Linda De Benedictis
27 Gennaio 2019Mario Falanga
27 Gennaio 2019Narrato in prima persona da Vitangelo Moscarda, detto Gengè, il romanzo pirandelliano descrive il cambiamento psicologico avvenuto in lui dopo un episodio che lo ha reso cosciente della sua molteplicità di identità e delle varie percezioni che gli altri hanno di lui, scuotendo le fondamenta della sua stessa identità e conducendolo a una profonda crisi esistenziale.
La realtà e l’apparenza in Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, dalla Tesina “Realtà e apparenza” per liceo linguistico di Nicola Diomaiuto
Ogni uomo pensa di aver capito abbastanza presto cos’è la realtà. Per qualcuno la certezza della comprensione iniziale si attenua progressivamente e, ormai vecchio, sente di essere arrivato ad un’ incertezza totale.
Italiano
Tale tematica pervade le opere di Luigi Pirandello. L’autore vive ed è condizionato dalla sua epoca. Nella sua produzione teatrale e narrativa troviamo infatti il senso di crisi ed il dissolversi delle antiche certezze tipici dell’epoca decadente. Egli però non cerca di sfuggire alla realtà rifugiandosi in un mondo raffinato ed elitario, ma la studia, è consapevole della propria crisi, sa di non poterle sfuggire. Ed è per questo che la realtà pirandelliana non solo si sfaccetta in mille pezzi, ma è anzi inconoscibile; per l’autore, infatti, ogni uomo indossa mille maschere, tante da non poter sapere chi sia in realtà, se una di queste oppure ciò che dietro vi si cela. La molteplicità della realtà, così come quella delle maschere che ci è imposto di indossare, porta inevitabilmente l’uomo ad interrogarsi sul problema della distinzione tra la realtà e l’apparenza. Ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello degli altri.
Tra realtà e apparenza ci sono due distinte dimensioni:
1) la dimensione della realtà oggettiva, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche ma è inafferrabile e non riconoscibile: ciò che resta nell’anima dell’individuo è la sua disintegrazione in tante piccole parti quante sono le possibilità concrete dell’individuo di vederla.
2) la dimensione della realtà soggettiva, che è la particolare visione che coglie l’individuo solo negli aspetti che sono maggiormente propri al particolare momento che sta vivendo e alla sua condizione sociale, in base ai quali riceve dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente personali e non possono essere provate da tutti gli altri individui. Quindi ci sono tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell’individuo.
Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettiva, ma una realtà soggettiva, che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra.
L’uomo deve adeguarsi alle convenzioni imposte dalla società, egli assume quindi una maschera, o per propria volontà o perché così è visto e giudicato. Questa maschera è l’aspetto esteriore dell’individuo (la sua apparenza) . Siccome il personaggio è condannato a recitare sempre la stessa parte, non ha nessuna possibilità di mutare la propria maschera, si verifica così la disintegrazione fisica e spirituale dei personaggi che si può riassumere nella teoria della triplicità esistenziale:
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come il personaggio vede se stesso;
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come il personaggio è visto dagli altri;
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come il personaggio crede di essere visto dagli altri.
Quando il personaggio scopre di essere calato in una maschera, determinata da un atto accaduto una sola volta e di essere riconosciuto attraverso quell’atto e identificato in esso, cade in una condizione angosciosa senza fine, perché si rende conto che:
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la realtà di un momento è destinata a cambiare nel momento successivo
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la realtà è un’illusione perché non si identifica in nessuna delle forme che gli altri gli hanno dato
Nella società l’unico modo per evitare l’isolamento è il mantenimento della maschera: quando un personaggio cerca di liberarsene con un diverso comportamento viene considerato preso dalla follia che scatena in tutti il riso perché non è comprensibile; per questo viene allontanato, rifiutato e considerato un elemento di disturbo della società, non trovando più posto negli schemi e convenzioni di essa. Nel caleidoscopio delle forme e delle apparenze, l’uomo si ritrova privo di una precisa e unica identità; cerca di conoscersi, ma scopre di essere una “maschera nuda” . Nella realtà di ogni giorno gli individui non si mostrano mai per quello che sono veramente, ma in ogni momento, in ogni circostanza, assumono una maschera diversa, che li fa “personaggi” e non li rivela come “persone” . L’esistenza dell’individuo chiama in causa la convivenza sociale, i rapporti con gli altri e mette in luce il contrasto tra individuo e società. Come è impossibile la conoscenza di noi stessi, così sono impossibili rapporti autentici tra gli individui. Si possono stabilire con gli altri, soltanto rapporti mediati da atteggiamenti esteriori, dalle forme delle maschere, dai modelli dei ruoli che ciascuno è costretto ad assumere per poter vivere e operare in società, o che gli altri e la società in genere impongono. Queste maschere-ruoli sono prodotti dalle disposizioni naturali di ciascuno, dalla condizione sociale, dall’educazione, dalla cultura, da tutta la serie di convenzioni sociali in mezzo alle quali l’individuo si trova a vivere. Si tratta comunque sempre di forme fisse, aride, morte. In questa inautenticità, in cui la società tenta di imprigionare l’individuo, l’esistenza è niente più che un grande “palcoscenico” sul quale ognuno recita la propria parte di personaggio e maschera, secondo un meccanismo in cui ciascuno finisce per essere la “marionetta” di se stesso. Solo la follia permette al personaggio la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili, perché il legame con le norme della società è troppo forte.
Uno, nessuno e centomila
L’esempio più appropriato della frantumazione dell’io, che evidenzia il contrasto tra apparenza e realtà, è il romanzo “Uno, nessuno e centomila”.
Il protagonista, Vitangelo Mostarda, si trova impegnato a ricostruirsi un’esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalle convenzioni. Per Moscarda, l’inizio dell’avventura avviene quando apprende un giorno dalla moglie che il proprio naso pende verso destra. La frase, buttata lì per caso, banalmente, sarà come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo. L’esistenza di Vitangelo ne sarà sconvolta; vita familiare, interessi, posizione sociale, rapporti di amicizia, tutta la realtà in mezzo a cui egli per vent’otto anni era comodamente vissuto senza urti e senza sorprese, si dissolve come per sortilegio, ed egli si riduce alla condizione di alienato. Chi è in realtà Vitangelo Moscarda per la moglie che dice di conoscerlo e di amarlo, chiamandolo Gengè? E chi è per gli amici e per tutti gli altri. Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono e quanti sono i momenti della sua esistenza. Vitangelo tenta la ricerca di se stesso, ma è come volere scavalcare la propria ombra. Il protagonista si stacca dal proprio “fantoccio vivente” diventando nessuno, distruggendo il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall’educazione e dall’ambiente. Per questo dovrà cancellare l’immagine di usuraio che ha ereditato dal padre insieme con la banca da cui trae i mezzi per la sua esistenza di borghese benestante. Si dà quindi a compiere atti di liberalità che appaiono in contrasto coi criteri di una sana amministrazione e gli procurano un attestato di pazzia da parte della moglie, dei soci d’affari e anche dalle stesse persone da lui beneficiate. Interdetto dai familiari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui stesso fondato con le splendide donazioni. Il tema centrale del romanzo è quello che gli dà il titolo. Il personaggio è uno quando viene messa in evidenza la maschera che lui si dà, è nessuno quando la propria maschera assume una dimensione per sé e un’altra per ciascuno degli altri, è centomila quando viene messa in evidenza la maschera che gli altri gli danno.
Umorismo pirandelliano
Se sul piano filosofico la “chiave” per scoprire le contraddizioni e smascherare le falsità dell’apparenza è la “follia” , sul piano poetico è l’umorismo, che consiste nel sentimento del contrario, ovvero in una comprensione della realtà che passa attraverso la riflessione, ed è perciò più profonda, va oltre l’apparenza immediata. L’umorismo produce un riso non automatico e superficiale, ma consapevole e drammatico, in parte comico in parte tragico, capace di allegria ma anche di pietà e compassione. La poetica pirandelliana rivaluta dunque la funzione della componente riflessiva nell’arte: l’arte “umoristica” grazie alla sua capacità di analisi e riflessione, scopre le contraddizioni irrisolte, i drammi, le disarmonie che sono le sole verità possibili per l’uomo contemporaneo. L’intento primario della poetica umoristica è, in sostanza, quello di mettere in luce la dicotomia fra vita e forma, tra persona e personaggio, tra apparenza e realtà. La riflessione tramite l’umorismo sulla condizione umana scopre le due fondamentali istanze che muovono gli individui. La prima è quella dell’impellente “bisogno di vivere” , che spinge ogni uomo a farsi personaggio, ad auto ingannarsi , per fingere a se stesso la soddisfazione di bisogni quali il piacere, la bellezza, la giovinezza, l’amore, ecc. La seconda, più razionale, è la “coscienza di vivere” : la riflessione porta gradatamente a capire che sopra il viso c’è la “maschera”, che l’identità è l’apparenza del “personaggio” e che dietro a questa apparenza non c’è la verità, ma il caos, il nulla. Conoscersi allora in questa prospettiva significa morire. Qui sta il fondamento decadente dell’opera pirandelliana che rinuncia a una dogmatica filosofia dell’esistere e attua un apparente “demolizione” dei propri personaggi, simboli dell’uomo nel suo problematico oscillare tra realtà e apparenza.
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