Ultimi versi del canto quinto del Purgatorio di Dante vv. 112-136
28 Dicembre 2019Canto undicesimo del Paradiso di Dante vv. 49-108
28 Dicembre 2019Questi versi (1-84) del Canto III dell’Inferno di Dante segnano l’ingresso di Dante e Virgilio nell’Inferno vero e proprio.
Dante si trova di fronte a visioni terrificanti e sensazioni angoscianti. L’atmosfera è densa di dolore e disperazione. Questo è un passaggio emblematico, che introduce temi cruciali come la giustizia divina e la condizione degli ignavi, le anime che non si schierarono né per il bene né per il male.
Analisi e Commento:
- Le parole sulla porta dell’Inferno: I primi versi rappresentano l’iscrizione sulla porta dell’Inferno, un monito per chi entra. Le parole “Per me si va…” indicano che l’ingresso conduce alla città della sofferenza eterna. Sono stati creati dalla Giustizia divina e realizzati da tre qualità divine: il potere (“la divina podestate”), la saggezza (“la somma sapïenza”) e l’amore supremo (“’l primo amore”). Questo significa che l’Inferno è il frutto della volontà giusta di Dio, e non una punizione arbitraria. La frase finale dell’iscrizione, “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, è uno dei versi più famosi dell’intera opera, e rappresenta la disperazione assoluta di coloro che vi entrano, i quali devono abbandonare ogni speranza di redenzione.
- La reazione di Dante e il conforto di Virgilio: Dante, leggendo queste parole, è subito colpito dalla loro durezza e chiede spiegazioni al suo maestro Virgilio. Questi lo rassicura, dicendogli che è giunto nel luogo in cui vedrà coloro che “hanno perduto il ben de l’intelletto”, cioè coloro che sono privi della Grazia divina. Virgilio è calmo e sicuro, dimostrando di essere una guida affidabile, e con il gesto di prendere la mano di Dante gli trasmette forza e conforto.
- I suoni dell’Inferno e la prima reazione di Dante: Una volta entrati, Dante descrive i suoni che provengono dal buio dell’Inferno: sospiri, pianti, urla di dolore, lingue diverse e parole di rabbia. Questa cacofonia di suoni è l’espressione della disperazione eterna. Dante, sopraffatto da questa esperienza, comincia a piangere. La descrizione dei rumori caotici e incessanti è una delle prime rappresentazioni concrete della sofferenza infernale.
- La condizione degli ignavi: Virgilio spiega a Dante che i primi dannati che stanno vedendo sono gli ignavi, coloro che in vita non presero mai una posizione morale, che non si schierarono né per il bene né per il male. Questa è una delle prime forme di dannazione che Dante incontra, ed è anche particolarmente severa: queste anime sono indegne persino di entrare nell’Inferno vero e proprio, e sono condannate a restare sulla soglia. Sono mescolati a quegli angeli che non si ribellarono a Dio con Lucifero, ma che nemmeno rimasero fedeli: “né furon ribelli / né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro”. Questi angeli, per il loro indecisionismo, vengono disprezzati sia dal Paradiso sia dall’Inferno, che li rifiuta.
- La sofferenza degli ignavi: La pena degli ignavi è particolarmente crudele. Sono inseguiti senza tregua da vespe e mosconi, che li pungono incessantemente, e il loro sangue, misto alle lacrime, è raccolto da vermi fastidiosi ai loro piedi. Questa rappresentazione è altamente simbolica: gli ignavi non subirono mai alcuna reale sofferenza o piacere in vita perché non agirono mai in modo deciso, e ora sono costretti a vivere un tormento inutile e senza speranza. La sofferenza eterna li rende invidiosi di qualsiasi altra sorte.
- Il “gran rifiuto” e l’insegna: Tra gli ignavi, Dante riconosce l’anima di colui che fece il “gran rifiuto”. Anche se non viene mai esplicitamente nominato, tradizionalmente si ritiene che si tratti di Papa Celestino V, che abdicò al papato nel 1294. Questa scelta viene vista da Dante come un atto di codardia, perché Celestino non si oppose alle pressioni politiche che lo portarono alla rinuncia del suo ruolo, aprendo la strada a un papato corrotto. L’insegna che gli ignavi inseguono è un simbolo della loro mancanza di direzione e scopo, che continua anche nell’aldilà.
- L’arrivo di Caronte: Nel finale di questi versi, Dante e Virgilio giungono alla riva del fiume Acheronte, dove le anime sono in attesa di essere traghettate verso l’Inferno vero e proprio da Caronte, un vecchio dai capelli bianchi che grida alle anime di dannati. Caronte, figura mitologica greca, è qui rappresentato come il traghettatore delle anime verso la loro eterna dannazione.
Commento finale:
Dante, attraverso la sua descrizione dettagliata e vivida dell’Inferno, introduce i lettori nel mondo della sofferenza eterna. La condizione degli ignavi è particolarmente significativa: non essendo stati mai veramente vivi, sono condannati a un’esistenza senza scopo, eternamente tormentati, senza alcuna possibilità di redenzione o gloria. Questo tema dell’assenza di scelta e della mancanza di azione morale si ripeterà spesso nell’opera, dimostrando quanto, per Dante, la responsabilità morale sia cruciale per il destino dell’anima.
Testo:
’Per me si va ne la città dolente, Giustizia mosse il mio alto fattore; Dinanzi a me non fuor cose create Queste parole di colore oscuro Ed elli a me, come persona accorta: Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto E poi che la sua mano a la mia puose Quivi sospiri, pianti e alti guai Diverse lingue, orribili favelle, facevano un tumulto, il qual s’aggira E io ch’avea d’error la testa cinta, Ed elli a me: “Questo misero modo Mischiate sono a quel cattivo coro Caccianli i ciel per non esser men belli, E io: “Maestro, che è tanto greve Questi non hanno speranza di morte, Fama di loro il mondo esser non lassa; E io, che riguardai, vidi una ’nsegna e dietro le venìa sì lunga tratta Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, Incontanente intesi e certo fui Questi sciaurati, che mai non fur vivi, Elle rigavan lor di sangue il volto, E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, ch’i’ sappia quali sono, e qual costume Ed elli a me: “Le cose ti fier conte Allor con li occhi vergognosi e bassi, Ed ecco verso noi venir per nave |