La caduta, ode di Giuseppe Parini – di Carlo Zacco
6 Agosto 2015Il mattino, da “Il giorno” di Giuseppe Parini – vv. 1-169 –…
6 Agosto 2015Questo componimento fa parte del primo gruppo di Odi scritte da Giuseppe Parini. La tematica principale di questo testo è la differenza di condizioni igienico-sanitarie e generalmente ambientali tra Bosisio e la Brianza con Milano.
Il componimento si apre con la descrizione dei luoghi d’origine dell’autore, cioè Bosisio e dintorni. Lì l’aria è pura e giova ai polmoni inquinati indeboliti dall’aria di città. Non arriva né lo Scirocco né la Tramontana perché le montagne che circondando il paese non lo permettono. Non ci sono paludi di acqua stagnante che costituiscono la presenza di insetti portatori di malattie. L’unica acqua che c’è all’infuori dei laghi è quella della rugiada che viene asciugata la mattina con il Sole. A questo punto comincia la condanna dell’autore verso colui che ha provocato l’inquinamento di Milano, dimostrando egoismo non tenendo conto della comunità. Egli, secondo la legge del contrappasso, sarà punito a stare nei fanghi del fiume Stige, con il viso sommerso dalla melma e disperandosi per ciò che fece in passato per lucro.
I coltivatori di riso nei dintorni di Milano sono definiti malati e l’autore si rivolge al cittadino chiedendogli di riflettere su questi problemi. Ora l’autore esprime il suo desiderio di passare le giornate dove il clima è piacevole, e dove, anche se lavorano, i contadini sono robusti e sani. Descrive la gente di campagna come gioiosa e felici della loro vita, che si accontentato di semplici cose. Ma anche Milano un tempo era così, cioè senza problemi di inquinamento, ma nessuno dei contadini, che pensavano solo ad arricchirsi hanno pensato di preservare questi doni. Oltre alle putride risaie, hanno deviato anche il corso dei torrenti per allagare i propri campi. In seguito descrive le strade della città di Milano: le definisce come fogne a cielo aperto, perché le persone gettano i contenuti dei vasi da notte per strada; carogne di animali che portano malattie e cattivi odori. Anche se dopo il tramonto, i netturbini puliscono tutto, l’indomani tutto ritorna come prima perché i cittadini non hanno rispetto delle leggi e non si rendono conto che se recano un danno alla comunità la recano a loro stessi.
Analisi e interpretazione del testo
- Il componimento è formato da 132 versi, divisi in 22 strofe di 6 versi ciascuna, o sestine. il metro usato è il settenario piano e le rime sono alternate nei primi 4 versi e baciate negli ultimi 2. Quindi lo schema delle rime è: ABABCC.
- A livello lessicale abbiamo la presenza di molti termini aulici (austro, rubicondo, purgata, palagi…) e latinismi (Eupili, egri, aere, onde, bieco, quivi…) Una particolarità del testo è data dal fatto che l’autore, pur di non usare termini di stile basso, utilizza termini di quello alto che li richiamano indirettamente (spregiate crete per vaso da notte, pane per grano, languenti cultori per coltivatori malati…). Sono presenti due reminiscenze letterarie: l’espressione oh fortunate genti, che riprende Virgilio, e il termine atomi, che è un richiamo al De rerum natura di Lucrezio.
- A livello sintattico abbiamo un equilibrio la coordinazione per polisindeto e per asindeto. Prevale la costruzione paratattica e abbiamo numerose inversioni: è molto frequente incontrare il soggetto a fine frase con il verbo. A livello retorico il testo è ricco di metafore per evitare l’utilizzo di termini di stile basso. Eccone alcuni esempi: schiena, spregiate crete, lari plebei. Altre figure retoriche presenti sono: la personificazione e ipallage nel termine Borea; la sineddoche nel termine capi; la metonimia per grano nel termine pane; la sinestesia nel termine calda fantasia.
- L’autore descrive un ambiente perfettamente aderente alla realtà. Egli aggiunge maggiore realismo rispetto agli autori passati, sottolineando la dura vita dei campi, ma anche la felicità dei contadini nel veder crescere il proprio raccolto, definendoli vispi e sciolti.
- Nel testo inoltre sono presenti alcune osservazione che riguardano la realtà contemporanea all’autore come lo sfruttamento intensivo delle campagne a scopo di lucro; l’alta società milanese impregnata di lusso, avarizia e pigrizia; il disprezzo da parte della classe nobile verso il volgo; il non rispetto delle leggi a Milano.
- Nell’ultima sestina il poeta fa una dichiarazione: l’utilità degli argomenti trattati, la lotta contro il degrado e l’inciviltà e il sostegno delle riforme devono essere unite ad una forma poetica piacevole. Quindi egli non è d’accordo con gli Illuministi, che vedevano solo utilità nella poesia e non bellezza. Per Parini bisogna adattare la raffinatezza poetica a nuove moderne tematiche. Inoltre in questo componimento il Sensismo è molto accentuato: infatti vengono usati molti aggettivi che richiamano l’uso dei sensi, particolarmente la vista e l’olfatto.
Testo dell’ode
Oh beato terreno
Del vago Eupili mio,
Ecco al fin nel tuo seno
M’accogli; e del natìo
Aere mi circondi; 5
E il petto avido inondi.
Già nel polmon capace
Urta sé stesso e scende
Quest’etere vivace,
Che gli egri spirti accende, 10
E le forze rintegra,
E l’animo rallegra.
Però ch’austro scortese
Quì suoi vapor non mena:
E guarda il bel paese 15
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid’ ale.
Né quì giaccion paludi,
Che dall’impuro letto 20
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto:
E il meriggio a’ bei colli
Asciuga i dorsi molli.
Pera colui che primo 25
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile. 30
Certo colui del fiume
Di Stige ora s’impaccia
Tra l’orribil bitume,
Onde alzando la faccia
Bestemmia il fango e l’acque, 35
Che radunar gli piacque.
Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori; 40
E trema o cittadino,
Che a te il soffri vicino.
Io de’ miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni 45
Tra la beata gente,
Che di fatiche onusta
E’vegeta e robusta.
Quì con la mente sgombra,
Di pure linfe asterso, 50
Sotto ad una fresc’ ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;
E i membri non mai stanchi 55
Dietro al crescente pane;
E i baldanzosi fianchi
De le ardite villane;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo, 60
Dicendo: Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest’aura respirate
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi 65
E da limpidi rivi.
Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d’aria pura:
Ma chi i bei doni or serba 70
Fra il lusso e l’avarizia
E la stolta pigrizia?
Ahi non bastò che intorno
Putridi stagni avesse;
Anzi a turbarne il giorno 75
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati
E la comun salute
Sagrificossi al pasto 80
D’ambizïose mute,
Che poi con crudo fasto
Calchin per l’ampie strade
Il popolo che cade.
A voi il timo e il croco 85
E la menta selvaggia
L’aere per ogni loco
De’ varj atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari. 90
Ma al piè de’ gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l’aria lenta,
Che a stagnar si rimase 95
Tra le sublimi case.
Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete; 100
Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.
Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti 105
Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!
Né a pena cadde il sole
Che vaganti latrine 110
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.
Gridan le leggi è vero; 115
E Temi bieco guata:
Ma sol di sé pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi? 120
Ma dove ahi corro e vago
Lontano da le belle
Colline e dal bel lago
E dalle villanelle,
A cui sì vivo e schietto 125
Aere ondeggiar fa il petto?
Va per negletta via
Ognor l’util cercando
La calda fantasìa,
Che sol felice è quando 130
L’utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.