Presenta il carattere della monaca di Monza ed evidenzia i punti in cui l’autore lo presenta in modo diretto e indiretto.
Spiega come Manzoni presenta la decisione della famiglia e in particolare del principe padre di costringere Gertrude a farsi monaca e quali sono le tappe che Manzoni considera decisive nel processo che porterà la ragazza a formulare una scelta che le sembrerà l’unica possibile.
Svolgimento
La prima presentazione indiretta del Manzoni sulla figura di Gertrude, monaca di Monza, è il discorso che il barocciaio fa ad Agnese e Lucia. Egli infatti sottolinea la nobiltà della famiglia della signora, l’influenza di suo padre a Monza e il potere della signora all’interno del monastero, notevole nonostante non fosse la badessa. Il discorso del padre guardiano fornisce poi altri dettagli sul carattere e la posizione della signora: dice infatti che è bendisposta nei confronti delle donne e le riceverà nel parlatorio. Fa intendere, sempre in modo indiretto, che è una persona molto influente e che rispetta i suoi impegni, ma che è anche suscettibile, richiama le donne all’umiltà e al rispetto, ma assicura che la sua protezione le terrà lontane da ogni pericolo. L’autore presenta la monaca in modo diretto descrivendone i caratteri fisici: il suo aspetto esprime bellezza trascurata, nell’espressione e nel vestire, il suo volto tradisce una complicata vita interiore, un conflitto interno; il suo sguardo è vivo ed espressivo, aperto a varie interpretazioni, i suoi occhi sono pieni di mistero. A volte il suo sguardo, il suo portamento, il suo modo di parlare non sono quelli usuali di una monaca: mostra un certo abbandono del portamento, un trascurare le regole che aveva dichiarato di rispettare al momento della vestizione, espresso dal fatto che tiene i capelli lunghi. Dalle sue parole emerge la sua curiosità riguardo al caso di Lucia, poiché non si dimostra soddisfatta degli accenni del padre guardiano. Afferma che è una curiosità tipica delle monache, ma rivolge a Lucia e al padre guardiano domande che sembrano andare oltre questa curiosità e sono in contrasto con la discrezione che dovrebbe invece includere il suo stesso essere monaca. Interrompe Agnese quando interviene in aiuto di Lucia, rispondendo per la figlia a quelle domande, e fa così intravedere un certo rancore nei confronti dei genitori che parlano o decidono al posto dei figli. Quella compitezza studiata nel modo di comportarsi che ostentava in presenza del padre guardiano, un provetto cappuccino, scompare quando si trova a parlare da sola con Lucia, contadina inesperta; questo aspetto viene presentato dall’autore in modo diretto.
Manzoni racconta l’infanzia della signora e la sua vita antecedente, affrontando il problema che nelle famiglie nobili di quel tempo i padri, per conservare il patrimonio e il lustro della casata, destinavano i propri figli alla carriera militare o ecclesiastica e le proprie figlie a quella ecclesiastica, prima ancora della loro nascita, cosicché tutte le sostanze sarebbero rimaste al primogenito che avrebbe portato avanti la famiglia. La monaca di Monza alla sua nascita fu chiamata Gertrude, perché portasse un nome che aveva avuto una santa importante e che fosse già un segno della sua carriera futura. Fin dai primi anni i genitori cercarono di accrescere la sua vanità naturale, seguitavano a fare allusioni sul suo futuro, di cui non parlavano mai esplicitamente, ma come qualcosa di sottinteso e certo. Fu educata per otto anni nel medesimo monastero in cui speravano che rimanesse tutta la vita, coinvolgendo anche le monache di questo, che la trattavano con superiorità rispetto alle altre allieve in cambio della protezione del principe suo padre. Così Gertrude aveva dipinto dentro di sé immagini di un futuro di madre badessa, di cui si vantava con le compagne; tuttavia erano immagini fredde e diverse da quelle colorate che avevano queste ultime sul loro futuro come spose. Queste altre immagini si confacevano maggiormente al suo carattere piuttosto ribelle ed impetuoso oltre che vanitoso. Poiché desiderava che provassero invidia nei suoi confronti, asseriva che il suo destino non era scritto e che avrebbe potuto cambiare le proprie idee. In realtà aveva capito le intenzioni e la sicurezza dei genitori e sebbene sapesse che per compiere l’importante passo era necessario il suo consenso, aveva paura di negarlo specialmente al padre. Tutto questo le generava un violento conflitto interiore perché non aveva alcuna certezza di un avvenire gradito, mentre le sue compagne ne erano molto più sicure; finiva così per provare verso di loro quell’invidia che aveva desiderato che esse sentissero per lei e ad averle in odio. Il suo carattere andava così esacerbandosi e l’unica arma in suo possesso era il far sentire il più possibile alle altre ragazze la posizione di privilegio che aveva presso le educatrici, che facevano ogni sforzo per farle piacere il chiostro, approfittando del suo carattere instabile e dei momenti di pentimento e dei sensi di colpa che ogni tanto provava per aver evocato quelle immagini di vita come sposa.
Questa instabilità era dovuta anche al modo in cui le stesse monache e la famiglia le avevano fatto intendere la religione, come qualcosa che santificava l’orgoglio come mezzo per raggiungere una felicità terrena. Poiché anch’esso faceva parte del carattere di Gertrude, ogni volta che le tornava questo pensiero della religione come l’aveva appresa provava questi sensi di colpa e si riprometteva di chiudersi volontariamente nel monastero come espiazione. Le monache approfittarono di uno di questi momenti per farle sottoscrivere una supplica al Vicario, primo passo che per legge doveva compiere per entrare nel chiostro. Quando Gertrude si rese conto di ciò che era stata indotta a fare, per tirare indietro quel primo passo, dietro consiglio di una compagna scrisse al padre una lettera esprimendo la propria intenzione a ritirare la supplica. Questo fece montare il principe su tutte le furie e quando Gertrude tornò a casa per il mese che, sempre per legge, doveva trascorrere fuori dal monastero in attesa di compiere le altre formalità, tutta la famiglia le negò il proprio affetto, facendo ogni sforzo per farla sentire colpevole e lasciandole intendere che l’unico modo per tornare in comunione con i familiari era accettare ciò che essi avevano dato per certo da molto tempo. Gertrude in quel mese quindi rimase sempre in solitudine o con la servitù, che dimostrava la stessa freddezza della famiglia, eccetto un paggio che aveva per lei un rispetto e una comprensione che fecero cambiare i suoi stati d’animo e i suoi atteggiamenti. I genitori notarono i cambiamenti che questo nuovo rapporto comportava, ma ne capirono la ragione soltanto quando una cameriera intercettò una lettera che era destinata al paggio. Il padre reagì licenziando quest’ultimo e lasciando Gertrude rinchiusa con quella cameriera e minacciandole un castigo oscuro e terribile. In quei giorni, nel tumulto dei suoi pensieri, la ragazza vedeva il chiostro come unico destino possibile, dal momento che era stata privata di tutto ciò che diversamente avrebbe potuto accendere il suo animo e spingerlo ad altre prospettive. Questa idea e l’odio che provava nei confronti della sua carceriera, in un momento in cui entrambi erano troppo forti e lei si sentiva troppo debole, la spinsero a scrivere una lettera al padre per implorare il suo perdono. In questo punto il Manzoni dimostra chiaramente la propria indignazione per l’atteggiamento del padre: egli, conoscendo il carattere di Gertrude e consapevole che non aveva alcuna vocazione, in quel momento la fece sentire più che mai colpevole di quello che definiva il suo fallo ed infine, con il proprio contegno, cambiando con grande artificio dalla severità alla dolcezza, la indusse a pronunciare una risposta che le sfuggì, di cui si pentì quasi subito, ma che lui interpretò come un fermo ed irrevocabile consenso a prendere la strada del chiostro. L’atteggiamento dei familiari e tutto intorno a Gertrude cambiò immediatamente, la sua scelta fu ripetutamente lodata e da sola e rinchiusa si trovò al centro dell’attenzione. In tutti i passi successivi, tra cui la visita al monastero, l’esame con il vicario delle monache e la scelta della madrina, il padre riuscì a dominarla, ad indurla a mentire a se stessa, alle altre monache e al vicario perché tutto si svolgesse in maniera regolare. Per esercitare questinfluenza il padre utilizzava lo sguardo, il cipiglio, nuovi slanci di affetto ad ogni passo compiuto, parole di avvertimento prima di ciascuna formalità; le faceva mancare il coraggio di comportarsi diversamente e cercava di dipingere a dolci colori la sua futura vita nel monastero e si mostrò in tutto servizievole con lei e non riuscì a nascondere il sollievo quando fu obbligata per sempre e in modo definitivo.
L’unico punto in cui la sua futura situazione avrebbe potuto adattarsi al suo carattere, e che ugualmente veniva sempre ribadito dal padre, era la condizione di superiorità all’interno di quel monastero e il grande rispetto che tutti avrebbero portato alla nobiltà delle sue origini. Ma nonostante questo, appena concluse le formalità del caso, i sentimenti dominanti di Gertrude erano la rabbia verso se stessa per il suo poco coraggio e il rimpianto per tutto ciò che le era stato tolto, per le possibilità di vita che avrebbe accolto con vero entusiasmo e che si vedeva scorrere accanto senza poterle sfiorare; infatti vivrà solo come monaca senza vocazione e ciò sarà l’origine e la principale causa del suo contegno e dei suoi modi singolari e anche dei suoi futuri delitti.