Corso di italiano di base
14 Aprile 2020Aggiornamenti 2020 per Concorso Docenti e Dirigenti
19 Aprile 2020La rivista dell’Associazione Donne Magistrato Italiane ospita due contributi dal convegno “Convivere con Auschwitz” 2020
PRESENTAZIONE di Gianni Peteani e
RIFLESSIONI DELLA PRESIDENTESSA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DONNE MAGISTRATO
Carla Marina Lendaro
PRESENTAZIONE di Gianni Peteani
Il rapporto e la motivazione di fondo con lo spirito di questo convegno nascono dalla condizione di figlio di una Deportata ad Auschwitz, Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia, Deportata Auschwitz 81672 e dal conseguente confronto con la Senatrice Liliana Segre, per la quale ho ideato e proposto al Rettore Francesco Peroni, conferimento laurea honoris causa nel 2008, 70° anniversario del preannuncio di Mussolini delle “leggi razziali” a Trieste. La scomparsa di mia madre,
2003, ha svelato una gamma documentale e testimoniale con cui avevo convissuto, ma con fisiologico distacco, pudore e abitudine. Prevalente è stata la normalità di quel suo avambraccio tatuato che mi sorreggeva da piccolo, che mescolava la minestra e stendeva i panni a “tradirmi” , a non farmi percepire pienamente l’orrore marchiatole addosso.
Grandi e secondari testimoni dell’Olocausto e della Deportazione hanno uniformemente subito devastanti conseguenze psicologiche, taluni hanno reagito assumendo fin da subito il ruolo di divulgatori, la minoranza, mentre l’ampia maggioranza ha dovuto fare i conti con il reintegro alla vita, alla quotidianità e alla conclamata non accettazione da parte di una Società che preferiva rimuovere anziché affrontare.
Sono passati mediamente sessant’anni prima che i superstiti iniziassero largamente a parlare. Personalmente le informazioni invece mi sono state trasmesse fin da bambino, in maniera sicuramente adeguata all’età e nel corso degli anni, senza apparenti filtri o censure. Soltanto dopo la sua scomparsa ho compreso cosa mi era stato strutturalmente esentato. Il dramma emotivo, la paura, la disperazione, l’orrore, le emozioni, le angosce. Il racconto di mamma si apriva anche a dettagli raccapriccianti ma pur sempre con misura, con la perdurante attenzione di non far mai trasparire il baratro in cui il cuore si dibatteva.
Liliana Segre ha sancito fermamente l’importanza di un ruolo che mai avevo immaginato potessi, dovessi ricoprire, quello di testimone di seconda generazione. Così ho scoperto quanto il gravare di quel bagaglio che iniziavo a elaborare fosse ingombrante e al contempo importante. Pertanto mi sono rivolto al Preside dell’allora Facoltà di Psicologia, prof. Walter Gerbino, proponendo un convegno dal titolo “Convivere con Auschwitz” , inteso come analisi del subentrato universale status, successivo all’abominio perpetrato dall’uomo sull’uomo nella scienza dello sterminio contemporaneo.
Dalla terza edizione, interpretando i dettami della Legge 211/2000, istitutiva del Giorno della Memoria, ho inteso la necessità di superare i confini prettamente celebrativi, investigando attraverso la multidisciplinarietà prospettive difformi agli standard ma di focus medesimo, in un esercizio annuale che via via è stato in grado di coinvolgere ogni dicastero scientifico dell’Ateneo giuliano fino ad assumere caratura Istituzionale.
Dalla seconda edizione grazie al prof. Giovanni Fraziano, in quegli anni Preside della Facoltà di Ingegneria e Architettura sino all’egida del prof. Mauro Barberis, docente di Filosofia del Diritto, laudatore appunto della LHC a Liliana Segre e da allora punto cardinale di questo appuntamento nell’ambito della Settimana della Memoria, riconosciuto e promosso dai
media nazionali, esteri e territoriali.
Da ultimo, ho nuovamente ideato la recente doppia Laurea Magistrale ad Honorem alle sorelle fiumane Andra e Tatiana Bucci, Deportate bambine ad Auschwitz assieme al cuginetto Sergio De Simone che invece non farà ritorno, trucidato a sei anni dopo aberranti sevizie. Di duecentomila bambini entro i dieci anni di età giunti ad Auschwitz ne sopravvissero cinquanta, a maggior ragione quest’impegno è la mia Fede.
Negli anni l’incontro con docenti delle più disparate dottrine ha generato un vero e proprio “format” che con passione e cura tendiamo a rinnovare e aggiornare intervenendo coerentemente nel criterio dell’attualizzazione, coniugando “quanto è stato” con le problematiche insorgenti, nella ricerca costante degli antidoti culturali migliori nella
difesa a oltranza di pace e libertà.
Gianni Peteani
RIFLESSIONI DELLA PRESIDENTESSA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DONNE MAGISTRATO
Carla Marina Lendaro (Riflessioni dopo l’incontro di studio organizzato dall’Università degli Studi di Trieste “Convivere con Auschwitz”).
Trieste, città di frontiera tra est e ovest, si trova dove il golfo chiude l’Adriatico e il Mediterraneo si apre. Un crocevia culturale, legata profondamente al cuore d’Europa, dove convivono lingue, tradizioni e persone di molteplici origini. Claudio Magris, nel saggio Trieste, un’identità di frontiera, ha scritto: “Forse, più di altre città, è letteratura, è la sua cultura: il paradosso vivente di un centro che sembra appartato, ma che ha saputo diventare il laboratorio in cui si sono sperimentati attivamente tutti i temi centrali della crisi novecentesca”. Trieste è stata il teatro di molti eventi drammatici e riflette le tensioni europee, fondendo, spesso tragicamente, culture ed etnie diverse. È una città in cui irredentismo e cosmopolitismo, apertura e chiusura convivono in un equilibrio complesso.
La storia di Trieste porta il peso di violenze celate e palesi. Nel 1938, Mussolini annunciò qui le leggi razziali. La città ospitò l’unico campo di concentramento italiano dotato di un forno crematorio operativo, e fu luogo di rappresaglie brutali, come l’impiccagione di cinquantuno persone nel Conservatorio musicale G. Tartini. La delazione dilagava: il dissidente Boris Pahor fu tradito da conoscenti e amici. E le foibe triestine divennero luogo di morte per molti. Oggi, Trieste non dimentica il proprio passato. La città ricorda le tragedie con memoriali e iniziative culturali, come il convegno accademico annuale “Convivere con Auschwitz”, organizzato dall’Università di Trieste, che unisce docenti e studenti per riflettere sugli orrori del passato e su come evitarne il ripetersi.
Nel 2020, il convegno si è svolto nell’edificio che un tempo ospitava il Narodni dom, incendiato dai fascisti nel 1920, un evento che Renzo De Felice definì “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”. Il palazzo, poi ricostruito, è stato restituito alla comunità slovena nel centenario dell’incendio, alla presenza dei presidenti di Italia e Slovenia. L’incontro accademico ha visto interventi da ambiti apparentemente lontani: matematica, fisica, diritto, medicina, letteratura e arte. Ogni relatore ha offerto prospettive diverse, creando un mosaico di testimonianze che hanno tratteggiato il mondo quotidiano dell’epoca e le sue atrocità.
Le parole ascoltate sono rimaste scolpite nella memoria degli spettatori, come un monito per il presente e il futuro. Hannah Arendt ricordava che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale”. Primo Levi ammoniva che “Hitler e Mussolini, quando parlavano pubblicamente, venivano creduti, applauditi, ammirati”. A Trieste, una città che guarda al futuro ma non dimentica, queste riflessioni trovano un’eco profonda, alimentando il dovere di ricordare e meditare affinché simili tragedie non si ripetano mai più.
Carla Marina Lendaro
Il Convegno si è svolto presso l’Università di Trieste il 22 gennaio 2020. Qui sotto alcuni materiali: