Guernica di Picasso
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La questione meridionale ha origine remote
“Quanto meno le colonie greche furono costruite in siti precedentemente occupati da centri indigeni, e ciò è probabile per la maggior parte. In tutti i casi di cui siamo informati, i Greci cacciarono i Siculi […] con la forza„ (T.J. DUNBABIN, The Western Greeks, Oxford 1948)
L’insediamento sparso caratteristico dell’età romana e del tardo-antico, basato sull’esistenza di ville grandi e meno grandi e dei vici (agglomerati rustici), sarebbe resistito fıno al VII secolo. Il regime di proprietà della terra, pur in presenza dell’insediamento bizantino e arabo per casali, però, non dovette necessariamente mutare le sorti del latifondo siciliano: dal momento che l’archeologia dimostra che tali conquistatori non mutarono la dislocazione dell’insediamento rurale, è pure ipotizzabile che non ne abbiamo mutato i rapporti di proprietà.
In Sicilia – come nota V. D’Alessandro – persiste, prima e dopo l’arrivo dei musulmani, una tendenza all’organizzazione “tribale” dei nuclei contadini. La conquista normanna, nella seconda metà dell’XI secolo, non cambiò il quadro generale del popolamento: il territorio fu organizzato con la “terra” (un villaggio fortificato) dominante su di un distretto popolato di casali.
(V. TITONE, Origini della questione meridionale, Milano 1961)
Il mondo contadino siciliano ha vissuto nell’arretratezza per millenni, senza venire a contatto con culture più avanzate; queste sono state sì presenti nell’Isola (Arabi, Normanni, Svevi), ma si sono collocate ai margini del mondo contadino, considerato estraneo, e hanno dato vita a culture aristocratiche.
(M. GANCI, La nazione siciliana, Napoli 1978)
“Per quanto riguarda il Meridione, per esempio, è stata una grande sciagura – lo dice anche Croce – la persistenza del latifondo. Vi potrei parlare del latifondo siciliano. Era un’ingiustizia sociale e storica, che è durata nei secoli, per volere di quelli che erano i poteri, prima il potere spagnolo e poi il potere borbonico, per la prepotenza di quelli che erano i baroni, i latifondisti, di questi baroni anarchici che ricattavano il potere dei re, dei viceré e che cercavano di mantenere immobili queste nostre zone e contrade. Con quello che significa il latifondo per sfruttamento dell’uomo, umiliazione dell’uomo e anche il depauperamento di quello che era il patrimonio agricolo delle nostre zone. I terreni lasciati incolti o sfruttati sino all’inverosimile sono dei problemi di cui tutti i meridionalisti si sono occupati.”
(V. Consolo al Liceo Classico “G.B. Vico” di Napoli – 11/05/1999)
«Non c’è impiegato in Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono in molti paesi delle fra specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei. Come accadono furti, escono dei mediatori a offrire transazioni per il recupero degli oggetti rubati. Molti alti magistrati coprono queste fratellanza di una protezione impenetrabile, come lo Scarlata, giudice della Gran Corte Civile di Palermo, come il Siracusa alto magistrato… Non è possibile indurre le guardie cittadine a perlustrare le strade; né di trovare testimoni per i reati commessi in pieno giorno. A1 centro di tale stato di dissoluzione c’è una capitale col suo lusso e le sue pretensioni feudali in mezzo al secolo XIX, città nella quale vivono quarantamila proletari, la cui sussistenza dipende dal lusso e dal capriccio dei grandi. In questo ombelico della Sicilia si vendono gli uffici pubblici, si corrompe la giustizia, si fomenta l’ignoranza… »
(Pietro Ulloa, procuratore generale a Trapani nel 1838, in L. Sciascia – Storia Illustrata, XVI 173 – aprile 1972)
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