è inciampato
senza sapere di esserne
l’autore.
(da Satura, Mondadori, 1971)
Analisi della poesia
Prima sezione
L’angosciante questione
se sia a freddo o a caldo l’ispirazione
non appartiene alla scienza termica.
Montale apre il componimento con una domanda ironica: il dibattito sull’origine dell’ispirazione — se nasca da un impulso emotivo “a caldo” o da un processo razionale “a freddo” — è affrontato con leggerezza e distacco. Montale chiarisce subito che questa “angosciante questione” non ha nulla a che fare con una scienza esatta, come la “scienza termica”. Il tono è quasi di scherno verso chi cerca di definire rigidamente la poesia in termini precisi o tecnici.
Il raptus non produce, il vuoto non conduce,
non c’è poesia al sorbetto o al girarrosto.
Con un uso giocoso del linguaggio, Montale ribalta la concezione romantica del raptus poetico — l’idea di un’ispirazione travolgente e divina — affermando che esso non porta alla creazione della poesia. Allo stesso modo, il vuoto, simbolo di assenza di idee o di significato, non può essere fonte di poesia. I riferimenti culinari — il “sorbetto” e il “girarrosto” — rafforzano l’idea che la poesia non si può generare né con un freddo calcolo razionale né con una passione irrefrenabile. È una presa di distanza sia dall’ispirazione “calda” che da quella “fredda”, che entrambe risultano inadeguate.
Si tratterà piuttosto di parole
molto importune
che hanno fretta di uscire
dal forno o dal surgelante.
Montale offre una visione molto meno eroica della creazione poetica: la poesia non nasce da un atto sublime o elevato, ma piuttosto da parole “importune”, parole che vogliono semplicemente uscire, senza un vero scopo o un profondo significato. La poesia è quasi un prodotto accidentale, un insieme di parole che escono dal forno (la passione) o dal surgelante (la razionalità), ma senza un percorso preciso o una destinazione significativa.
Il fatto non è importante. Appena fuori
si guardano d’attorno e hanno l’aria di dirsi:
che sto a farci?
Una volta che le parole escono, si chiedono quale sia il loro scopo, rafforzando l’idea che la poesia, nel suo stesso atto di nascere, non abbia un significato predefinito o un fine chiaro. È un’immagine quasi paradossale: le parole si materializzano, ma non sanno che ruolo giocare o quale utilità abbiano.
Seconda sezione
Con orrore
la poesia rifiuta
le glosse degli scoliasti.
Nella seconda sezione, Montale affronta la questione del commento critico e dell’interpretazione. La poesia, nella sua essenza, rifiuta le glosse, cioè le interpretazioni accademiche o eccessivamente analitiche degli scoliasti (commentatori pedanti dei testi antichi). Qui Montale esprime una critica verso la tendenza di molti a sovraccaricare la poesia di spiegazioni e significati secondari, che finiscono per soffocarla.
Ma non è certo che la troppo muta
basti a se stessa
o al trovarobe che in lei è inciampato
senza sapere di esserne
l’autore.
Nonostante il rifiuto delle interpretazioni pedanti, Montale non è sicuro che la poesia, “troppo muta”, possa essere completamente autosufficiente. Qui entra in gioco un concetto chiave nella poetica montaliana: la poesia come enigma. Il poeta stesso diventa un “trovarobe”, qualcuno che inciampa casualmente nelle parole, senza sapere di esserne l’autore, senza avere il pieno controllo del processo creativo. Questa visione mette in discussione l’idea del poeta come creatore consapevole e lucido, suggerendo invece che la poesia possa nascere in modo quasi accidentale e inconscio.
Temi principali
- Critica all’ispirazione tradizionale: Montale smonta le concezioni tradizionali dell’ispirazione poetica, sia quella romantica (il raptus) sia quella più razionale e calcolata. La poesia, per lui, non nasce né da uno slancio emotivo né da una pianificazione fredda, ma da un insieme di parole che si impongono in modo accidentale.
- La poesia come prodotto accidentale: L’idea che le parole si materializzino quasi da sole e si chiedano cosa ci stiano a fare sottolinea una visione disincantata e ironica della poesia, che appare più come un evento fortuito che come un atto di creazione consapevole.
- Rifiuto delle interpretazioni accademiche: Montale esprime anche la sua avversione per le interpretazioni pedanti e accademiche della poesia. Tuttavia, nonostante questo rifiuto, riconosce che la poesia, se lasciata a se stessa, rischia di restare muta, incompleta, o addirittura incompresa.
- Il poeta come trovarobe: Il poeta, più che un creatore, è un trovarobe: qualcuno che si imbatte nelle parole per caso, senza avere piena coscienza del proprio ruolo. Questa visione desacralizza la figura del poeta, spogliandolo di ogni pretesa di controllo totale sul proprio lavoro.
Conclusione
La poesia “Cos’è la poesia?” di Montale è un’opera profondamente ironica e disincantata che mette in discussione le tradizionali concezioni romantiche e accademiche della poesia. Attraverso un linguaggio quotidiano e metafore semplici, Montale ci offre una visione della poesia come un evento casuale, fortuito, e spesso privo di un significato immediato o chiaro. Il poeta non è più il genio ispirato, ma un trovarobe che inciampa nelle parole e lascia che queste si arrangino da sole, rifiutando sia l’esaltazione dell’ispirazione sia le interpretazioni eccessivamente analitiche. Montale continua a esplorare la complessità della condizione umana e la fragilità della parola poetica in un mondo sempre più lontano dalle certezze.
Audio Lezioni, ascolta il podcast su Eugenio Montale del prof. Gaudio
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