L’Italia nel seicento
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27 Gennaio 2019La Restaurazione post-napoleonica, il congresso di Vienna del 1815, e i principi dell’habeas corpus, di legittimità e dell’autocrazia
Questo periodo si aprì nel novembre del 1814 con il Congresso di Vienna, ovvero una riunione in cui i ministri degli esteri delle potenze vincitrici avrebbero ripristinato l’equilibrio tra le potenze dopo l’eliminazione dalla scena di Napoleone. A questi lavori parteciparono l’Austria, in particolare con Von Metternich, l’Inghilterra, la Russia, la Prussia e la Francia, con Tayllerand ex sostenitore di Napoleone, che, anche se non era uscita vincitrice era stata ammessa per due motivi:
* Era un segno di tolleranza e di buona volontà nell’accettarlo
* Non era colpa sua per quello che Napoleone aveva fatto.
I principi su cui si basarono per riassettare l’Europa furono principalmente due:
- Principio di equilibrio, che prevedeva che nessuno stato avesse troppo potere sugli altri con un evidente vantaggio territoriale;
- Principio di legittimità; che prevedeva che i sovrani precedenti alla parentesi napoleonica tornassero sul legittimo trono.
In Francia ritornò la monarchia con Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato quindi legittimo erede, che concesse una Carta Costituzionale definita octroyée, ovvero concessa dal re e non imposta dal popolo, che però non era molto democratica in quanto il potere esecutivo e quello legislativo erano in mano o controllati dal re. Per evitare la diffusione di idee rivoluzionarie che ancora aleggiavano nel paese, il congresso decise di creare una serie di stati-cuscinetto intorno al territorio francese come i Paesi Bassi, che riunivano le province olandesi, e lo stato di Sardegna in cui Vittorio Emanuele I riotteneva i territori di Nizza e della Savoia ceduti nella campagna d’Italia.
La Russia mantenne i territori polacchi mentre la Prussia di Federico Guglielmo III ottenne la Sassonia; il Sacro Romani Impero, già terminato con Napoleone, fu sostituito dalla Confederazione germanica di cui l’Austria di Francesco II d’Asburgo era il presidente.
In Inghilterra ci fu un irrigidimento istituzionale in particolare dell’habeas corpus che venne revocato ma ripristinato nel 1815, una volta che la situazione si era calmata.
In Spagna ritornarono i Borbone con Ferdinando VII che all’inizio mantennero gli accordi secondi il trattato di Cadice, fatto dai patrioti che avevano organizzato una rivolta e scritto una costituzione che prevedeva una specie di autogoverno che avevano imposto allo sconfitto imperatore e poi al re che però alla fine la toglie.
Nella penisola italiana Venezia e Milano rimasero sotto il dominio austriaco; i piccoli staterelli vennero ripristinati e il Granducato di Toscana venne affidato a Ferdinando III d’Asburgo Lorena; nello stato della Chiesa tornò il papa; Napoli e la Sicilia vennero unificate sotto il dominio di Ferdinando VI che, dopo l’esilio palermitano, concesse in un primo tempo una costituzione simile a quella dello zio in Spagna ma anche lui alla fine la toglierà.
Fu soprattutto in questo periodo che nacquero le società segrete con scopi rivoluzionari, come eredi dei cospiratori del 9 Termidoro. Le più famose furono la Carboneria, gli Adelphi e la Massoneria, che era nata per diffondere la cultura illuminista, e si era evoluta in una società reazionaria. Queste organizzazioni erano composte prevalentemente da borghesi, nobili illuminati” e militari, che organizzavano delle rivolte che però avevano dei punti deboli in quanto molto spesso non si conoscevano i propri compagni, in quanto in caso di cattura non si sarebbero divulgati i componenti della società, creando una situazione di grande incertezza, i piani erano programmati dai vertici di queste associazioni e poi era comunicato ma nessuno di questi ideatori era sul campo quindi in caso di fallimento non si sapeva mai cosa si dovesse fare, creando così un clima di grande incertezza e soprattutto queste rivolte non coinvolsero mai il popolo.
Questi moti esplosero per primi in Spagna nel 1812 quando un’insurrezione popolare aveva sconfitto le truppe di napoleone e aveva ottenuto la costituzione di Cadice; più tardi, nel periodo della Restaurazione, la penisola iberica, che aveva ancora quella speranza democratica nata durante la dominazione napoleonica, era impegnata sul fronte delle colonie americane che premevano sempre più per ottenere l’indipendenza. Per reprimere queste rivolte il sovrano dovette ricorrere ad un esercito che però si ribellò prima di partire per due motivi:
– per non combattere i patrioti delle colonie
– per invocare l’indipendenza nei confronti di Ferdinando VII che aveva ritirato la costituzione di Cadice.
La stessa cosa avvenne in Portogallo che formalmente concesse l’indipendenza al Brasile solo formalmente poiché il re portoghese divenne imperatore del territorio brasiliano.
Questi focolai insurrezionali si spostarono anche in Italia. Per primo in Piemonte dove Vittorio Emanuele I aveva abdicato lasciando il posto al fratello Carlo Felice, che al momento non era nel regno, e quindi risulta reggente Carlo Alberto che si dimostra favorevole a con-cedere una costituzione democratica ai ribelli, che avevano fomentato anche i patrioti lombardi, che però erano più in difficoltà poiché avrebbero dovuto affrontare le truppe austriache. Anche nel sud della penisola ci furono delle rivolte come quella del luglio 1820 in cui varie unità dell’esercito, con l’aiuto di gruppi carbonari, si ribellarono e guidati da Guglielmo Pepe riuscirono ad ottenere la costituzione. Intanto la Santa Alleanza e la Francia comincia-vano a preoccuparsi della riuscita di tutte queste ribellioni che minacciavano l’equilibrio creato durante il Congresso di Vienna; agli incontri di Troppau, Verona e Lubiana si chiese-ro se potevano intervenire nella politica interna di uno stato, in una giurisdizione che non era loro. La questione si risolse prima con la richiesta di intervento di Ferdinando I, con la destituzione di Carlo Alberto e il ritorno di Carlo Felice e la chiamata di Ferdinando VII. In Italia intervennero gli austriaci e in Spagna i francesi che sedarono le rivolte con la scusa che erano stati minacciati i principi religiosi e politici verso lo stato.
Dall’Italia i moti si spostarono in Grecia, culla della civiltà occidentale, risultava essere un riferimento culturale per l’Europa, soprattutto dopo la diffusione delle idee della rivoluzione francese, e spirituale per la Russia sottomesso ad un grande impero frammentato che comprendeva una miriade di comunità che non parlavano la lingua turca e nemmeno erano mussulmane, per questo erano sottoposti alla pesante burocrazia e alla forte pressione fiscale che affliggevano questo grande e debole impero. Nel 1821 scoppiò la prima insurrezione che però non vide l’aiuto delle potenze europee, che rimasero indifferenti alla sanguinaria repressione attuata nel 1824 dall’esercito turco-egiziano; solamente nel 1827 Francia Inghilterra e Russia intervennero e sconfissero due anni più tardi i turchi a Navarino, così che venne riconosciuta l’indipendenza greca: con il trattato di Adrianopoli venne messo sul trono greco un sovrano tedesco, Ottone di Baviera, per evitare che la Russia ottenesse uno sbocco sul mar Mediterraneo ed un punto strategico così rilevante per l’economia, soprattutto inglese. Anche la Russia dovette affrontare una rivolta di ufficiali che erano contrari al nuovo sovrano Nicola I e nel dicembre 1825 venne repressa nel sangue (movimento decabrista) dallo zar che governò come un monarca assoluto secondo il modello dell’autocrazia, ovvero secondo cui nemmeno la chiesa era subordinata al potere civile.